Dai mulini a vento di “Don Chisciotte” a “I Vicerè” di De Roberto, passando per “Un oscuro scrutare” di Philip K. Dick…
Luca Bernardi, classe ’91, al debutto letterario con “Medusa”, romanzo in cui la malattia mentale diventa rifugio irrinunciabile per scansare traumi e colpe dal peso schiacciante, su ilLibraio.it si confronta con il rapporto tra follia e letteratura

Don Chisciotte, capostipite della narrativa moderna, scambiava mulini per giganti, ronzini per palafreni, baldracche per principesse. Moltissimi grandi libri parlano di follia. Ma se dovessi sceglierne due, opterei per I Vicerè (1894) di De Roberto e per Un oscuro scrutare di Philip K. Dick (1977).

Il primo è un lungo romanzo corale che narra le vicissitudini e i conflitti tra gli eredi dell’antica casata sicula degli Uzeda, dalla metà dell’Ottocento attraverso l’unità d’Italia fino all’elezione a suffragio allargato del 1882. Con piglio da biologo De Roberto indaga le vite di tre generazioni, mettendo a nudo la morale flessibile, gli intrecci tra pubblico e privato, tutta la piccineria pomposa di un clan di approfittatori. Permea il racconto un realismo ellittico, che dall’osservazione minuta dei tic comportamentali e della chiacchiera costruisce un ritratto dell’insignificanza umana.

E in effetti nel sangue dei Vicerè Uzeda brulicano tare ancestrali. Pazza è la principessa che per trent’anni ha trattato i figli come pedine; pazzo è il primogenito Giacomo, estorsore talentuoso ma pavido al punto da bandire il figlio dal palazzo e addirittura temersi “iettatore di se stesso”; pazza è la sorella Chiara con il suo feto abortito sotto spirito; pazza è la zia Ferdinanda, la cui propensione all’usura non scalfisce l’ossessione araldica; pazzo è lo zio Eugenio, archeologo dilettante, fondatore di oscure accademie, autore di trattati in cui al plagio di antiche fonti si alternano genealogie di calzolai che foraggiando l’opera hanno conquistato il diritto di figurarvi con tanto di stemma; pazzo è il principino Consalvo, incarnazione della rapacità degli antenati, che si finge progressista per entrare in parlamento e prova però ribrezzo a sfiorare i plebei che lo acclamano. Ma, per essere considerati folli, i nobili di De Roberto non sono troppo scaltri?

Eppure proprio nel segno della demenza si possono leggere i Vicerè. Le conversazioni tra parenti si fondano sulla costante falsificazione, sul raggiro, sul doppio gioco. Convitato di pietra, la malattia mentale funziona nel romanzo come una maledizione in una storia dell’orrore, è il marchio dell’infamia, lo scotto pagato dagli Uzeda per quasi un millennio di soprusi. In famiglia tutti sparlano di tutti, tutti si rimangiano la parola, tutti si coalizzano contro tutti, tutti si maledicono e fingono pace per tradirsi con maggior profitto. E che nessuno dei Vicerè sia in grado di cogliere l’aspetto patologico della propria condizione rende il libro comicamente tragico: la pazzia quale forma ereditaria e inconoscibile dell’infelicità. Mentre invece sarà Giovannino, a cui gli Uzeda impediscono l’unico matrimonio d’amore ventilato nel romanzo, l’unico a sbirciare per un attimo dietro il drappo delle convenzioni. “Egli guardava la soglia della camera nuziale con un occhio fisso, dilatato, come se ci vedesse qualche cosa di orribile.” Ed è forse questo oscuro scrutare a costargli la vita.

Tra la pazzia dei Vicerè e la psicosi di Dick sono passati ottantacinque anni. Se a fine Ottocento entrava in voga una concezione della malattia mentale quale esito di distorte imposizioni familiari, nel secolo successivo gli scrittori allargheranno l’indagine verso il complesso della società. Il folle diventa allora il prodotto finale della catena dei consumi, scarto impossibile da assorbire nella produzione e dunque accantonato in un corridoio d’istituto. Proprio qui approderanno alcuni personaggi di Un oscuro scrutare, capolavoro di una fantascienza che poco si sforza di nascondere la propria attualità.

In un futuro prossimo ai tardi anni Settanta in cui Dick scriveva, un agente della narcotici sotto copertura, Bob Arctor, a causa dell’uso quotidiano di una droga misteriosa, assiste al graduale sdoppiarsi della propria personalità. Anche gli altri tossicodipendenti, piccoli spacciatori e debosciati con cui Bob è entrato in contatto, e che ormai sono diventati suoi amici, flirtano sempre più con la follia. Cominciato con la descrizione di un tizio convinto di ospitare colonie di insetti nei capelli, il romanzo impazzisce circa a due terzi, quando un agente della polizia (di cui Bob non conosce identità né fattezze e che a sua volta non ha mai visto Bob: prima di entrare in commissariato gli agenti indossano una tuta integrale che elide i tratti somatici) ordina al protagonista di spiare nient’altri che se stesso.

Da qui in avanti il racconto assume un andamento schizofrenico. Bob non riesce più a pensarsi allo stesso tempo inquirente e indiziato. Allora si scinde; ora è il poliziotto, ora il delinquente ossessivo che teme di essere controllato. Passa metà del tempo a procurarsi la droga e l’altra metà a osservare le riprese effettuate nella propria casa da telecamere nascoste che non ricorda di aver contribuito a installare. Come faccio a inchiodarlo?, mormora guardandosi dormire in video. Poi la situazione precipita. Bob si persuade che uno degli amici voglia ucciderlo. Forse è anche lui un agente della narcotici sotto copertura, forse la polizia sta perpetrando un gigantesco inganno nei confronti dei cittadini, forse siamo tutti sotto copertura, forse l’esistenza universale è una rocambolesca retata sotto mentite spoglie…

Qualsiasi dettaglio, seppur minimo, attecchisce alla valanga del delirio. Rifranto in un gioco di specchi, l’occhio rivoltato dello schizofrenico scambia il buio occipitale per la cecità del cosmo. Ma a prezzo della scissione della coscienza, sembra dirci Dick, la psicosi può talvolta intuire il sottotesto del reale. La notte tra le stelle è poi così diversa dall’oscurità del cranio? E se Bob avesse ragione?

L’AUTORE E IL SUO PRIMO ROMANZO – Luca Bernardi, classe 1991, è cresciuto a Bolzano. Tunuè ha appena pubblicato il suo primo libro, Medusa, un romanzo di formazione al contrario, sul confine tra la commedia e la tragedia, in cui la malattia mentale diventa un rifugio irrinunciabile per scansare traumi e colpe dal peso schiacciante.

medusa

La trama ci porta sulle montagne attorno a Bolzano, dove qualcuno spinge una bimba da una scarpata. Dieci anni dopo, sulla costa tirrenica si scopre il corpo di un bambino annegato. Nel frattempo, un ragazzo velleitario e disadattato, ossessionato dagli extraterrestri e dall’idea di compilare un dizionario che vada oltre il linguaggio, ciondola con i genitori in uno stabilimento balneare di lusso. Si invaghisce di un’adolescente, sfida marmocchi a ping-pong, fantastica sul futuro successo della sua opera. Durante una festa dai ricchi zii, le sue fissazioni si inaspriscono fino a spingerlo a fuggire con tre amici verso la costa opposta. Tra sogni di grandi imprese erotiche, manicomi, contatti alieni e appartamenti di prostitute, dovrà infine scontrarsi col più orribile dei propri segreti…

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