Se Joan Didion in “Miami” ha raccontato i “cubanos” facoltosi emigrati in Florida, Mylene Fernandez Pintado ne “L’angolo del mondo” scrive di chi a Cuba è rimasto. Il romanzo (tradotto anche negli Usa, dove è stato ben accolto dai lettori) descrive una storia d’amore, ma è soprattutto una diapositiva della vita a Cuba. Intervistata da ilLibraio.it, la scrittrice tra le altre cose ha riflettuto sul passato e il futuro della sua terra, anche alla luce delle recenti parole di chiusura di Trump, dopo le aperture dell’era-Obama – L’intervista

Mylene Fernandez Pintado racconta la sua isola, Cuba, e lo fa senza timore di affrontare i lati oscuri del passato e del presente di un paradiso tropicale che è stato al centro della guerra fredda, oltre che delle pagine dedicate agli esteri dei quotidiani di tutto il mondo.

Se Joan Didion in Miami ha descritto i cubanos facoltosi emigrati in Florida e vicini al partito Repubblicano, nella speranza di un intervento americano contro il regime castrista (anche oggi, tra l’altro, sembra che la vittoria di Trump nello stato delle Everglades sia stata determinata dagli immigrati cubani), Mylene Fernandez Pintado scrive di chi a Cuba è rimasto.

L’angolo del mondo (Marcos y Marcos) è la storia d’amore tra una donna e un ragazzo più giovane di lei, ma è anche una diapositiva di Cuba e della vita dei suoi abitanti. Un’esistenza non facile, come racconta l’autrice intervistata da ilLibraio.it, così come quella di chi ha lasciato il paese.

Mylene Fernandez Pinatado

Cuba è un’isola dalla storia burrascosa: il passato influenza la quotidianità dei suoi abitanti?
“Per la mia generazione, nata nel boom degli anni Sessanta, il passato corrisponde al periodo postrivoluzionario. Le lotte della rivoluzione appartenevano ai nostri genitori, alla Storia appresa a scuola, tramite i libri, i film e i racconti dei protagonisti. Poi sono arrivati gli anni Sessanta: la tappa sovietica, il crollo dell’Europa dell’Est, del muro di Berlino e il famoso ‘periodo speciale’, una prova durissima per tutti. Alla sua conclusione si sono intravisti i primi timidi cambiamenti, fino ad arrivare a Obama e Raul Castro e al loro tentativo di porre fine alla guerra fredda. Tutto questo ha influenzato la vita delle persone dell’isola e il loro modo di vedere le cose”.

In che modo?
“Molti sono partiti quando non era facile farlo, condizionando le relazioni famigliari. La vita di tutti i giorni a Cuba è difficile; quello che in Europa è semplice nell’isola può essere complicato, e i cubani hanno imparato ad arrangiarsi. Credo che anche quelli che partono si portino con sé questa capacità”.

Ecco, “quelli che partono”… Trasferirsi all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, cosa ha comportato per i cubani che hanno fatto questa non semplice scelta?
“Sono stata negli Usa molte volte, ho moltissimi amici e sono sempre in contatto con loro. Hanno fatto la loro scelta e lo sappiamo tutti che nella vita non si può avere tutto. Una parte dei sogni si avvera e altre cose si perdono. È inevitabile, è come fare un patto, con la vita, con noi stessi, fra futuro e passato. Se si soffre molto all’inizio, dopo la nuova vita prende il posto della vecchia e il paese diventa nostalgia, o forse solo passato”.

E come lo si ricorda?
“A volte con amore, altre volte affiorano brutti ricordi. Ma, in qualche modo, i cubani restano sempre legati al loro paese. Decidere di emigrare è una scelta difficile: fino a pochissimi anni fa emigrare da Cuba era una decisione definitiva perché non potevi fare marcia indietro. La gente partiva senza sapere come sarebbe andata. Adesso le cose sono cambiate, c’è gente che sta rimpatriando. Ora esiste la possibilità di fare retromarcia, almeno entro i primi due anni. È molto diverso rispetto a prima”.

Veniamo al presente: come descriverebbe la Cuba di oggi?
“Complicata, affollata, un insieme di cose, di scelte, di cammini, come se mettessimo molti ingredienti in un frullatore e poi dovessimo capire di quali colori e sapori è composto il ‘frullato’. A volte si dice che le cose a Cuba rimangono sempre uguali, ma io, che parto e rientro, vedo che cambia tutto velocemente nella vita delle singole persone che hanno voglia di fare. E il clima nel paese in questo momento è un riflesso di questa volontà. Adesso però c’è Donald Trump, che proprio in questi giorni ha annunciato di voler chiudere con Cuba, ed è anche appena passato un uragano che ha distrutto molte strutture importanti per il turismo, l’industria e l’agricoltura. Un colpo durissimo”.

Ha citato Trump: come potrebbero svilupparsi nei prossimi anni i rapporti tra Cuba e gli Stati Uniti, viso che l’attuale presidente ha ritrattato gli accordi siglati da Obama con il governo cubano?
“Stiamo facendo un passo indietro: eravamo arrivati al punto migliore dopo tanti anni di conflitto. Il giorno che hanno annunciato in tv il ristabilimento dei rapporti diplomatici e l’apertura delle rispettive ambasciate è stato un giorno che ricorderò sempre”.

Ce lo descriva.
“C’era tanta gioia fra i cubani, e anche fra gli americani che già frequentavano l’isola. La moglie del mio traduttore ha pianto in America. Quel giorno, mio marito e io siamo andati nella città vecchia che era piena di gente felice, le macchine suonavano i claxon, si sentiva allegria nell’aria di quella splendida giornata di dicembre. La visita di Obama a Cuba è stata memorabile, tutti lo volevano vedere e la tv ha trasmesso l’evento in diretta. In questi ultimi anni L’Avana si è riempita di turisti americani, che interagiscono con i cubani, vanno ad ascoltare jazz o musica classica o girano il lungo mare e la città vecchia. È stato il primo incontro con l’America reale: da una parte ci dicevano che era tutto terribile negli Usa, dall’altra sembrava fosse il paradiso”.

Cosa significa per lei essere tradotta negli Stati Uniti?
“Prima de L’Angolo del mondo, mi avevano pubblicato diversi racconti in raccolte e riviste americane. E un libro di racconti in lingua spagnola. Ho avuto occasione di conoscere il paese, sono andata a New York per alcuni eventi letterari e ho visitato altre città. La decisione di tradurre il romanzo è stata di Dick Cluster, che aveva già lavorato i miei racconti. Il libro gli è piaciuto molto e abbiamo deciso di tradurlo in inglese senza sapere cosa sarebbe successo; alla fine abbiamo ricevuto l’interesse di molte case editrici, ma abbiamo scelto City Lights. Grazie alle recensioni dei lettori abbiamo capito quanto fossero interessati alla Cuba contemporanea: mi ha colpito particolarmente una lettrice a cui il mio romanzo aveva dato la forza e l’intelligenza per capire e lottare come donna nell’America di Trump. Mi sono conmossa”.

Da scrittrice, quali sono i libri su Cuba che ha amato di più?
“Il vecchio e il mare di Hemingway che si svolge a Cojímar, un paesino che adesso è stato distrutto dall’uragano. Racconta una storia universale, è una sorta di parabola sulla forza dei sogni, ma i personaggi sono cubani ed è ambientato nei luoghi che l’autore frequentava e descrive persone che conosceva. Due anni fa ho letto un altro libro, scritto in inglese ma con il titolo spagnolo, tratto da una frase che si usa molto a Cuba: Es Cuba. L’autrice, Lea Aschkenas, è una giornalista che ha vissuto a Cuba e nell’opera fa una cronaca molto bella e onesta dei suoi giorni passati soprattutto all’Avana, raccontando la gente che ha conosciuto e il loro modo di vivere. Una sorta di libro di viaggio che è anche un ritratto molto fedele del mio paese”.

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