John Fante (1909 – 1983) ha visto il successo troppo tardi, solo grazie all’intervento di Charles Bukowski. Eppure nella sua vita ha scritto capolavori come “Chiedi alla polvere”, “La strada per Los Angeles” e “La confraternita dell’uva” – L’approfondimento sulla sua vita e i suoi libri

John Fante, esattamente come il suo alter-ego e personaggio più famoso, Arturo Bandini, desiderava ardentemente diventare uno scrittore. Purtroppo, però, non ha potuto godere del successo travolgente in cui aveva sperato. Esordiente con buon plauso di critica e dunque romanziere di nicchia, Fante si è trovato costretto a dover ripiegare sulla scrittura cinematografica, un lavoro che sapeva fare con competenza e professionalità, ma che non lo ha mai davvero appassionato. Un sogno tradito, quello del successo letterario, che sembra tornare a brillare per pochi anni, poco prima della morte (a causa di una forma molto grave di diabete, nel 1983), grazie all’intervento di Charles Bukowski, letteralmente innamorato dei suoi libri.

Chiedi alla polvere, di John Fante

I libri di Fante sono pubblicati in Italia da Einaudi Stile Libero

John Fante: storia di un greaser

Di discendenza italiana (suo padre era di Torricella Peligna, in Abruzzo, mentre sua madre era figlia di emigrati lucani), John Fante nasce nel 1909 negli Stati Uniti più puri: in Colorado. Avverte profondamente il legame con l’Italia, riportando la sua complessa eredità di italoamericano anche nelle sue opere narrative. “Dago”, “greaser”, così erano chiamati gli immigrati italiani, e la commistione di identità americana, cultura italiana e discriminazioni perpetrate da ragazzi nati e cresciuti nello stesso Paese dov’era nato e cresciuto lui, hanno portato Fante – che pure non ha visitato l’Italia fino all’età adulta – a sviluppare una profonda consapevolezza delle sue radici. Una consapevolezza molto vicina alla venerazione, a tal punto che, diversi anni dopo, quando come screenplayer si trova in Italia a lavorare per Dino De Laurentiis, e viaggia tra Napoli e Roma, non riesce a trovare il coraggio di mettere piede nel suo paese natale. Anzi, a questo proposito c’è un aneddoto che rende bene i tumulti che provava nell’animo: dopo essersi fatto portare in macchina a Torricella Peligna, sembra che Fante, non appena entrato in paese, abbia chiesto all’autista di fare inversione. Tanto forte era il peso di percorrere le stesse strade conosciute da suo padre e la paura di trovare un luogo diverso rispetto ai racconti della sua infanzia.

Ma tutto questo accadrà diversi anni dopo: quando Fante è ancora un ragazzino del Colorado, i rapporti complicati con la famiglia e i sogni di gloria non lo portano certo in Italia, ma in California, un posto abbastanza lontano dal padre, onesto muratore e incarnazione del sogno americano. Quello di John Fante, infatti, non è certo sporcarsi con la calce, bensì scrivere, e, grazie alla scrittura, ottenere fama e successo. Fante, come ogni autore è anche un grande lettore: ama, su tutti, Fame, romanzo del 1890 del premio Nobel norvegese Knut Hamsun, che ha letto e riletto dopo averlo rubato in biblioteca. Si trasferisce a Bunker Hill, quartiere che conosciamo anche noi grazie al racconto che ne farà nei suoi romanzi, e spera che l’università e la vita nei sobborghi lo portino a scrivere il capolavoro che gli varrà la celebrità.

Arturo Bandini, La strada per Los Angeles

Non è così: la sua prima opera resterà per il resto nella sua vita dentro un cassetto e verrà pubblicata solo postuma nel 1985, è La strada per Los Angeles e il protagonista è già quell’Arturo Bandini che i suoi lettori impareranno ad amare e a identificare come alter ego dell’autore. Il romanzo viene sistematicamente rifiutato da tutte le case editrici a cui Fante lo propone: il ragazzo è consapevole di non aver scritto un prodotto adatto al mercato editoriale degli anni Trenta, sia per le opinioni espresse, sia per linguaggio utilizzato. Tutto, nella Strada per Los Angeles, tende all’eccesso. Un eccesso che oggi senza dubbio passerebbe praticamente inosservato e, anzi, risulterebbe coerente con la caratterizzazione del protagonista. Non è un caso, che la scrittura di John Fante sia stata negli ultimi decenni oggetto di costante celebrazione.

Aspetta primavera, John Fante

Nonostante i rifiuti, Fante persevera e riesce a esordire nel 1938, con Aspetta primavera, Bandini. Il romanzo non si concentra solo sulla figura di Arturo, ma su tutta la famiglia Bandini e, in particolare, sul padre del protagonista, Svevo, un immigrato italiano che fa il muratore in Colorado: l’autobiografismo è palese. Il giovane John Fante viene guardato con interesse dalla critica e può ben sperare che la carriera tanto agognata stia lentamente prendendo il via.

Racconti di Fante

Deve però riporre i suoi sogni nello stesso cassetto dove ha lasciato La strada per Los Angeles: quando, nel 1939, esce Chiedi alla polvere, l’accoglienza è a dir poco fredda, e Fante si appresta, ad appena un anno dal debutto, a cadere nuovamente nell’oblio e nell’anonimato.

Chiedi alla polvere è un romanzo straordinario e straziante, che segue l’educazione sentimentale di un giovane Arturo Bandini, carico di rabbia e cattiveria inespressa, incapace di rapportarsi con la ragazza di cui si invaghisce, la cameriera messicana Camilla. Sarà considerato il suo capolavoro, ma troppo tardi.

Fante continua a scrivere romanzi e racconti, ma l’attività resta secondaria a quella di screenplayer, sicuramente più remunerativa, con cui mantiene i quattro figli avuti con la moglie Joyce Smart. Fante scrive per i grandi magnati di Hollywood e, come abbiamo detto, per l’industria italiana, ma è un lavoro che compie macchinalmente, con talento ma senza cuore: un onesto mestiere che gli dà da vivere ma per cui non sarà ricordato. L’altro capolavoro di Fante, La confraternita dell’uva, è del ’77, mentre la conclusione della saga di Arturo Bandini, Sogni di Bunker Hill esce cinque anni più tardi e non viene scritto da Fante, ormai cieco a causa del diabete, bensì dettato alla moglie. Il romanzo, sempre autobiografico, racconta del lavoro, ben pagato ma insoddisfacente, come sceneggiatore di Arturo Bandini. Sebbene la tematica sia amara e il momento della stesura drammatico, lo stile di Fante si mantiene brillante, acuto, ironico, e il libro sembra scritto da un uomo ancora nel pieno delle forze.

Fante, Sogni di Bunker Hill

Tutto merito di Charles Bukowski

Abbiamo accennato che, per il suo tardivo successo, Fante deve essere grato a un altro autore, diverso da lui per stile e per tematiche: Charles Bukowski. La storia, raccontata da Bukowski stesso è abbastanza conosciuta: lo scrittore si trovava in biblioteca, sfiduciato dalla pochezza letteraria ed emotiva che riscontrava nella letteratura americana a lui contemporanea, alla ricerca disperata di qualcosa che potesse fargli cambiare idea. Incappato per caso in una copia di Chiedi alla polvere, Bukowski legge le prime righe e trasecola: eccolo, l’autore che cercava! Bukowski legge, si informa, decide di proporre (o, meglio, di obbligare) alla sua casa editrice di ripubblicare l’opera completa di John Fante. C’è solo un problema: è il 1978 e Fante, ricoverato, sta malissimo. Bukowski deve andare a trovarlo in ospedale ed è difficile pensare quell’uomo sprezzante di tutto e di tutti emozionato come un bambino, pronto a farsi piccolo davanti a colui che ha platealmente definito “Dio”.

In ogni caso Bukowski riesce nel suo intento: Fante viene ripubblicato e, finalmente, la sua opera riceve l’apprezzamento che merita. Mancano cinque anni alla morte di e sono sicuramente pochi, nella vita di un uomo, ma almeno, a differenza di tanti geni celebrati postumi, Fante riesce ad assaggiare un pizzico della gloria tanto agognata. La sua popolarità, da allora, è sempre cresciuta: dei suoi romanzi sono stati fatti adattamenti cinematografici, sono state pubblicate nuove edizioni, sono stati scovati gli inediti per non perdersi proprio nulla. È bello, allora, immaginare un giovane John Fante, ma anche uno sfacciato Arturo Bandini, tronfio della propria, postuma, gloria, che ripensa all’infanzia in Colorado ed esclama: “Io ve l’avevo detto!”.

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