Con “Mare calmo, isolati misteri” Simona Soldano fa un esordio di carattere, molto ironico, misurato tra introspezione, avventura e racconto online. La passione per il giallo le permette di usare con disinvoltura temi e archetipi di genere arricchendo il mistero con arte, natura, e storia: il risultato è un racconto suggestivo di luoghi meravigliosi e di empatie inaspettate – L’approfondimento

La tentazione più potente è quella raccontata da Luigi Pirandello: “Hai mai pensato di andare via e non tornare mai più?”.  Scappare, lontano, da tutti e da ogni cosa, per inventarsi una nuova vita. Quando ci si sente invischiati in rapporti tutti uguali, e ci si scopre a fluttuare annoiati in mezzo alla gente, stanchi di una socialità vuota e di una quotidianità priva di stimoli, il pensiero è quello. Per tanti resta solo un sogno, per Martina, a quarantacinque anni, è la realtà.

Non è una fuga da adolescente la sua, e lei ne ha collezionate, fin da bambina: è una scelta adulta e consapevole, che le fa abbandonare Roma, grazie a un bando indetto dal demanio, un progetto di seminari per pittori e la concessione per cinquant’anni di un faro: uno scoglio in mezzo al Mediterraneo, in un piccolo arcipelago di isolotti. È il luogo ideale per coltivare un isolamento elitario, la passione per l’arte e magari anche un orto: ma in Mare calmo, isolati misteri di Simona Soldano (Garzanti), l’elogio della solitudine si tinge di giallo.

“Vivere da soli in un luogo inospitale, e cavarsela.
È un’idea paradisiaca.
Per questo il faro”.

Dietro a scelte così coraggiose ci si aspetta persone molto indipendenti, con mille talenti per affrontare ogni situazione e imprevisto, per cavarsela, appunto. Martina è totalmente priva di senso pratico, soffre pure di vertigini, si mette subito a scrivere un blog e a dipingere paesaggi. Lei è una sognatrice, e da quella solitudine si aspetta ispirazione e assenza di preoccupazioni. In una casetta dalle pareti bianche e piena di scatoloni, inizia con molta pigrizia e una bottiglia di champagne in fresco, la sua nuova vita da eccentrica guardiana del faro, che fortunatamente è automatizzato.

Non vorrei che si creasse qualche pregiudizio. Per me la misantropia è quasi una virtù: togliersi di torno, in questo mondo sovraffollato, potrebbe essere visto anche come un atto di generosità verso il prossimo, a rifletterci sopra”.

Strana scelta un faro, che per sua natura è fatto per attirare attenzione, segnalare la propria esistenza, farsi notare dai naviganti: proprio quello che Martina non vuole. E di lei si accorge subito l’anziano vedovo proprietario di una villa sull’isola più grande, di fronte alla sua. C’è un invito a cena, poi un altro, e le serate diventano un’abitudine. Cibo squisito e poche parole, l’uomo si rivela un perfetto compagno di misantropia, che intervalla lunghi silenzi coi suoi strani racconti, leggende del luogo, cariche di mistero, storie macabre che tolgono il sonno.

Se da un lato l’arcipelago di isole è un incanto di luci e colori, è anche vero che l’immersione così totale nella natura e la totale solitudine sono il tormento per l’ansia, e le immagini che l’anziano ospite rievoca non aiutano. C’è inquietudine nelle notti, il buio è ostile e pieno di rumori, e quella grande villa nasconde segreti, abitanti che circondano il vedovo di un senso ambiguo e un po’ tetro, sospettoso: una figlia mentalmente fragile, un segretario acido e sprezzante, un marinaio diffidente e burbero, una cuoca che forse sa troppo. E poi quelle luci misteriose nella notte, in mezzo all’acqua, da far pensare a UFO, a Godzilla e a Leviatani. Martina pensa in grande quando si agita, e la suggestione la conquista.

C’è anche l’aggravante che il vedovo è maledettamente ricco, e che una sera accenna per caso a un nemico: così, quando viene trovato morto impiccato, Martina non crede al suicidio e vuole capirne di più.

“Non posso pensare di risolvere tutto restandomene al sole. Tanto più che i suoi raggi mi hanno già stufato”.

È un’indagine un po’ sbrindellata per lei che non è avvezza a seguire la rete di indizi, a cercare alibi, a sviluppare teorie. L’aiutano i follower del suo blog, una manciata di personaggi che si insinuano nella vicenda, se ne appropriano, azzardano tesi, conducono persino interrogatori. Sono loro a dover far quadrare le idee spesso bislacche di Martina.

I loro interventi sono la cifra umoristica della storia, e rappresentano un bizzarro e molto riuscito intermezzo allo sviluppo della trama, che recupera tragedie del passato nella più classica formula di Agata Christie, con un’interprete irriverente e maldestra.

La tavolozza di colori che Simona Soldano mette in mano a Martina è ricca e intensa, e gioca su più registri: cupa e plumbea, luminosa e incantevole per definire un paesaggio mutevole come gli accadimenti della storia, leggera e allegra nel raccontare una protagonista impacciata nel ruolo improbabile di investigatrice e in quello più naturale di donna stravagante e autentica insieme.

Con Mare calmo, isolati misteri Simona Soldano fa un esordio di carattere, molto ironico, misurato tra introspezione, avventura e racconto online. La passione per il giallo le permette di usare con disinvoltura temi e archetipi di genere arricchendo il mistero con arte, natura, e storia: il risultato è un racconto suggestivo di luoghi meravigliosi e di empatie inaspettate.

“… non pensavo che un misantropo potesse avere tanti amici”.

 

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