Un “teen movie” tenero e speculativo, in cui l’anima protagonista si sveglia ogni nuovo giorno in un corpo adolescenziale differente – La recensione di “Ogni giorno” (tratto dal romanzo omonimo di David Levithan)

Il cinema del “what if” (quello che ipotizza un misterioso incantesimo che realizza un’ipotesi impossibile capace di illuminare il reale attraverso un scarto decisivo e straniante: svegliarsi sempre lo stesso giorno, non poter dire che la verità, sentire i pensieri delle donne, sdoppiarsi in quattro, essere Dio…) ricomincia da capo con questo teen movie tenero e speculativo, in cui l’anima protagonista si sveglia ogni nuovo giorno in un corpo adolescenziale differente.

In tempi di social media, identità pompate e identità rubate, il periodo della vita sempre più allargato in cui l’io è per natura incerto e fluttuante, letteralmente in formazione e mostruosamente in deformazione, sembra una prospettiva ideale per esercitarsi al cambiamento del punto di vista e alla curiosità per tutto quello che è diverso. Ogni giorno (tratto dal romanzo omonimo di David Levithan, uscito in Italia per Rizzoli) mettersi nei panni di un altro – nero o bianco, uomo o donna, cicciottello o palestrato, insensibile o poetico, entusiasta o  depresso – appare un esercizio spaesante eppure salutare per misurare, attraverso l’identità interiore messa alla prova e insieme certificata dal potere assoluto dell’innamoramento (e la sua vocazione profonda e tentazione ineludibile al faustiano “fermati attimo, sei così bello!”), quanto (poco) conti davvero l’apparenza, quanto difficile sia trovare una relazione di valore, quanto illusorio sia cristallizzare la felicità e provare a impossessarsene una volta per sempre.

ogni giorno

Il lavoro esistenziale è dunque una fatica e una sfida quotidiana, e non esistono trucchi facili o scorciatoie per sfuggirvi, ha a che fare con la capacità di scrivere, per quanto ci è dato e con quello che ci è dato, la propria storia, operando aggiustamenti, attraverso una dialettica intricata di scelte e libertà, caos e controllo, all’interno di costrizioni che ci limitano terribilmente, a partire dal corpo per arrivare a famiglia e società, ma provando a costruire una cornice etica che produca sempre e comunque, anche nelle prigioni più anguste, spazi di possibilità. E la narrazione, cinema o libro, che cos’è se non questo prodigio, o questo esercizio, dello svegliarsi ogni volta con un nuovo angolo prospettico sul mondo, sperimentando uno spiazzamento, esplorando la vastità del proprio mondo interiore e degli infiniti mondi possibili? Può un film dominato dal feel good, ma con un finale piuttosto amarognolo, una fiaba per giovani tutto sommato semplice e convenzionale, veicolare questa una tale stratificazione psicologica, etica e filosofica? Ogni giorno ci prova, e tutto sommato produce un racconto coerente, pieno di spunti, un po’ programmatico ma mai pretenzioso, che non rinuncia agli stilemi e ai cliché del genere, ma immagina un apologo capace d’interrogare oltre che intrattenere.

Sarà pure il guilty pleasure di (ri)vedere il mondo dalla parte adolescente che è in noi e immaginare che ancora tutto è possibile, e il sapore fiabesco degli assoluti dei sentimenti a fronte delle contingenze non sempre felici e spesso caduche degli avvenimenti, e del relativismo incerto dell’identità, ma a volte un piccolo film per anime in erba contiene gli antidoti per non appassire, irrorati come siamo, con metodo e pervicacia, di concimi cinici.

L’AUTORE: qui tutte le recensioni e gli articoli di Matteo Columbo per ilLibraio.it

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