Le donne che racconta Rossana Campo nel suo nuovo romanzo, “Libere e un po’ bastarde”, hanno sessant’anni, ma l’energia che scorre nelle loro vite e relazioni sembra quella di un gruppo di amiche di trent’anni di meno. La scrittrice ce le mostra in tutta la loro verità e vitalità. Il tema dell’amore — del poliamore, della fedeltà, dell’attrazione — alimenta una trama di relazioni, incontri e tradimenti, che danno vita a una commedia sentimentale dai toni vivaci, densa di erotismo e ironia…

Quando una donna annuncia il proprio matrimonio alle amiche, c’è sempre una strana sensazione nell’aria. Sappiamo che dovremmo gioire: ci hanno insegnato che questo tipo di notizie si accolgono con gridolini entusiasti, abbracci calorosi, congratulazioni sincere e occhi scintillanti. Recitiamo il copione imparato dalle narrazioni — libri, film, racconti altrui — e ci caliamo nella parte di chi supporta con slancio, pronta a immergersi nei preparativi delle nozze: la scelta dell’abito, il tema della cerimonia, la location e, ovviamente, i fiori. Ah, i fiori!

Però.

Però, mentre indossiamo il sorriso più radioso e brindiamo alla felicità della nostra amica, dentro di noi si insinua un pensiero sottile, una nota dissonante. C’è qualcosa che non torna, e lo sappiamo. Perché per quanto possiamo gongolare all’idea di sfoggiare il nostro vestito migliore, ballare fino a notte fonda e sorseggiare calici di prosecco al buffet, il matrimonio, per le donne, è spesso una trappola. O, almeno, lo è stato per molto tempo.

Rossana Campo libere e un po' bastarde

Tra i libri che potrebbero essere protagonisti al Premio Strega 2025, come abbiamo raccontato, c’è anche il nuovo romanzo di Rossana Campo

“Il matrimonio in quanto istituzione si è sviluppato dallo stupro come prassi.

Che cosa?
Ripeti.

Andrea Dworkin sostiene che il matrimonio è diventato un’istituzione che affonda le sue radici nello stupro delle donne”.

Matrimonio, per le donne, ha significato a lungo ricoprire un ruolo specifico. E ruolo, quasi sempre, significa prigione. Ma si può davvero accettare che una donna resti relegata in un’istituzione patriarcale che nega la natura stessa dell’essere umano?

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Rossana Campo, con il suo nuovo romanzo Libere e un po’ bastarde (Bompiani), affronta questo dilemma con una prospettiva unica. Lo fa, innanzitutto, conquistando chi legge con una voce affabile e sferzante. Leggere le prime pagine è come accomodarsi in una brasserie parigina, ordinare una bottiglia di Bordeaux accompagnata da qualche oliva croccante, e lasciarsi trasportare da un’amichevole conversazione.

I dialoghi serrati — cifra distintiva dello stile dell’autrice, quasi teatrali nella loro intensità — creano una dimensione intima e vibrante. L’atmosfera che si respira è frizzante, avvolgente, primaverile. Ti stuzzica con un erotismo calibrato, è sfrontata, mai preoccupata di compiacere, capace di lasciarsi andare a momenti di tenerezza spontanea. Come una vera amicizia — quella che lega le personagge di questa storia.

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Betti è la protagonista: sceneggiatrice di talento e grande carisma, figura seducente che trabocca di energia e passione. Al suo fianco ci sono Alice, Gloria, Federica, Lorenza e Sylvie. Ognuna di loro è travolta dalla propria quotidianità: chi cerca stratagemmi suggeriti da un terapeuta brillante per liberarsi dalle relazioni tossiche, chi litiga con un regista tiranno (e marito) esigente e spaccone, chi è bloccata in una relazione ormai spenta, chi si prepara a un matrimonio che forse non desidera più.

Conosciamo le loro vite attraverso confessioni e chiacchiere da bar, dove aggiornamenti si intrecciano a riflessioni filosofiche, gossip, giudizi pungenti e ricordi dolceamari. Il tutto è condito da una buona dose di divertimento.

Chiunque abbia avuto la fortuna di far parte di un gruppo di amiche vere, libere (e un po’ bastarde) si ritroverà in quel porto sicuro dove ci si rifugia a fine giornata per svuotare il sacco, guardarsi allo specchio nei riflessi delle altre e sentirsi finalmente se stesse.

È una sensazione — quella della sorellanza — che si manifesta con forza e luminosità in ogni fase della vita: dai segreti confidati da bambine, alla ricerca reciproca nell’adolescenza, fino alla maturità, tra progetti di vita e cambi di rotta.

Le donne che racconta Rossana Campo hanno sessant’anni, ma l’energia che scorre nelle loro vite e relazioni sembra quella di un gruppo di amiche di trent’anni di meno. Questo è uno degli aspetti centrali del romanzo, che sfida la rappresentazione tradizionale della donna over 60 come figura marginale. Anzi, Campo (che ha esordito nel 1992 con In principio erano le mutande, Feltrinelli, e nel 2016 ha vinto il Premio Strega Giovani per il romanzo Dove troverete un altro padre come il mio, Ponte alle Grazie) crea uno spazio per una rappresentazione femminile dove solitamente non esiste: donne spettinate, affascinanti, scintillanti, pronte a sedurre, cercare, desiderare.

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“Lo sapete, dice Lorenza, c’è un libro interessante di Barbara Macdonald sulla vecchiaia delle donne. Lei era nata all’inizio del Novecento e, ai suoi tempi, le lesbiche non esistevano nei romanzi o nei film. Poi, invecchiando, ha notato che accadeva lo stesso con le donne anziane: sparite dai radar. A un certo punto, non hai più il diritto di farti vedere”.

E invece Campo ce le mostra in tutta la loro verità e vitalità. Il tema dell’amore — del poliamore, della fedeltà, dell’attrazione — alimenta una trama di relazioni, incontri e tradimenti, che danno vita a una commedia sentimentale dai toni vivaci, densa di sensualità e ironia. Come in una versione letteraria di Sex and the City (ultima stagione, naturalmente), le protagoniste esplorano desiderio e vita dopo i cinquant’anni, mentre Campo indaga con raffinata nonchalance i nodi esistenziali dell’essere donna. Ogni dettaglio — un’esclamazione in francese, un abbraccio, una battuta al momento giusto — addolcisce la vita, rende gli spigoli più sopportabili e aiuta a ricordare che ciò che conta è non avere limiti.

“Ho pensato che le donne adorano vivere nel pericolo della passione. Adorano sfiorare il rischio, la tragedia. Abbiamo troppo coraggio, troppa forza nei nostri cervelli e nei nostri cuori per accontentarci della routine. Abbiamo bisogno di sfiorare la morte, l’avventura. Essere amate senza sentire il pericolo, l’incertezza, non ci soddisfa”.

Libere e un po’ bastarde è un romanzo che parla ai sensi, al corpo. Ci sono i rumori delle strade affollate di Parigi, i sapori di una quiche e di un risotto preparati con cura, le sensazioni di due donne che si scoprono di notte, e si innamorano. Ci sono i pianti da sdrammatizzare, le confidenze che arrivano al momento giusto, la voglia di sedersi su un prato e entrare in contatto con la Terra, la consapevolezza di essersi liberate da tutto ciò che significava conformarsi a un’etichetta.

Perché, alla fine, essere libere significa proprio questo: tornare a essere chi siamo sempre state (chi abbiamo sempre sentito di essere), senza guinzagli, a briglia sciolta.

“Non lo sapevo bene perché non mi sentivo aggraziata come lo intendeva, ma nemmeno mi sentivo sgraziata, cioè una cafona, una senza nessuna eleganza. Comunque non le credevo, non credevo al suo giudizio. Non sapevo bene cosa si aspettava da me, non lo capivo del tutto. Com’ero fatta io, non era qualcosa che lei aveva previsto, che nessuno intorno a lei aveva contemplato, ma sapevo già che avrei fatto a modo mio. Forse da bambina sai già chi sei, poi te lo vuoi dimenticare, fai di tutto per dimenticarlo, ma a un certo punto te lo ritrovi di fronte e non puoi più fare finita di niente”.

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