Leggere la “Vita Nova” di Dante nel bel mezzo di una sofferenza amorosa ha un che di folgorante e senza dubbio consolatorio. Perché è un libro lieve e dolce, che ci fa sentire capiti nei momenti in cui pensiamo che niente potrà lenire il nostro dolore. È il racconto di come superare la fine di una storia, come accettare che la vita, anche se sembra finita, non è finita per davvero. Il mondo crolla e poi lo si ricostruisce, piano piano. Principalmente piangendo, e scrivendo poesie

A mali estremi, estreme letture. Esiste tutto un repertorio di libri da leggere in caso di disgrazie sentimentali, dai romanzi più brillanti come Alta fedeltà e Il diario di Bridget Jones, passando per i saggi introspettivi come Frammenti di un discorso amoroso o per grandi classici come Anna Karenina: qualunque sia la vostra situazione, c’è sempre una terapia letteraria pronta a sollevarvi il morale.

Tra le varie alternative, però, poche volte si ricorre alla Vita nova di Dante Alighieri, un piccolo libro scritto verso la fine del 1200 (di preciso tra il 1293 e il 1295), che racchiude una delle storie più romantiche e tenere di tutti i tempi.

Di fronte a narrazioni più dinamiche e attuali potrebbe suonare anacronistica l’idea di prendere in considerazione un testo medievale, ma a volte l’ispirazione (o, in questo caso, la consolazione) arriva dalle fonti più improbabili.

Non gode di molta popolarità,  la Vita nova.

Tutti la conoscono, certo, o quantomeno sono al corrente della sua esistenza, e sicuramente in molti sanno sillabare a memoria Tanto gentile e tanto onesta pare, il sonetto più celebre dell’opera, ormai diventato quasi un intercalare nel parlato di tutti i giorni. Ma il resto dell’opera passa ingiustamente in secondo piano, diluito tra le varie nozioni dei libri di testo del liceo e oscurato dalla Commedia, la sorella fortunata a cui alla fine sono rivolte tutte le attenzioni e gli onori.

Il che, in fondo, potrebbe anche essere un bene: riprendere in mano un libro assegnato durante gli anni scolastici toglie sempre un po’ di smalto e di desiderio alla lettura. Ci sono tantissimi romanzi che hanno subito la maledizione delle “letture per l’estate” e che non si sono mai potute riabilitare: tra le vittime più colpite La coscienza di Zeno, Il partigiano Johnny, Il giardino dei Finzi Contini o il meraviglioso Gattopardo. Classici che spesso rischiano di essere liquidati nella lista dei “già letti“, senza avere la possibilità di riscattarsi dall’oblio di costrizione che si sono portati dietro.

vita nuova dante alighieri

Ma parlavamo di pene sentimentali e di antidoti letterari. Parlavamo di questo librino lieve e dolce, che altro non è che la storia di una penosa malattia d’amore.

La storia di un giovane che s’innamora con un solo sguardo e che poi perde la donna amata, e che per superare questa perdita affronta sofferenze profonde, sofferenze che lo scuotono, lo atterriscono, lo tormentano fino quasi a distruggerlo. Insomma, una vera catastrofe.

Già qui, un qualsiasi innamorato ferito dovrebbe sentirsi rassicurato: parlare di amore in modo così spudorato e melodrammatico appartiene a un’epoca ormai lontana, ma nulla lenisce un animo triste quanto l’esasperazione della sofferenza amorosa.

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Dante doveva saperlo molto bene, ed è per questo che correda l’intera opera di una serie di avvenimenti a dir poco tragici: lui che perde conoscenza in mezzo a un gruppo di donne, lui che si aggira per le strade come fosse uno spettro, lui che piange, che smette di mangiare e che corteggia altre donne per cercare di dimenticare Beatrice.

Non un’ottima mossa, quest’ultima, che gli si rivolta contro con una violenza ancora peggiore: inquietanti incubi notturni lo tormenteranno per un po’ e gli faranno capire che no, il vero amore non si può sostituire con una fiamma passeggera.

Ed è questo uno dei punti nevralgici del libro, il modo che Dante ha di dirci che “chiodo scaccia chiodo” non funziona quando si è davvero innamorati.

Ne avrebbe avuto sicuramente da ridire Ovidio che nel suo Remedia amoris, a un certo punto, esortava gli innamorati proprio all’infallibile tecnica del chiodo scaccia chiodo, chiamando in causa celebri esempi come quelli di Minosse (che dimenticò l’amore per Pasifae sostituendolo con quello per Procride), di Alcmeone (che abbandonò Alfesibea innamorandosi di Calliroe), di Paride (che disse addio a Enone per Elena), e di Teseo (che preso da Filomena decise di accantonare Progne).

Anche il manuale di casistica amorosa che andava molto di moda all’epoca di Dante, il De amore di Andrea Cappellano, registrava il precetto: “Novus amor veterem compellit abire”, per dimostrare che non esiste alcun amore in grado di resistere di fronte a una nuova passione.

Dante però non è d’accordo: il suo è un amore speciale che si dimostra tanto più forte proprio perché non indietreggia di fronte a niente. Esagerato? Forse. Ma è proprio per questo che leggere la Vita Nova nel bel mezzo di una sofferenza amorosa ha un che di folgorante e senza dubbio consolatorio: cuori mangiati, incubi, notti insonni, giornate vuote, maldestri (e fallimentari) tentativi di approcciare a un nuovo rapporto, svenimenti pubblici, gruppi di amiche che sono lì a soccorrerci a ogni mancamento e momento di sconforto.

Può sembrare un’esagerazione, ma chiunque abbia vissuto almeno una volta il dolore di una separazione potrà confermare di aver sperimentato sofferenze pari al più straziante dei melodrammi. Che poi passa, lo sappiamo tutti. Ma come passa è la parte difficile.

Ecco, la Vita Nova è più o meno questo: è il racconto di come superare la fine di una storia, come accettare che la vita, anche se sembra finita, non è finita per davvero. Il mondo crolla e poi lo si ricostruisce, piano piano. Principalmente piangendo, e scrivendo poesie.

Non è questo che sognavo da bambina

L’AUTRICEJolanda Di Virgilio lavora nella redazione de ilLibraio.it. È co-autrice, con Sara Canfailla, del romanzo d’esordio Non è questo che sognavo da bambina (Garzanti, in libreria il 26 agosto). Al centro del libro, ambientato in un’agenzia di comunicazione milanese (e in cui la città, i suoi locali, i suoi quartieri sono co-protagonisti), si racconta cosa significa diventare adulti oggi: le relazioni finite prima di cominciare, il senso di impotenza di fronte a un sistema lavorativo precario e ingiusto, la frustrazione di vivere in una città difficile, dove dicono che ci sia posto per tutti dimenticandosi di dire che, in quel posto, ci si sente molto soli.

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