Esce su Netflix il 19 luglio la terza parte de “La casa di carta”, la serie non in lingua inglese più vista della celebre piattaforma di streaming. ilLibraio.it ha visto in anteprima le prime due puntate e ha incontrato parte del cast, che ha svelato novità e curiosità sull’amata banda di Robin Hood mascherata da Dalì…

Li avevamo lasciati mentre scappavano dopo aver rubato 2.400 milioni di euro dalla Zecca di Stato di Madrid. Parliamo della banda di ladri più famosa del momento, i protagonisti della serie spagnola La casa di carta: tute rosse, maschere di Dalì e in bocca la canzone della Resistenza partigiana, Bella Ciao.

Dopo essere uscita su Netflix nel dicembre del 2018, La casa de papel (questo il titolo originale) ha riscosso un successo mondiale, tanto da diventare il prodotto non in lingua inglese più visto della celebre piattaforma di streaming.

Il 19 luglio è prevista l’uscita dell’attesa terza stagione, presentata in anteprima a Milano al cinema Anteo. Per questa occasione, oltre alla proiezione delle prime due puntate, parte del cast ha incontrato la stampa. A parlare ci sono la bella e spericolata Tokyo (interpretata da Úrsula Corberó), insieme al suo compagno Rio (Miguel Herrán); la tenera coppia Stoccolma e Denver (rispettivamente Esther Acebo, e Jaime Lorente), e un nuovo tenebroso personaggio, Marsiglia (Luka Peroš).

Sono stati molti gli argomenti trattati, primo tra tutti proprio l’incredibile fortuna seguita alle prime due stagioni. Se lo aspettavano? A dire il vero non tutti. L’unico che sembrava essere certo che la serie avrebbe spopolato era Arturito (Enrique Javier Arce): “Lui è il solo ad aver detto: se la Spagna non è pronta per questa serie, di sicuro lo è il mondo”, racconta Esther Acebo, cercando di individuare il motivo che ha dettato tutto questo entusiasmo: “Forse dipende dal fatto che siamo stati in grado di rappresentare dei personaggi umani, con dei sentimenti e delle emozioni vere, non dei semplici rapinatori”.

Forse, azzarda qualcun altro, il periodo di crisi economica che stiamo vivendo ha influenzato gli spettatori, facendoli affezionare a una banda di Robin Hood che, come dice Luka Peroš, rubano ai ricchi per dare ai poveri: “È normale che ci si senta vicini a loro, che si scelga di stare dalla loro parte. Viviamo in un mondo in cui pochi hanno tanto, e tanti hanno poco”.

E infatti non è un caso se la canzone Bella Ciao, cantata ripetutamente dal gruppo e sentita come un inno alla resistenza in generale, sia diventata una sorta di manifesto ideologico: “Sì, ma non è una dichiarazione politica, è semplicemente l’espressione di un sentimento di ingiustizia contro il sistema, contro chi detiene il potere”.

Nei primi due episodi, che riportano immediatamente il pubblico nell’atmosfera a cui si era affezionato (i rapinatori dietro ai banchi di scuola e il Professore che, con calma e persuasione, spiega tutte le mosse per mettere in atto il “piano perfetto”), vengono gettate le basi per un nuovo colpo che costringerà la banda a unirsi di nuovo. Questa volta, però, in nome di una causa più forte della precedente: “I rapinatori non agiscono più soltanto per arricchirsi”, spiega Úrsula Corberó, “ma per un motivo più sentimentale ed emotivo: devono aiutare Rio a scappare dal centro in cui è tenuto prigioniero“.

la casa di carta

Oltre ad alcune new entry (tra cui Marsiglia, Bogotà e un personaggio che porta il nome di una città italiana, Palermo), nella serie ritroviamo tutte le figure che avevamo lasciato (o, almeno, quasi tutte): il Professore, l’ex ispettore Raquel Murillo (ora Lisbona), Tokyo, Rio, Nairobi, Helsinki, Denver e Stoccolma.

E proposito di questi ultimi: dopo la visione, rimane particolarmente impressa la scena in cui i due litigano perché il marito non vuole che la moglie venga coinvolta nel nuovo piano. Lui preferirebbe che lei rimanesse a casa, al sicuro, insieme al bambino, ma Stoccolma si ribella a questa visione maschilista e rivendica la sua libertà.

Chi ha visto le prime due stagioni non potrà non ricordare una delle scene più memorabili della serie, quella in cui, nel bel mezzo della rapina, Nairobi prende il controllo e dichiara: “Inizia il matriarcato“. Per questo sorge spontaneo chiedere se La casa di carta possa essere considerata una storia femminista. “In realtà, il matriarcato di Nairobi dura ben poco, soltanto un giorno”, fa notare ancora Úrsula Corberó, “non userei la parola femminista per definire La casa di carta. Tuttavia ci sono dei personaggi femminili molto forti, donne a 360 gradi, che hanno qualcosa da raccontare e che non si limitano ad accompagnare i personaggi maschili. Hanno un loro potere”.

Riferendosi poi al suo ruolo, aggiunge: “Vedrete una Tokyo meno bambina e più donna. In ogni caso, sempre molto pericolosa”.

Diciamo che, da quello che si è potuto intravedere, tutti cambieranno e acquisteranno maggiore maturità, in un modo o nell’altro. Anche Jaime Lorente, parlando di Denver, dichiara: “Nella prima stagione era un figlio, mentre nella nuova è un padre. Questo influenza tantissimo la sua personalità. Eppure rimane una figura fragile, non ancora pronta ad affrontare il cambiamento radicale che si troverà davanti”.

Alla domanda se ci sarà o meno una quarta stagione, la risposta si conosce già: assolutamente sì.

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