“Credo che ogni corpo amato sia indescrivibile e la poesia è proprio il tentativo, un po’ disperato e maniacale, ma anche gioioso, di riuscire a tradurlo in parole. Rendere verbalmente la fisicità è forse la più ardua impresa letteraria”. Edoardo Albinati si racconta intervistato da ilLibraio.it in occasione dell’uscita di “La tua bocca è la mia religione”: “Ho cercato di essere esplicito, modesto, talvolta prosastico, senza avere paura del fallimento. Questa è una raccolta impudica, ma non perché parli di frequente di sesso, ma perché spoglia dal velo decorativo che spesso l’amore ha quando viene tradotto in parole”. Per l’autore premio Strega “il più grande poeta erotico italiano è Torquato Tasso. Nei suoi versi la parola si annulla e possono restare soltanto sospiri e baci, cioè atti non verbali”. Quanto ai limiti della letteratura erotica, “la cosa più difficile in ogni ambito della scrittura, ma in quello amoroso ancora di più, è tentare di essere estremamente franchi, e quindi espliciti, proprio come la pornografia è talvolta più onesta del cosiddetto erotismo”. Tra i temi affrontati, l’impegno intellettuale (“sono abbastanza contrario, se per impegno si intende quello di pronunciarsi su tutto”) e la lettura ad alta voce (“una delle esperienze più intime”)

“Quando vedo il tuo seno, il mio corpo / ritorna giovane. Quando lo tocco / mi vengono confermate dagli spiriti cose / di cui avevo sentito parlare, senza avervi / mai prestato fede, scioccamente. / Esagerando i filosofi colgono nel segno. / Il peggior guaio è sempre di non credere. / Abbracciandoti ogni mio male si allontana”.

Non si può non credere ai versi di Edoardo Albinati. L’autore e docente, Premio Strega nel 2016 con La scuola cattolica (Rizzoli), ritorna alla poesia con la raccolta La tua bocca è la mia religione (Guanda, 108 pp).

Ottanta liriche divise in quattro sezioni – Dismisura, Ossitocina, Una nuova religione, Corpo speciale – in cui ripercorre la storia di attrazione e desiderio incessante per l’amata, la compagna Francesca D’Aloja, scrittrice e attrice, per il suo corpo, oggetto di uno sguardo indomito tra smania, eccitazione, torpore e frustrazione. Un canzoniere erotico, esplicito e impudico, denudato come lo sono il poeta e la sua musa che alterna immagini inconsuete a topoi millenari.

Perché non esiste amore senza desiderio e persino ossessione. “Desidero ergo sum”, afferma Albinati intervistato da ilLibraio.it. Cartesio e gli scettici se ne dovranno fare una ragione.

edoardo albinati la tua bocca è la mia religione

Il corpo dell’amata è il protagonista delle sue poesie, l’oggetto del suo sguardo incessante. Perché la fisicità è così centrale per lei?
“Il corpo della persona amata è per sua natura speciale. Poi, quello dell’amata da me, particolarmente. Credo che ogni corpo amato sia indescrivibile e la poesia è proprio il tentativo, un po’ disperato e maniacale, ma anche gioioso, di riuscire a tradurlo in parole. Rendere verbalmente la fisicità è forse la più ardua impresa letteraria”.

Lei la definisce più volte un’ossessione.
“L’amore o è ossessivo oppure non è. Un po’ come quella falena che continua a sbattere sulla lampada attirata dalla luce, e lo fa senza fine. Si potrebbe pensare che sia impazzita, e in effetti un po’ lo è. Siamo folli quando ci dedichiamo così a qualcun altro”.

Pazzia e desiderio costante che arrivano quasi a divorarla, al punto da affermare che se non fosse così, si considererebbe già morto.
“Precipiterei nel nulla se non fossi animato dal desiderio. In fondo il desiderio sembra folle, e invece è l’unica cosa logica della vita perché senza di esso la vita si spegne. Ed è molto importante, in questo libro e in generale nel rapporto amoroso, la visione, lo sguardo verso la persona amata”.

Come se lei fosse un fotografo.
“Sì, se dovessi pensare a un’arte, che non dico ispira questo libro, ma che ha molti contatti col modo in cui è scritto, penso proprio alla fotografia. Tra tutte le arti dello sguardo è la più moderna e la più vicina a noi. I nudi che io cerco di rendere a parole hanno delle corrispondenze con quelli di alcuni fotografi”.

Quali?
“Penso ad esempio a Saul Leiter, o a Nan Goldin, che ha realizzato una bellissima mostra, The Ballad of Sexual Dependency in cui è molto crudo lo sguardo sull’intimità. E poi a Francesca Woodman. Oppure, con una visione quasi opposta, Franco Fontana, che da fotografo di paesaggi ha realizzato dei famosi nudi in piscina in cui il corpo è trattato allo stesso modo, attraverso forme e colori: che è un po’ quello che ho voluto fare io con le parole”.

Nei suoi versi parla di “sublimazione della libidine in parole”, sebbene il linguaggio stenti a indicare quel che lo attiri all’amata. L’ineffabilità è un topos lirico senza tempo. Qual è stato il suo lavoro di scrittore?
“Ho cercato di essere esplicito, modesto, talvolta prosastico, senza avere paura del fallimento. Questa è una raccolta impudica, ma non perché parli di frequente di sesso, ma perché spoglia dal velo decorativo che spesso l’amore ha quando viene tradotto in parole. Certo, spero di aver scritto delle belle poesie, però non mi interessava essere lirico, quanto essere preciso e denudato: come è denudato il corpo desiderato che io descrivo, così è denudato l’autore”.

In che modo?
“Non ha timore di mostrarsi lamentoso, ossessivo o persino ridicolo. Il desiderio ha un aspetto oscenamente ridicolo, quello dell’ostentare la propria debolezza. Quando si dichiara di aver bisogno di qualcuno, vuol dire che si è deboli. Le persone davvero forti non verranno mai penetrate, attraversate dal desiderio, ma peggio per loro”.

Peggio per loro che non riescono a credere alle sue parole, ritenendole delle esagerazioni. Lei scrive: “Le mie parole / suonano come esagerazioni prese in prestito / da un tascabile erotico ingiallito. Già li sento / i commenti increduli e dispettosi, lo scetticismo”. Eppure a lei non interessa.
“La persona innamorata non potrà mai convincere chi non è a sua volta innamorato. Qui mi rifaccio proprio alla tradizione classicissima dell’’intender non la può chi non la prova’. Un lettore del libro mi ha detto che in fondo anche questo è Stil Novo. In tal senso sì, perché richiede al lettore una complicità su un sentimento che, se non è già stato provato o almeno sognato da chi legge, risulterà incomprensibile, se non addirittura stupido”.

E anche questo appartiene alla tradizione della lirica amorosa.
“L’innamorato si sente incompreso da quelli che invece ragionano e sono lucidi. Loro pensano che sia un poveretto e che si sia bevuto il cervello, espressione calzante rispetto a qualcuno che dedica tutti i suoi pensieri e tutte le sue forze a una singola persona, magari addirittura a una singola parte di questa persona, che può essere il suo viso, i suoi occhi, la sua mente, le sue anche”.

Così torniamo all’ossessione.
“È il segno della passione. Andrea Cappellano definiva l’amore una ‘immoderata cogitatio’, cioè un pensiero smodato, eccessivo”.

E allora, come scrive nei suoi versi, non le resta che fare filosofia sull’amata.
“Questo fatto di sublimare il desiderio in parole è una specie di ripiego, il desiderio vorrebbe invece bruciarsi nella vita, nell’azione, nel bacio, nel sesso, ma quando questo non è possibile, o non si contiene più, ecco che si ricorre alla traduzione in poesia, uno sfogo che è al tempo stesso elevato e un poco ridicolo”.

Chi è riuscito in questa impresa meglio di altri?
“Un poeta inarrivabile, per me il più grande poeta erotico italiano è Torquato Tasso. Nei suoi versi la parola si annulla e possono restare soltanto sospiri e baci, cioè atti non verbali”.

Lei attinge anche al linguaggio religioso. Si autodefinisce l’officiante, il seguace di una nuova religione. Cita il Vangelo di Giovanni, Adamo ed Eva, per non parlare del titolo stesso della raccolta.
“C’è una fondatissima tradizione che ricorre a questo bagaglio di immagini, compreso lo Stil Novo. Il lessico religioso è quello che più di tutti ha tentato di dire ciò che non si può dire. Quello amoroso è una forma di culto privato, eppure proprio per questo universale”.

“A me succede mille volte quello che Adamo / soffrì una sola, e pianse il resto della vita” scrive.
“Esistono due tradizioni immaginative della poesia erotica: una è quella del lessico bellico, la conquista, il dardo che trafigge il cuore, e così via; l’altra è quella religiosa che cerca di narrare l’accesso a un’esperienza straordinaria, che ci porta fuori di noi, a dimenticarci di noi stessi, e che quindi ci trascende. Io mi sento più vicino a questa, che rende forse meglio la natura del desiderio. Il desiderio va oltre gli individui che lo provano”.

Anche oltre la coppia?
“Amando una singola persona si accede a uno statuto in cui si possono amare anche molte altre persone, molti altri corpi, molte altre menti. Una volta che si esce dalla finitezza dell’individuo, allora si è più aperti nei confronti di tutto e di tutti, non soltanto della persona amata, e questa in effetti è una conquista spirituale, che però deve passare attraverso l’incarnazione”.

E così ritorniamo alla centralità del corpo.
“Certo. Non può essere una teoria o un progetto, ma deve ritrovarsi nella sua fisicità. Kafka lo spiega in maniera impareggiabile: ‘L’amore sensuale riesce a farci dimenticare quello celeste. Da solo non potrebbe farlo, ma poiché ha inconsciamente in sé l’elemento dell’amor celeste, ci riesce’. L’amore fisico riesce a nascondere l’amore celeste, ma solo perché lo contiene”.

Eppure oggi la virtualità, accentuata dalla pandemia, sta prendendo sempre più spazio anche nei rapporti amorosi.
“Credo faccia parte di un processo più generale di smaterializzazione che è una stigmate di questa epoca in tutti i campi, non solo in quello amoroso e sessuale. Non posso dire che me ne dispiaccio, perché io non provo affatto questa pulsione di fuggire dalla fisicità. Più che ‘cogito ergo sum’ io direi ‘desidero ergo sum’. La corporalità è una chiave per accedere a noi stessi, prima che per accedere all’altro e al mondo”.

A volte però il corpo viene percepito come una prigione.
“Mi preoccupa l’imposizione di una volontà puramente mentale nei confronti del nostro aspetto fisico che ci portiamo dietro in ogni istante e da cui non possiamo prescindere. Non riesco a immaginarmi una consapevolezza di sé e dell’altro che non passi attraverso il corpo. Il corpo non è un abito o un aggeggio. Ma la smaterializzazione sta abbracciando tutto”.

Anche la letteratura?
“Be’, no. Se c’è una cosa che non potrà mai prescindere dalla mondanità questa è proprio la letteratura. E per mondanità intendo proprio essere nel mondo, immischiarsi in tutti i suoi aspetti. Che uno come Francis Scott Fitzgerald dedichi tanta attenzione agli orecchini che portano le ragazze, a come sono pettinate o al nuovo modello di scarpe che indossano potrebbe sembrare frivolo, superficiale, in realtà è lo scopo del suo lavoro e la sua giusta posizione nel mondo. Uno scrittore non si occupa soltanto di realtà trascendentali, per quelle ci sono i filosofi e i teologi”.

Proprio dovendo sporcarsi le mani nel mondo, gli scrittori in quanto anche intellettuali, secondo l’omonimo pamphlet di Sabino Cassese, hanno un ruolo di critici essenziali nel “mercato delle idee”. Anche questo fa parte della mondanità?
“L’espressione mercato forse non è la più adatta, però ovviamente serve a indicare un luogo di scambio. Le faccio un esempio: mi hanno invitato a un dibattito televisivo sull’elezione del Presidente della Repubblica e non ci sono andato perché non avevo niente da dire di originale o di cui ero più informato o più consapevole. Gli scrittori non sono degli opinion makers: quando parlano di qualcosa è perché quella cosa la conoscono o hanno qualcosa da dire che, possibilmente, non si sia sentito o saputo ancora. Io sono abbastanza contrario all’impegno intellettuale, se per impegno si intende quello di pronunciarsi su tutto”.

Su cosa si sentirebbe di intervenire ad esempio?
“Be’, io insegno da 27 anni in carcere e magari su quello potrei fornire la mia testimonianza, ma sulla quasi totalità delle altre situazioni ne so molto meno di altri”.

La sua è una visione del sesso esplicita. Secondo lei nel nostro Paese ci sono ancora resistenze nel parlare di erotismo apertamente?
“Fin da quando ero ragazzo, quindi dagli anni Settanta, si creano dei singolari cortocircuiti nella morale corrente del nostro Paese: si va dal bacchettonismo più estremo alla sessualizzazione di ogni cosa, con in mezzo tutte le gradazioni  e le ibridazioni possibili. Secondo me quello che potrebbe fare ancora scandalo è la semplicità, l’andare dritti al punto”.

E la letteratura erotica lo fa?
“In generale a me non piace molto la letteratura erotica perché è spesso enfatica, e quindi decorativa. La cosa più difficile in ogni ambito della scrittura, ma in quello amoroso ancora di più, è invece tentare di essere estremamente franchi, e quindi espliciti, proprio come la pornografia è talvolta più onesta del cosiddetto erotismo. Si tratta sempre di un tentativo di aggiramento, insomma, se da una parte ci si censura e dall’altra ci si vuole mostrare più perversi e trasgressivi di quello che si è”.

Quando ha iniziato a scrivere queste poesie?
“Non mi è semplice indicare un inizio perché le poesie non sono datate. La prosa io la scrivo a mano, mentre la poesia sul computer, quindi fatico a risalire alle prime stesure. L’arco temporale dovrebbe andare più o meno dal 2010 al 2020”.

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Nei suoi versi si passa dall’accostare le gambe dell’amata alla sintassi proustiana, al definire il suo amore come una confezione da viaggio di dentifricio. Sono paragoni inconsueti.
“Be’, sì, non credo che nessuno abbia paragonato il proprio amore verso un’altra persona a un tubetto di dentifricio che per quanto lo spremi ne rimarrà sempre un pochino. Questa è la risorsa dell’amore: anche nei momenti in cui sembrerebbe finito o smarrito, in realtà basta che ce ne sia ancora una particella e questa durerà per sempre. Lo stesso con le frasi interminabili di Proust”.

“Ascoltarti leggere Proust ad alta voce / è come carezzare le tue gambe, periodi / interminabili, la cui sintassi si snoda / dalle ossa sporgenti del bacino lungo la coscia”.
“Entrambe le poesie riportano alla misura: da una parte c’è la mia donna con le sue gambe smisurate, che legge frasi interminabili di Proust fino a confondersi con esse. Dall’altra parte a non finire mai è il tubetto di  dentifricio, che potrà sempre permetterci di lavarci i denti anche domani, e poi domani ancora…”.

La sua amata ha letto questa raccolta?
“Sì. Fin dall’inizio della nostra storia, le leggevo delle cose al telefono, per farla ridere o commuoverla, e lei le leggeva a me. Credo che la lettura ad alta voce sia una delle esperienze più intime”.

Le confesso che anch’io ho letto le sue poesie ad alta voce con il mio compagno e un po’ di rossore è trapelato sulle guance.
“Bello! È anche questo un modo per scoprirsi l’uno all’altro, e il rossore è la reazione forse più incontrollabile del nostro corpo, che non possiamo provocare ad arte. Sarei felice se lo riportasse nell’intervista”.

 

 

 

 

 

 

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