“L’aria innocente dell’estate” di Melissa Harrison traccia un quadro idilliaco della campagna inglese in tempo di pace, ma gli occhi della protagonista svelano man mano che dove la natura non ha colpa gli uomini non potranno fare altro che corromperla. Con una prosa pulita, intima, a tratti fiammeggiante, l’autrice non si limita a esplorare in chiave narrativa come nascono i nazionalismi, ma mostra come l’identità femminile sia costantemente schiacciata…

C’è qualcosa di infido nella nostalgia. Finché rimane un fatto privato, un crogiolarsi nel ricordo personale, può impedire di affacciarsi al futuro; ma quando diventa un sentimento collettivo può succedere qualcosa di molto più pericoloso.

L’aria innocente dell’estate di Melissa Harrison (Fazi, traduzione di Stefano Bortolussi) traccia un quadro idilliaco della campagna inglese in tempo di pace, ma gli occhi della protagonista svelano man mano che dove la natura non ha colpa gli uomini non potranno fare altro che corromperla.

Melissa Harrison, L'aria innocente dell'estate

Primi anni ’30: Edith Mather ha quattordici anni. È cresciuta a Wych Farm, e tutta la sua realtà gira attorno ai tempi dei campi: con l’estate si avvicina la mietitura, un appuntamento cruciale dopo annate sempre più scarne. Il primo confronto con l’esterno arriva con Constance FitzAllen, Connie: la ragazza arriva da Londra, indossa i pantaloni e ha intenzione di scrivere una serie di articoli sulla superiorità della vita rurale.

Connie è elettrizzante, con la sua indipendenza e la capacità di parlare di politica con gli uomini senza il timore di esprimere opinioni, ma il suo insistere sull’importanza di tornare alle tradizioni di una volta è il primo dei campanelli di allarme che iniziano a emergere pagina dopo pagina. Non che Edith se ne renda completamente conto: vorrebbe poter restare nel torpore dell’adolescenza, ma per quanti riti possa mettere in atto, l’età adulta la sta per travolgere.

Il mondo che abita Edith segue i ritmi del mondo naturale: la bellezza dei campi, del canto dei re di quaglie la avvolge in modo rassicurante. Allo stesso tempo, nell’antica casa dove la sua famiglia vive da generazioni, la legge è quella del padre, con i suoi umori. La madre, domatrice di cavalli, relegata invece al bucato settimanale, è ai suoi occhi la promessa di una magia segreta che si tramanda da donna a donna, e che è l’unico riscatto di fronte alla violenza maschile che impregna tutta la sua esistenza.

La magia è l’unica forza veramente femminile nel romanzo: non lo è l’energia di Connie, che da ex suffraggetta ha finito per simpatizzare con un movimento fortemente patriarcale, pur di difendere l’identità britannica e le usanze di un “piccolo mondo perduto” mitizzato ma mai conosciuto in prima persona. Niente viene esplicitato nel romanzo di Melissa Harrison, perché non ci sono, in quel momento, i nomi giusti: Connie e gli altri coltivatori non possono ancora venire tacciati apertamente di fascismo, la madre di Edith d’altra parte non può ammettere nemmeno con la figlia di avere dei poteri o meno.

Il bisogno di incantesimi di protezione non è solo la fantasia di una bambina cresciuta leggendo romanzi e poesie: è la richiesta di avere almeno uno strumento dalla propria parte, qualcosa che sia incomprensibile all’avversario quanto lo è il mondo degli uomini.

Con una prosa pulita, intima, a tratti fiammeggiante, Melissa Harrison nel suo testo non si limita a esplorare in chiave narrativa come nascono i nazionalismi, ma mostra come l’identità femminile sia costantemente schiacciata, e ogni tentativo di espansione venga paralizzato. Non rimane che desiderare che tutto bruci.

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