Ci sono libri che sono universi e “Oceano Mare” è uno di loro: un racconto delle cose umane, dei limiti, dei naufragi memorabili – come quello della Medusa dipinto da Géricault – e di quelli quotidiani, nostri e nel mari poco lontani da noi – Una rilettura del romanzo cult di Baricco

Ci sono libri che sono universi. Storie che creano mondi, li scoprono e li intrecciano tra loro, avvicinando anche quelli che sembrano più lontani. Oceano Mare (Feltrinelli) è uno di questi, una distesa di personaggi, luoghi e momenti che, alla fine, sembrano nati per essere parte della stessa onda. 

È difficile sintetizzare Oceano Mare. In generale, i libri di Alessandro Baricco mettono in difficoltà davanti alla domanda “di cosa parla?”. Nel caso di Oceano Mare, pubblicato nel 1993, anche la quarta di copertina si arrende davanti a questa evidenza e si limita a dire “sul mare, tanto tempo fa, naufraga una fregata francese, 147 uomini cercano salvezza su una zattera. Il mare massacro, da vicino. Il mare slavina, da lontano. Il mare che raccoglie e disperde vite. L’avventura di sopravvivergli e di raccontarlo”. In realtà, Oceano Mare è questo ma anche molto di più.

Oceano mare Baricco

Libro primo – Locanda Almayer

Oceano Mare, come ogni storia umana del resto, inizia dalle cose incomplete: dai suoi personaggi – figure incompiute ma dai contorni nitidi – e dal luogo senza tempo in cui, per caso, si incontrano – la Locanda Almayer“Posata sulla cornice ultima del mondo, a un passo dalla fine del mare […] pareva – lì così solitaria – come dimenticata. Aveva quella bellezza di cui solo i vinti sono capaci. E la limpidezza delle cose deboli. E la solitudine, perfetta, di ciò che si è perduto”.

I protagonisti sono un uomo che sta lavorando alla sua enciclopedia dei limiti mentre scrive lettere a una donna amata che ancora non esiste; un pittore che dipinge il mare col mare; due strani bambini che gestiscono la locanda; una donna lì per curare la sua malattia, l’adulterio; una ragazzina con la paura di vivere ma il desiderio di non morire e un prete di poche parole, sbagliate, pronto a qualsiasi cosa per salvarla.

E anche noi, tutti, siamo alla ricerca di risposte come quelle che Bartleboom vorrebbe catalogare nella sua enciclopedia; tutti abbiamo un grande sogno, come quello di Plasson di dipingere gli occhi del mare; tutti abbiamo commesso un errore, che magari poi tanto errore non era; tutti abbiamo zone d’ombra come i bambini della locanda e paure che ci paralizzano come quelle di Elisewin. Infine tutti abbiamo qualcuno da salvare anche senza bisogno di troppe parole.

Oceano Mare è prima di tutto questo, il racconto dei nostri limiti; dei pezzi di noi lasciati indietro e a volte dimenticati; dei desideri di tutta la vita, della tenacia che serve per inseguirli e che non sempre basta per raggiungerli. Nonostante tutto, però, non importa quale mare ci sia alla fine; ciò che davvero conta sono gli incontri che ci accompagnano fino a lì, le storie incrociate, i passi, le persone: “Perché nessuno possa dimenticare di quanto sarebbe bello se, per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume, per noi. E qualcuno un padre, un amore, qualcuno capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume immaginarlo, inventarlo e sulla sua corrente posarci”. 

Libro secondo – Il ventre del mare

Nel giugno del 1816 la fregata francese Méduse partì da Rochefort verso il Senegal, con l’obiettivo di controllare che gli inglesi l’avessero lasciato in seguito agli accordi presi nel Trattato di Parigi. Con lei partirono altre tre navi che ben presto vennero lasciate indietro dalla Méduse che accelerò per limitare i tempi di viaggio e quindi i costi. Questo però, insieme all’incompetenza del suo giovane comandante Chaumareys, la portarono a incagliarsi su un banco di sabbia. Era il 2 luglio. Tre giorni dopo sei barche di salvataggio partirono con i superstiti verso la costa. Ma le barche non erano abbastanza per tutti i passeggeri così centocinquanta di loro tentarono di salvarsi su una zattera di fortuna che, dopo pochi chilometri, iniziò ad affondare per il troppo peso e, con la cima rotta, venne abbandonata a sé stessa in mezzo al mare.

“La prima cosa è il mio nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero, la quarta la notte che viene, la quinta quei corpi straziati, la sesta è la fame, la settima orrore, l’ottava i fantasmi della follia, la nona è carne e la decima è un uomo che mi guarda e non mi uccide”.

Su quella zattera, venti persone morirono già la prima notte. Molte, nei giorni successivi, si suicidarono o morirono di fame e infezioni; altre, per tentare di sopravvivere, cominciarono a mangiare i corpi dei compagni. A settembre la vicenda venne raccontata dal quotidiano Journal des débats, nonostante i tentativi della monarchia di insabbiarla, e sconvolse l’opinione pubblica francese. Due anni dopo il pittore Théodore Géricault la dipinse su una tela alta 4,91 metri e larga 7,16, oggi esposta al Louvre e intitolata, appunto, La zattera della Medusa. Nella narrazione di Géricault c’è tutto: lo strazio del cannibalismo e dei corpi distrutti, morti e divorati; la disperazione mista a speranza che fa urlare verso possibili orizzonti di salvezza; l’inferno che, a volte, anche l’oceano mare può diventare.

La zattera della medusa Géricault

Libro terzo – I canti del ritorno

L’ultimo libro è quello che tira le fila, come quelle che uniscono le tessere dell’indagine di un detective, sul muro del proprio ufficio. L’ultimo libro incrocia i primi due, li ripercorre personaggio per personaggio, avvicinandoli, completandoli e portando, alla fine, a farci dire “Ah, ora ho capito” quando in realtà, per capirci davvero qualcosa, servono forse una vita intera e diverse riletture. L’ultimo libro racconta i destini dei protagonisti, il loro futuro, influenzato dall’incontro con gli altri, dai loro tentativi di raggiungere sé stessi e dai piccoli naufragi quotidiani.

Con I canti del ritorno, Oceano Mare diventa davvero un libro senza trama, assumendo più la forma di un’enciclopedia che cataloga, una a una, le cose della vita. Forse è questa l’enciclopedia dei limiti a cui lavorava Bartleboom alla Locanda Almayer?

Libro quarto – Il nostro

Oceano mare di libri ne ha tre. Il quarto, però, possiamo scriverlo noi, anzi dobbiamo. Il quarto libro è quello del nostro oceano mare, del fiume che ci porta fino a lui e delle persone che fin lì ci accompagnano. Ognuno di noi si riconoscerà, almeno un po’, in ciascuno dei personaggi ma ognuno di noi ha il proprio oceano mare e, leggendo le parole di Baricco, forse comincerà a vederlo, ad ascoltarlo e poi a conoscerlo, dipingerlo fino, forse, a vederne gli occhi. Se c’è una cosa che però, oggi, è di tutti noi è il naufragio della Méduse, un’idea di oceano mare che si avvicina più all’immagine dipinta da Géricault, quella che parla di buio, disperazione e speranze lontane

Oggi il mare è anche questo:
2.794 i migranti sbarcati in Italia dal 1 gennaio al 30 marzo, di cui 498 minori soli;
– più di 1.300 le morti stimate nel Mediterraneo lo scorso anno, di cui più di 600 nella traversata Libia-Italia;
– più di 20.000 i dispersi nel Mediterraneo dal 2014 ad oggi;
Perché il nostro canto del ritorno sia capace di considerare anche il mare degli altri, nello sforzo di empatia che ogni personaggio umano di una storia dovrebbe compiere. 

“Supplicando chi viene dal mare, di tracciare di nuovo il confine fra il bene ed il male”
Al di là dell’amore, Brunori Sas

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