Un approfondimento a partire da “Il vino dei morti”, esordio di Romain Gary, opera che restò inedita e venne scoperta dopo la morte dell’autore, morto suicida nel 1980. Mario Baudino su ilLibraio.it individua sorprendenti legami tra i primi passi letterari del grande e spesso idolatrato autore, che vinse due Goncourt, e Charles Dickens…

Quando completò – era il 1937 – Il vino dei morti, Roman Kacew aveva 23 anni e doveva ancora affrontare il suo decisivo salto di identità per diventare Romain Gary, il grande e spesso idolatrato scrittore che vinse due Goncourt, prima col proprio definitivo nom de plume e poi con uno pseudonimo vero, un autore inventato, il suo doppio, Émile Ajar.

Il successo arrivò dopo la guerra, combattuta con il piccolo esercito di France Libre agli ordini del Generale De Gaulle, grazie a Un’educazione europea, fiera summa dell’esperienza della lotta antifascista fra Polonia e Francia, scritta negli hangar (era un pilota, come peraltro altri celebri autori francesi) e nei bivacchi, con tratti di autobiografia immaginaria e insieme corale: uno dei grandi romanzi della nuova Europa – e anche un omaggio a De Gaulle che, va da sé non piacque al solito Jean Paul Sartre, in quel momento filosovietico.

Romain Gary

Il vino dei morti restò inedito, ma era destinato a nutrire varie opere successive con situazioni e a volte pagine mutate di poco o trasposte di peso (lo stesso protagonista, Tulipe, darà il nome – ma non del tutto il personaggio – al romanzo con questo titolo che uscirà nel ’46).

Ora Neri Pozza, che assai meritoriamente sta ristampando tutta l’opera, ce lo propone in italiano (in Francia venne scoperto dopo la morte dell’autore, suicida nel 1980, a un’asta, e pubblicato molto più tardi, nel 2014) in una dinamica traduzione di Riccardo Fedriga, che ne è anche il curatore editoriale.

Sottolineerei l’aspetto dinamico perché segue e talvolta crea con efficacia la sarabanda linguistica del giovane autore, beffardo, gergale e sublime, ironico e spesso decisamente comico.

Romain Gary pseudo

È già, questo, il Gary delle storie di emarginati che troveremo ad esempio molti anni dopo in La vita davanti a sé (pubblicato come Emile Ajar), allegramente nichilista, sfrontato e provocatorio, che se la ride beatamente – forse un po’ amaramente – di troni e altari, di poteri e luoghi comuni trasformati artatamente in valori.

Qui affronta un suo personalissimo viaggio nell’oltretomba, anzi nella crosta sotterranea di un cimitero, dove Tulipe (non sappiamo come c’è finito, lo capiremo solo all’ultima riga) incontra scheletri e corpi semiputrefatti ma attivissimi, ciarlieri, rissosi, insomma dei morti sì, ma viventi, in un antro di puzze indescrivibili, tra vermi che sbucano dagli scheletri, ratti e soprattutto torme di “sbirri” ora a grandezza naturale ora piccolissimi come cimici, o pidocchi che si infilano un po’ dappertutto animati da irresistibili desideri erotici. C’è persino Dio che ogni tanto fa sentire la sua voce (non disgiunta da un pesante alito di rum) e gioca bruttissimi scherzi agli umani-non più umani, divertendosi un mondo.

Ci sono megere che si trattano reciprocamente da suore e madri abbadesse, giovani prostitute umiliate e offese, pubblici funzionari gonfi di retorica e di puntiglio; c’è persino il “vero” milite ignoto francese che spiega d’essersi fatto sostituire per la solenne sepoltura al Pantheon da un soldato tedesco casualmente interrato con lui in una fossa comune, e diventato suo buon amico.

In altre parole, non fosse per l’eccesso barocco di (divertito) orrore, vomito e in genere ogni sorta di schifezza fisiologica, sembrerebbe proprio di vivere in città, sopra e non sotto la terra. Tulipe, nelle sue conversazioni con questa umanità semi-trapassata, racconta a sua volta, del resto, e distesamente, gli ospiti non meno bizzarri che si alternano nella pensione gestita a sua moglie.

Il vino dei morti non è un manoscritto incompiuto, ma già pronto per la pubblicazione, che tuttavia non ebbe luogo. Se fosse uscito, lo avrebbe fatto con la firma Roman Kacew. In quel momento, infatti, il giovane Gary stava compiendo vari esperimenti: sulla letteratura e su di sé.

Nato in Lituania da famiglia ebrea, era stato portato ancora bambino in Francia dalla madre, che cercava gloria al sole del Midi e vedeva nel nuovo Paese il culmine della civiltà, della cultura, della libertà e della dignità umana. Nina Owczinski, ex attrice diventata modista e imprenditrice con alterne fortune, ivi compresa la gestione di un albergo-pensione a Nizza, aveva deciso che il suo unico, adorato figlio era destinato alla grandezza (non si sbagliava) e fin dalla nascita lo ritenne un geniaccio (tutto sommato, non si sbagliava neanche in questo caso).

Roman era di gran lunga, per lei, il ragazzo più bello intelligente e desiderabile della Francia e del mondo, ad onta del nome troppo russo e troppo ebraico, che andava cambiato: così quando si decise che il suo avvenire era la letteratura, cominciò in famiglia un attento studio dei possibili pseudonimi. Ci volle tempo per arrivare a Gari (che rimanda, in russo, al verbo “bruciare”, successivamente anglicizzato in Gary) ma non si può dire sia stato tempo sprecato, visto che lo pseudonimo – anzi qui siamo a un nom de plume come ce ne sono stati migliaia prima e ce ne sarebbero stati dopo di lui – non era scelto male; tanto più con la francesizzazione di Roman in Romain. Lo scrittore – e regista – ne avrebbe usato molti altri, ma questo sarebbe stato ormai il suo vero nome.

Cittadino della République dal ’35, studente di legge piuttosto svogliato e godereccio a Parigi, Roman-Romain dopo i primi tentativi letterari adolescenziali (scarsi risultati, ma, va da sé, per la madre era colpa degli editori) aveva cominciato a fiutare il successo, pubblicando racconti ancora come Kacew, e in qualche caso vedendoseli tradotti in America. Il vino dei morti, scritto a partire dai vent’anni, fu il suo vero laboratorio. E, bisogna dire, un laboratorio straordinario. Un viaggio nell’oltremondo: non “dantesco”, semmai picaresco. Tulipe – che è gonfio di vino – non giudica, né si stupisce oltremisura. È l’innocenza in persona, un Candide sepolcrale. Per lui tutta quella corruzione della carne è normale, uno spettacolo che non pare del tutto inedito; lo spettacolo del mondo, comico e brutale.

C’è una forte componente rabelesiana, nutrita di surrealismo e di avanguardie, ma sembra di cogliere più d’un riferimento a un autore che fa certamente parte dell’universo di Gary, e cioè Charles Dickens, spesso evocato dalla critica per il personaggio bambino di Momo in La vita davanti a sé. Nel Vino dei morti pare di leggere qualcosa di più, un vero apprendistato, un riferimento esplicito. La struttura, innanzitutto: è sostanzialmente la stessa di uno dei racconti che costellano il Circolo Pickwick, la storia, che viene appunto narrata alla compagnia riunita per Natale in una grande casa di campagna, di Gabriel Grub, sagrestano e becchino rapito dai folletti nel corso della Santa Notte. È in qualche modo l’incunabolo del più celebre dei racconti natalizi di Dickens, quello dell’avaro Scrooge, ma con sostanziose differenze. Grubb, ubriacone e dal brutto carattere, si addormenta su una tomba e viene rapito in sogno dai folletti: che gli mostrano molti mondi possibili di felicità amore e solidarietà, riempendolo peraltro di botte. Quando si sveglia è un altro uomo – a parte i reumatismi, perché dormire all’aperto in dicembre non è così salutare.

Tulipe è diverso, beninteso. In lui non c’è nessuna necessità di “redenzione” (non ne ha bisogno, è perfetto così com’è). Ma la cornice è la stessa, così come lo spazio, il cimitero, in cui avviene il viaggio onirico del protagonista, fino al momento del suo risveglio, anche per lui su una tomba. La differenza con Grubb è che non sappiamo come ci sia finito, o perché l’abbia fatto, ma questa forse è proprio la domanda che Gary pone al lettore.

Detto ciò, è vero che siamo di fronte a una struttura narrativa presente in tutte le letterature. Il viaggio in sogno è un tòpos universale; ma in questo caso, oltre alla perfetta rispondenza strutturale, Il vino dei morti riserva un’altra sorpresa molto dickensiana: i “wellerismi”, quei sentenziosi modi di dire che hanno preso nome dal fido Sam Weller, l’ironico servitore di Mr. Pickwick, che ama esprimersi con battute dove una certa frase molto comune viene attribuita a personaggi reali o immaginari in un contesto molto diverso, che ne muta il significato in modo surreale e umoristico. Per intenderci: “Mille scuse se interrompo cotesta bella conversazione, come disse il re quando sciolse il parlamento” – è uno di quelli forse più famosi del buon Sam.

Anche i wellerismi, benché “battezzati” a questo modo dai lettori e dalla critica dickensiano, esistono da sempre: ma considerata la caratura e la popolarità del personaggio da cui prendono nome – e l’alto numero di ricorrenze nel Circolo Pickwick – nei testi successivi a quel gran romanzo diventano una spia non trascurabile, al limite della citazione. Nel Vino dei morti Gary se ne concede almeno due, e di scuola, entrambi relativi a un patibolo. “Sono lusingato!”, dice per esempio Tulipe a un monaco “giallastro” che nella sua “tomba stretta” lo accoglie con un: l’aspettavo. “Davvero molto lusin­gato, proprio come rispose uno dei miei buoni amici Totor la Friture al boia di Parigi che gli disse così, un mattino!”.

 La prossimità fra i due autori è davvero notevole; e ci consente di immaginare un Gary ventenne che, mentre metteva a punto la sua macchina narrativa e stilistica cui sarebbe stato sostanzialmente fedele in tutto il suo lungo e multiforme percorso di scrittura, guardava con grande interesse all’esordio clamoroso, esattamente un secolo prima, di un altro scrittore giovanissimo e come lui ribelle. Non dimentichiamo che Il circolo Pickwick cominciò a uscire a puntate nel 1836, quando l’autore aveva 24 anni: la suggestione che Gary abbia visto in Dickens un coetaneo da abbracciare e sfidare resta beninteso un’ipotesi, ma è anche la conferma di una chiave di lettura non secondaria per i grandi romanzi, ilari e tragici, della sua maturità.

Fotografia header: GettyEditorial 22-04-2021

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