“Questo romanzo è per me un regolamento di conti con la ricerca della ‘terra promessa’ che mi ha fatto male”, racconta a ilLibraio.it Milena Agus, che torna in libreria con “Terre promesse”, una saga familiare. La scrittrice parla anche dei suoi amori letterari: “Ogni anno rileggo tutte le opere di Natalia Ginzburg. Non l’ho mai conosciuta, ma è una cara amica…”
S’intitola Terre promesse (nottetempo) il nuovo romanzo di Milena Agus. Nata a Genova da genitori sardi, la scrittrice, apprezzata anche all’estero, ha pubblicato, tra gli altri, Mal di pietre, romanzo con il quale è stata finalista al premio Strega e al premio Campiello nel 2006, e da cui Nicole Garcia ha tratto l’omonimo film con Marillon Cotillard uscito l’anno scorso, e La contessa di ricotta, senza dimenticare l’esordio del 2005, Mentre dorme il pescecane.
“Una mappa del mondo che non comprende il paese dell’Utopia è indegna anche di un solo sguardo, perché ignora il solo paese al quale l’Umanità approda continuamente. E quando l’Umanità vi getta le ancore, sta in vedetta, e scorgendo un paese migliore, di nuovo fa vela.” Questa frase di Oscar Wilde potrebbe ben riassumere il contenuto di Terre promesse.
Protagonisti del nuovo romanzo di Milena Agus sono tre generazioni di una famiglia sarda, tesi e proiettati vero un futuro immaginario, un domani migliore nel quale ripongono tutta la loro fiducia, un’utopia che non manca mai di deludere le aspettative dei personaggi ma, allo stesso tempo, lascia sempre un segno, un insegnamento, che entra a far parte del personaggio, pronto a lanciarsi all’inseguimento di una nuova “terra promessa”.
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La prima generazione lascia la Sardegna per recarsi a Genova, sul Continente, e poi a Milano, ma nessuna di queste “utopie” soddisferà le aspettative, tanto che la famiglia farà ritorno al paese d’origine; spetterà poi alle generazioni seguenti di spingersi oltre quei confini, fino all’America, per inseguire i propri sogni. Ma è la ricerca, l’instancabile inseguire nuovi orizzonti, il vero soggetto del libro; una serie di aspettative che non si conclude neanche con l’ultima pagina. ilLibraio.it ne ha parlato con la scrittrice, che sarà protagonista al Salone del libro di Torino sabato 20 maggio alle 14.30 (converserà con Paolo Di Paolo al Caffè letterario).
In Terre promesse i suoi personaggi vivono proiettando su luoghi lontani aspettative di domani migliori, attendendo utopie che alla fine non incontrano mai le loro aspettative. Eppure, non smettono di inseguire tali utopie, ricerca che ogni personaggio eredita dalla generazione precedente.
“Aspirare a un mondo perfetto che non corrisponde a quello reale è umano. Ognuno aspira a quel vago avvenir che in mente aveva, come dice Leopardi. Questa nostra idea ci fa sperare, certamente, ma anche disperare”.
È una sorta di insegnamento a non arrendersi mai?
“In Terre promesse l’invito è, più che a non arrendersi mai, a fermarsi dove si sta bene, rinunciando all’utopia. Non nel senso del ripiego, ma del riconoscimento del bello e del buono che nella maggior parte dei casi non corrisponde all’idea astratta che ci eravamo fatti”.
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Eppure la scelta di lasciare il finale in qualche modo “aperto” sembra indicare che non bisogna mai perdere le speranze?
“Il finale aperto in Terre promesse è una mancanza di risposte alle domande che il lettore può farsi e che anch’io mi sono fatta: ci si può innamorare di una cicciona, senza capelli e malata di cancro? si può guarire da un cancro dappertutto? il fascino dei buoni e puri di cuore esiste? Davvero non lo so”.
Le aspettative che ripongono i personaggi, quelli femminili e quelli maschili, nei confronti delle “terre promesse”, sono sempre diverse. Come mai?
“I maschi e le femmine di Terre promesse non hanno aspettative tanto diverse. La diversità, in fondo, sta soltanto in Felicita, la protagonista, che è una feliciotta positiva, contenta di quello che ha, un tipo umano inventato per il romanzo. Forse lei stessa è un’utopia?”.
Anche a lei capita, o è capitato, di fare esperienza di una “terra promessa” in cui riporre aspettative e sogni?
“Il mio destino è stato diverso. Sono sempre stata felice del posto dove stavo e di quello che avevo e delle persone che mi circondavano. Ma è capitato fin dall’infanzia che per varie ragioni fossi strappata da quei luoghi, da quelle persone, che fossi, insomma, un migrante mio malgrado. Mi è spesso anche capitato di non essere la terra promessa che gli altri cercavano e per questo andavano via. Questo romanzo è per me un regolamento di conti con questa ricerca della terra promessa che mi ha fatto male”.
Nei suoi libri il legame con la Sardegna e le sue tradizioni è un tema ricorrente. E invece qual è il suo rapporto con la letteratura sarda?
“Ho legami di amicizia con molti scrittori sardi e un senso di solidarietà mi lega a loro. Quando Salvatore Niffoi e Michela Murgia hanno vinto il Campiello ho pianto e ho abbracciato il televisore. Forse si tratta di un desiderio di rivincita”.
In che senso?
“Ho passato l’infanzia al Nord, dove noi sardi eravamo soltanto degli immigrati poveretti. Vedere che adesso molti leggono i nostri libri è una specie di riscossa dei sardignoli”.
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In generale, da lettrice, quali sono le scrittrici e gli scrittori contemporanei che preferisce?
“La mia scrittrice preferita, contemporanea anche se non vivente, è Natalia Ginzburg, di cui rileggo ogni anno tutte le opere. Non l’ ho mai conosciuta, ma è una cara amica. La penso su tutto esattamente come lei. Per me è vivente”.
Mal di pietre, uno dei suoi libri più noti, è diventato un film, diretto da Nicole Garcia, con Marion Cotillard: pensa che anche Terre promesse si presti a una trasposizione cinematografica?
“Mi piacerebbe moltissimo che Terre promesse diventasse un film. Così, tanto per sognare, ho pensato a un’attrice che potrebbe far bene Felicita. Mi è venuta in mente Micaela Ramazzotti, per quella sua deliziosa aria feliciotta positiva“.