“Le condizioni ideali” di Mokhtar Amoudi è un romanzo d’esordio tenero e graffiante. Narra le disavventure di un ragazzo delle banlieue nei primi anni duemila, e la sua disperata ricerca di un posto nel mondo, dell’amore e di un riscatto sociale che lo allontani da un posto dal quale è molto difficile andare via…

“Il titolo è un antititolo”: è così che Mokhtar Amoudi presenta il suo romanzo d’esordio, Le condizioni ideali, edito in Italia da Gramma nella traduzione di Elena Cappellini. Ed effettivamente le condizioni in cui il protagonista, Skander, è costretto a crescere, sono tutt’altro che ideali.

Skander fin da piccolo è sballottato da una famiglia all’altra. E dire che una madre lui l’avrebbe. Ma l’affido non è un destino così infrequente, se si è nati in una banlieue parigina.

E così questo romanzo ambientato nella Francia dei primi anni duemila, dove in sottofondo, mentre si svolge l’epica minuta di una vita, si sentono a volte riecheggiare i grandi eventi, sta tutto sotto il segno dell’ASE, i servizi sociali per l’infanzia che seguono Skander nelle sue vicende che si dipanano tra madri affidatarie, tentativi scolastici e scelte sbagliate che lo porteranno su una strada di violenza e ossessione per il denaro. Eppure il ragazzo è puro, conserva uno sguardo sul mondo in bilico tra l’ironico e lo smarrito che fa da contrappeso alla sfrenata commedia umana che gli danza intorno: nessuno si salva e nessuno può essere giudicato, né tra gli adulti che dovrebbero prendersi cura di lui né tra i ragazzi di periferia che lo circondano.

La scrittura di Amoudi è incalzante e leggera, graffia facendo ridere e apre squarci di grottesco senza abbandonarsi mai a patetismi. C’è qualcosa delle disavventure degli orfani dickensiani in Skander, e un po’ dello sguardo di Balzac nel modo che lo scrittore sceglie per raccontarle. Sono questi i due numi tutelari sotto i quali si pone Amoudi. E forse, anche se l’umorismo dell’autore non risparmia tra gli altri nemmeno le velleità di trasformazione sociale vagheggiate saltuariamente da alcuni dei professori borghesi del protagonista, per descrivere il teatro di uomini e donne che lo circondano può funzionare molto bene una famosa frase di Marx e Engels ne L’ideologia tedesca: “Le circostanze fanno gli uomini non meno di quanto gli uomini facciano le circostanze”.

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Infatti sarebbe difficile classificare secondo categorie morali tutti i personaggi che ruotano intorno a Skander proponendoglisi come punti di riferimento, anche quando gli mostrano le vie più abiette. Per tutti sembrano decidere in primo luogo la provenienza sociale, e al tempo stesso molti conservano, proprio come il ragazzo, anche nei momenti più squallidi un barlume di tenerezza, persino a volte una strana nobiltà di spirito. 

Le scene di vita si susseguono, tra ospedali, aule di scuola, tribunali dei minori, moschee, strade e bar di quartiere, case ricche e case povere.

Nora, la madre naturale, bella e dedita a una vita al limite della legalità, madame Davert, l’assistente sociale, Madame Khadjia, la madre affidataria, che è meno bella della madre ma più ricca e, forse, altrettanto avida. Ma tutte queste donne, a modo loro, a Skander vogliono bene, pur non sapendo sempre scegliere che cosa è meglio per lui. E poi un coro di professori, poliziotti, avvocati e piccoli delinquenti: spesso egoisti, miopi, ottusi.

I momenti esilaranti non mancano, e scandiscono le tappe della scoperta della vita da parte di Skander, che da bambino sfogava la sua solitudine leggendo il dizionario Larousse perché lì dentro era contenuto tutto il mondo, e poi piano piano arriverà a conoscerlo, il mondo, vedendolo riflesso soprattutto nel prisma della banlieue di Courseine, il luogo dal quale è difficile scappare e dove si mescolano violenze e improvvisi gesti d’empatia, condivisione e sopraffazioni.

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“È un libro sull’amore e sul denaro. E sull’identità”. Così Amoudi stesso ha presentato il suo libro, che pesca a piene mani dai suoi ricordi personali, incrociando le storie vissute e ascoltate “sino a diventare io Skander”. Ed effettivamente a muovere il giovane è l’avidità di esperienze, l’ansia di un riscatto e la ricerca disperata di amore (perché, come dice nelle prime pagine del libro, “mi ero convinto di essere cattivo e inutile, perché nessuno in tempo di pace abbandona il proprio figlio”). Una corsa continua che si incrocia però presto con le traiettorie degli altri ragazzi di Courseine. Che non sono cattivi ma anche loro cercano un posto nel mondo, una condizione diversa, che passa necessariamente per un guadagno economico, da procurarsi in ogni modo, a qualunque costo.

Vera e propria contraddizione, l’acqua gelida del pagamento in contanti e il desiderio ribollente di affetto, che si agita in Skander, ragazzo timido e sensibile ma capace di trasformarsi in un piccolo criminale, studente appassionato che però legge anche Capital e forse vuole diventare avvocato, ma un avvocato finanziario perché, come gli viene da pensare quando l’uomo che lo ha difeso davanti al giudice gli consiglia di intraprendere la carriera legale per difendere i suoi amici della banlieue “si sta meglio a parlare d’affari in taxi o magari in aereo, piuttosto che in tribunale”. E saranno ancora i soldi e l’amore a ritornare, nell’ultima parte del libro, persino nell’ultima frase: l’ossimoro continuo che scandisce il tentativo di crescere, e di conquistare una vita.

In questa tragicommedia di formazione Amoudi non fa sconti quasi a nessuno e disegna un quadro onesto e durissimo, nel suo umorismo, delle rigide necessità materiali e della loro influenza sull’animo degli uomini. E Skander, con il suo strano miscuglio di innocenza e voracità attraversa una caduta negli errori conservando una particolare purezza. Fino a fare nascere, nel caos di condizioni materiali ben lontane dall’essere ideali, il fiore di una lontana eppure presente speranza.

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Fotografia header: Mokhtar Amoudi, fotografia di Francesca Mantovani

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