Nell’estate del 1834 le campane non suonano più. A Madrid avanza il colera. “La Bestia” di Carmen Mola è una tessitura riuscita di tutti gli elementi che costituiscono un thriller storico di successo. Accanto alla vicenda di morte e di disperazione, emerge il ritratto storico, documentato e efficace, di una città caotica, di un mondo di disuguaglianze…

Una città blindata dalle sbarre, misure sanitarie, fazzoletti a proteggere il viso, divieto di assembramenti, medici sopraffatti e impotenti e ospedali al collasso: non è la pandemia di Covid, ma la Madrid ai tempi del colera di Carmen Mola, fatta di istantanee che ci sono molto familiari.

Nell’estate del 1834 le campane non suonano più, i sani vengono isolati, si ruba nelle case dei morti, mentre la paura di ammalarsi scatena esaltazione, superstizione e pregiudizio: da una parte ci sono i contagiati, dall’altra tutti quelli che puntano il dito, e cercano il responsabile. La colpa è dei poveri che portano malattie, e per questo meritano di essere allontanati, la colpa è del clero che avvelena le acque per uccidere tutti, la colpa è di Dio che vuole castigare i peccatori che non guardano con rispetto la Chiesa.

Nulla va per il verso giusto, e non c’è solo il colera: i disgraziati muoiono di fame, i potenti si fanno la guerra divisi tra carlisti e isabellini, Madrid sprofonda nella pestilenza del bisogno e dell’ignoranza, che distorce la realtà e genera sommosse e violenza.

“Nessuno vuole stare nel Cerrillo del Rastro più del dovuto, solo i più poveri, gli straccioni, quelli che non hanno un altro posto nel mondo. Quelli che hanno alzato le baracche di quell’abitato con le proprie mani, con l’orgoglio e la disperazione di chi non ha un tetto per ripararsi”.

Quando, tra le catapecchie dei sobborghi più miserabili, vengono rinvenuti cadaveri di bambine, orribilmente smembrati, il terrore fa scatenare l’immaginazione: molti affermano di averla vista, “la Bestia”, il mostro spietato assassino di vergini, è un orso, enorme, è una lucertola, dalla pelle rossa, ha le corna di un cervo, è un essere mitologico. Ci si lascia incantare dalla brutalità, le si dà volti da bestiario medievale. Ma Donoso Gual, celador real, e Diego Ruiz, giornalista, lo sanno che la realtà è meno fantasiosa, e, se possibile, peggiore delle visioni della povera gente.

«Preferiamo chiamare Bestia ciò che non comprendiamo. Nello stesso modo in cui diamo la colpa delle crudeltà umane al demonio e ai suoi sotterfugi. Ma, se le togliamo le vesti della mitologia, ci ritroviamo di fronte la realtà. Quella Bestia non è altro che un uomo».

Donoso e Diego si mettono a indagare, percorrendo le strade della miseria, i quartieri della Madrid più lurida e minacciosa. Come il Cerrillo, o Las Peñuelas, dove vive Lucía, quattordici anni selvaggi, una chioma rossa arruffata, occhi neri e la pancia sempre vuota. Lucía è una ladruncola per necessità, come tanti: quando sua madre muore di colera, lei deve poter garantire alla sorellina Clara protezione, favole e cibo. Per questo è abituata a entrare di nascosto dentro la Cinta, che separa la città dai quartieri poveri: la “sua” Madrid è fatta di passaggi, fogne da attraversare per non farsi sorprendere dalle guardie. Un piccolo furto nella casa di un prete si rivelerà per Lucía l’inizio di tanti guai.

La Bestia di Carmen Mola (Salani, traduzione di Massimo Sottini) tesse le fila di una storia intrigante, dove il mistero delle bambine morte si anima nella mappa di una città degradata, senza speranze per nessuno. Lo capisce subito Lucía con la lucidità della disperazione: non c’è futuro per una ragazza come lei. Non l’accettano nemmeno come lavandaia sulla riva del Manzanares perché l’epidemia ha reso la città paralizzata, senza lavoro. Quando bussa alla porta del bordello di Josefa, sa che quello è l’inizio dell’inferno, ma c’è Clara, e un sogno di un domani lontano da lì: lei è un colibrì, glielo ha detto un ragazzino prima di morire in un’aggressione, è un uccellino esotico, che sembra immobile ma poi scappa via, ed è un’immagine luminosa di paesi lontani e di libertà. Ma intanto, nel presente, non ha altro per campare che la sua verginità.

“Ascolta il mio consiglio: l’unica cosa che abbiamo noi ragazze povere è il nostro corpo. E se fossi intelligente, il tuo, che è bellissimo, lo potresti vendere caro”.

Tra vicoli e taverne fetide dove i ragazzini si esercitano a borseggiare, sotto l’occhio esperto di malviventi che sembrano usciti dalla penna di Charles Dickens, tra banchi dei pegni e giacigli improvvisati, lazzaretti e salotti dell’aristocrazia, fumerie d’oppio e conventi, le strade di Donoso e Diego si incontrano con quella di Lucía.

Quando la Bestia rapisce Clara, la situazione accelera per Lucía, nel tentativo di salvare la sorella, e per il lettore, che viene avviluppato in una rete di personaggi ambigui, in una fitta narrazione che unisce idee sinistre a complotti politici, storie d’amore a ossessioni religiose.

Accanto alla vicenda di morte e di disperazione, emerge il ritratto storico, documentato e efficace, di una Madrid caotica, di un mondo di disuguaglianze, di povera gente tenuta fuori dalle mura, una polveriera di miseria e segregazione, fatta di gallerie fangose in cui strisciare, pronta a esplodere. Il gradino più basso della scala sociale, in una città che vomita disgrazie, è occupato dalle donne dei quartieri poveri, vittime o bestiame, cibo per i ricchi. Carmen Mola ne fa le protagoniste indiscusse: bambine per le quali diventare donne è una condanna a morte.

“Nella vita, le donne sono sempre rinchiuse in una prigione sotterranea, in attesa che qualcuno permetta loro di uscire. Poche volte per fare loro del bene, nella maggior parte dei casi per approfittarsi di loro, per usarle, per fare loro del male.”

La Bestia è una tessitura riuscita di tutti gli elementi che costituiscono un thriller storico di successo, atmosfere inquietanti, prosa incalzante, intrigo, seduzione, colpi di scena. Tutto è ben congegnato, cupo e pieno di capovolgimenti: anche editoriali, come quando si è svelata la verità su Carmen Mola, pseudonimo di tre scrittori e sceneggiatori spagnoli, Jorge Díaz, Antonio Mercero e Agustín Martínez.

La loro scrittura collettiva è stata premiata dal pubblico, e ha aggiunto un ulteriore elemento stuzzicante alla fortuna di un libro che sa garantire la tensione, la concretezza storica e i suoi giochi di ombre, in un mix di sicuro intrattenimento.

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