Nel suo primo romanzo, “Solo i santi non pensano”, Mattia Tortelli racconta la storia di Gabriele, “un ragazzo di trent’anni che ama le piante e che lavora per una ditta di disinfestazioni nonostante sia un architetto. Con sua madre non parla da dieci anni, da quando lui è uscito dai Testimoni, una setta religiosa che, dopo la morte del padre avvenuta quando era bambino, è diventata tutta la sua vita…”. Su ilLibraio.it l’autore parla della genesi del libro e del suo rapporto con il protagonista, e cita, tra gli altri, Danilo Dolci, Cesare Pavese e la serie tv “The leftovers”
Credo fortemente, avendo ora in mano l’oggetto libro e ripensando a quello che è stato e a quello che ho scritto, che questa storia nasca molto prima della telefonata avvenuta l’estate di tre anni fa con la mia – ancora non ero certo che lo sarebbe diventata – futura editor. Faceva molto caldo, ci eravamo visti su Zoom un giorno di inizio agosto, lei aveva un gattino nero che le si arrampicava dappertutto mentre parlavamo, io tanta ansia di dover piacere. La chiamata era cominciata più o meno così: “Non mi interessa niente di quello che hai scritto fin qui, ma mi piace molto – molto forse lo sto aggiungendo io perché Lavinia è una persona misurata – il modo in cui lo scrivi”.
Mi aveva chiesto due idee di storia e due trame da presentare a settembre, nella speranza che una delle due la convincesse, così da poterci lavorare insieme.
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“Non voglio leggere di te, voglio leggere di altri” mi aveva detto Lavinia, e io ci ho provato.
Ho costruito partendo da un’esperienza che avevo vissuto di riflesso, le ho presentato un’idea embrionale che però ha sempre avuto il titolo che ha adesso, divisa già ai tempi in tre libri che seguono il processo per la canonizzazione, ovvero l’essere morti, aver fatto un miracolo e subire un processo.
Gabriele non è santo e subisce il dolore del dover pensare, non ha un alfabeto emotivo solido, non ha un padre, ha una madre che ha scelto per lui e quando lui ha scelto non lo ha seguito, ha una grande passione per le piante che le ha trasmesso sua zia che però ha anche lei scelto l’assenza. Gabriele è stato in una setta di Testimoni per tutta la sua infanzia e adolescenza, uscendone per il desiderio di continuare gli studi, ritrovandosi come impermeabile ad entrambe le vite, quella prima e quella dopo.
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La scelta di parlare di una setta come elemento totalizzante del credo è stato un pretesto, l’estrema dinamica nella quale rimanere intrappolati. La fine di una relazione, il crollo di un sogno, lo smettere di credere in qualcosa sono tutte situazioni assimilabili alla fuoriuscita dai Testimoni, perché la domanda di partenza è stata: cosa resta della vita quando il cambiamento arriva improvviso e non possiamo farci niente? Come si gestisce il crollo del proprio mondo?
Gabriele vive la vita a modo suo come può: un’infanzia e un’adolescenza scomposte prima e il decennio dai venti ai trenta nel corpo poi, intento a riappropriarsi di qualcosa di cui si sente defraudato. Si occupa delle piante perché non sa occuparsi delle persone e cerca qualcosa che non ha mai conosciuto. Perché, se è vero che come dice Danilo Dolci “ciascuno cresce solo se sognato”, Gabriele ha avuto un passato lontano in cui è stato desiderato così tanto da portarlo alla cancellazione dei suoi bisogni e un presente recente in cui non ha più nessuno a sognarlo.
L’esergo è allora venuto di conseguenza, anch’esso immaginato prima di sapere di questa storia. Mi ha aiutato Cesare Pavese, che senza saperlo è arrivato con il suo Orfeo, “L’inconsolabile”, dei Dialoghi con Leucò. “Ho cercato me stesso.” dice Orfeo a Bacca “Non si cerca che questo”. E nel racconto, l’Orfeo di Pavese è un uomo che ha sperimentato la morte, che rivendica il suo essersi voltato a guardare Euridice nonostante tutto l’amore, nonostante tutto il viaggio, consapevolmente. Orfeo celebra la consapevolezza di una stagione finita, di un qualcosa che non sarebbe più tornato come era prima. Perché la morte snatura gli esseri e perché la giovinezza finita non torna.
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Così, quando Orfeo vede “il primo barlume di cielo” ha come un risveglio e tutto gli è chiaro. Orfeo, nel suo pianto, ha compreso di non cercare più Euridice ma se stesso. Non ha più tempo per l’ebbrezza, richiama la realtà, la concretezza della vita. Conosciuta la morte diventa uomo. E così succede a Gabriele, nella speranza di non pensare, nella non ancora maturata consapevolezza che la fine delle sue epoche siano una stagioni nuova. Che non sia santo ma che sia vivo e che questo debba bastare.
Mentre ho scritto molte delle pagine di questo libro, e ora anche questo pezzo, ho avuto in cuffia The departure, tema principale della serie tv The leftovers, storia nella quale il 2% della popolazione scompare improvvisamente probabilmente per il “rapimento della chiesa”, fenomeno biblico che presuppone la salita al cielo di alcuni fedeli raccontato nell’Apocalisse. L’idea della dipartita, di chi rimane e di cosa rimane di noi nella fasi della vita.
Gabriele mi somiglia ma non sono io.
Questa storia nasce molto prima di quella chiamata perché è il riflesso delle vita che ho vissuto in assenza. Gabriele è parte di quello che sono stato. E io sarò per sempre grato a Lavinia per avermi guidato nella scoperta di questa verità e a questa storia, perché la scrittura per me non è catartica, ma è utile per fissare dei punti fermi. E questo è il mio punto fermo. Gabriele rimarrà per sempre lì, sulla soglia della possibilità abitata da Dickinson e proverà a non aver paura. E io con lui.
L’AUTORE E IL LIBRO – Mattia Tortelli è nato a Milano nel 1996. È maestro alle scuole elementari e insegnante di basket ai bambini. Ha inoltre frequentato corsi di scrittura presso La macchina dei sogni e la Scuola Belleville. È agitatore culturale in librerie e biblioteche e gestisce la comunicazione della casa editrice Utopia.
Solo i santi non pensano è il suo primo romanzo, edito Fandango.
La trama vede la storia di Gabriele, un ragazzo di trent’anni che ama le piante e che lavora per una ditta di disinfestazioni nonostante sia un architetto. Con sua madre non parla da dieci anni, da quando lui è uscito dai Testimoni, una setta religiosa che dopo la morte del padre, avvenuta quando Gabriele era bambino, è diventata tutta la sua vita. Gabriele ha voluto continuare gli studi, cosa non permessa ai Testimoni, e ha scoperto il suo orientamento sessuale.
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Il giorno in cui Gabriele è al cimitero per l’anniversario della morte di suo padre ritrova sua zia, sorella della madre e persona che gli ha trasmesso l’amore per le piante, con cui ha interrotto i rapporti al tempo della sua dissociazione. La visita e la successiva chiacchierata con la zia portano alla luce la malattia della madre. Gabriele si sente quindi sospeso tra l’essere figlio ed essere altro da quello. Si farà aiutare consapevolmente da Enrico, membro della setta che ha conosciuto sua madre, e inconsapevolmente da una coppia di ragazzi che conosce durante una disinfestazione e dei quali si innamora…
Che cosa resta dopo il crollo dei riferimenti più alti che si hanno da tutta la vita? Con uno stile poetico, procedendo per immagini e suggestionando, Solo i santi non pensano è il tentativo di rispondere a questa domanda testimoniando il sofferto percorso del protagonista per l’affermazione della sua identità smarrita.
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Fotografia header: Mattia Tortelli, crediti Erika Pezzoli