“‘Pseudo’ è il terzo romanzo che Romain Gary fece uscire pseudonimo, con il nome di Emile Ajar. Grazie ad esso riuscì a stornare i sospetti che si erano creati nel mondo letterario circa l’identità dell’autore di questi libri dal successo straordinario, totalmente fuori moda rispetto all’ondata del nouveau roman”. Su ilLibraio.it la riflessione di Mario Baudino su uno scrittore francese che “aveva bisogno di molte vite, e che cercava attraverso l’uso degli pseudonimi l’opera totale, dove l’autore diventa personaggio stesso, e il gioco di specchi in fondo al quale il suo vero volto non si manifesta mai”

Quando mandò all’editore il nuovo libro firmato Emile Ajar, Simone Gallimard, che non sapeva chi si nascondesse dietro quel nome, si preoccupò moltissimo: perché si parlava molto male, pur senza nominarlo, di Romain Gary. Lo mostrò al suo celebre autore, per chiederne il parere. Nemmeno lei sapeva che Ajar e Gary erano la stessa persona. Pseudo (uscito nel ’76 per il Mercure de France, sigla legata alla Gallimard) è il terzo romanzo che lo scrittore francese fece uscire pseudonimo – in contemporanea con gli altri da lui firmati –, e fu anche il suo più clamoroso gioco di prestigio. Grazie a esso riuscì infatti a stornare i sospetti che si erano creati nel mondo letterario francese circa l’identità dell’autore di questi libri dal successo straordinario, totalmente “fuori moda” rispetto all’ondata del “nouveau roman” che sembrava da tempo ormai l’unica possibile strada per la narrativa: e che negava la narrazione stessa.

Romain Gary pseudo

Gary, col suo acceso pluringuilismo e la invece fortissima verve romanzesca, il senso del tragico e del sublime ma anche le improvvise sprezzature, è ancor oggi una lettura straordinaria, mentre forse non si può dire altrettanto di Alain Robe-Grillet o Michel Butor. La sua opera (che Neri pozza sta ristampando da qualche anno) conserva intatto il fascino un po’ guascone, persino a tratti una certa retorica della follia e della provocazione. Gary, eroe di guerra nell’armata gollista, aviatore mitragliere, scrittore di ottime vendite da Un’educazione europea (1945) in poi, e diplomatico di successo per parecchi anni, fino a quando non si stufò, aveva bisogno di molte vite, cercava attraverso l’uso degli pseudonimi l’opera totale dove l’autore diventa personaggio stesso, e il gioco di specchi in fondo al quale il suo vero volto non si manifesta mai. 

Si nascondeva come la nostra Ferrante, ma duplicandosi e cercando qualcosa di diverso: il gorgo da cui nasce la scrittura. Vinse due Goncourt, cosa vieta dal regolamento: uno col proprio nome, uno come Ajar, arruolando per la bisogna un cugino o nipote che lo impersonò per lo stretto necessario, ma poi in qualche modo fu tentato di esagerare, complicano ulteriormente il caleidoscopio. Proprio Pseudo, l’unica opera mai tradotta in Italia, viene ora proposto, a cura di Riccardo Fedriga, sempre per Neri Pozza. È il  libro dell’angoscia che attanagliava Gary, in sostanza un lungo monologo di Ajar, che è o si sente pazzo, è o crede di essere in una clinica, è o crede di essere inseguito da critici e giornalisti che lo vogliono conoscere e vedere in volto – visto che afferma di essersi sempre nascosto anche per problemi con la giustizia francese. 

È nello stesso tempo la maschera del “vero” autore ma anche la sua presunta vittima, posto che nomina spesso un zio divoratore che chiama Tonton Macute ovvero l’uomo nero del folclore haitiano ma anche il soprannome che veniva dato negli Anni Cinquanta alle squadre della morte in quel disgraziato Paese. Negli Anni Settanta pochissimi erano a conoscenza del segreto: l’ex moglie, l’attrice Jean Seberg, e Robert Gallimard, il suo interlocutore privilegiato alla casa editrice. E non rivelarono mai nulla. L’interesse di Pseudo è notevole, proprio perché tra lampi di follia e squarci di verità racconta proprio il momento in cui si Gary si trovò, non senza angoscia, a dover difendere il proprio segreto. 

Ci sono trasparenti riferimenti a quanto accadde dopo il Goncourt di Ajar, e una straordinaria riflessione sul rapporto tra opera ed autore, valida ancor oggi. Per esempio quando lo psichiatra lo incoraggia dicendogli: “Forza. Il desino non la cercherà di più sotto il nome di Ajar che sotto un altro. Lui se ne frega. Spazza via tutto. In ogni caso, per il destino, i nomi, lei lo sa…”. È un romanzo in prima persona a tratti irresistibilmente comico e a tratti spaventoso, come la vita. Lo scrittore nato Roman Kacew in Lituania cambiò molti nomi con rabdomantico virtuosismo, sempre facendola per così dire franca. Infine li riportò tutti insieme a se stesso, mandando all’editore l’ultimo manoscritto, Vita e morte di Emile Ajar, e togliendosi la vita nella casa di Parigi il 2 dicembre 1980.

Poco prima, in una cena con Gallimard, aveva fumato un sigaro: cosa da cui si asteneva da tempo, e per altro abitudine o vizio dal quale Tonton Macute, in Pseudo, tenta inutilmente di disintossicarsi. È da pochi giorni nella sale La promessa dell’alba il film ispirato a un suo romanzo in larga parte autobiografico, a quella sua vita inimitabile. Pseudo, libro non facile, torrenziale e allucinato, ne può rappresentare un ottimo vademecum.

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