Una riflessione ispirata dalla lettura della nuova edizione di “Non dirlo – Il Vangelo di Marco” di Sandro Veronesi, un racconto puntuale, appassionato e aconfessionale che l’autore del “Colibrì” dedica al primo testo che raccoglie i detti e i gesti di Gesù di Nazareth. E che si allarga al cristianesimo delle origini, fondato su un binomio inscindibile, servizio agli ultimi e preghiera. Ma oggi, in un tempo segnato da guerre e divisioni, nelle nostre vite, oltre le parole e i nostri buoni propositi, riusciamo in qualche modo a farci azione, a “farci pane” per gli altri?

Dovrei scrivere una riflessione sulla nuova edizione di Non dirlo – Il Vangelo di Marco di Sandro Veronesi (La Nave di Teseo), un racconto puntuale, appassionato e aconfessionale che l’autore del Colibrì dedica al primo testo che raccoglie i detti e i gesti (nel Vangelo di Marco, come sottolinea lo stesso Veronesi, soprattutto i gesti) di Gesù di Nazareth. Una lettura che cerca di svelare i meccanismi narrativi dei capitoli, nella lenta ma progressiva comprensione della o delle verità di questa misteriosa figura messianica. E prometto di farlo, di parlare di Non dirlo, ma prima ho bisogno di seguire un percorso parallelo.

Non dirlo. Il Vangelo di Marco Sandro Veronesi

Il Padre nostro, nel Vangelo di Marco, non c’è. E Veronesi lo nota…

Per parlare del Vangelo di Marco, infatti, volevo partire da un testo, un brevissimo brano, che in quel Vangelo non c’è. Il brano, credo, più conosciuto del Nuovo Testamento. Quello che solitamente viene ricordato come parte di una memoria collettiva, per non dire primitiva. Mi riferisco alla preghiera che lo stesso Gesù di Nazareth insegna ai suoi discepoli e che i cristiani chiamano Padre nostro.

Ecco, il Padre nostro, nel Vangelo di Marco, non c’è. C’è nel Vangelo di Matteo (6,11) e di Luca (11,3), ma in Marco no.

Veronesi lo nota, e ci arriveremo, ma intanto possiamo farci qualche domanda: com’è possibile che un momento così centrale nella predicazione del Cristo non sia presente nella prima testimonianza scritta che lo vede comparire? E perché Marco no e Matteo e Luca sì? È solo un problema di incoerenza?

Andiamo avanti. Perché non è questo il punto su cui volevo soffermarmi. Il dettaglio, piuttosto, su cui mi piacerebbe spendere del tempo è un aggettivo utilizzato nel Padre Nostro, solo un aggettivo, e il problema di traduzione che lo riguarda.

Lo so, i problemi di traduzione biblica non sono gli argomenti più interessanti di cui leggere, abbiate pazienza. E poi io non sono un esegeta, ma quell’aggettivo mi fa proprio impazzire. Faccio un passo indietro, così mi spiego meglio.

“Dacci oggi il nostro pane necessario…”

Quest’anno è stata pubblicata una nuova traduzione letteraria ecumenica del Nuovo Testamento (coedizione Società biblica in Italia ed Elledici). Ovvero: la maggior parte delle chiese cristiane (cattoliche, ortodosse e protestanti) ha provato a ritradurre la pagina biblica tenendo conto delle diverse sensibilità spirituali che nei secoli si sono costituite. E uno dei testi su cui è caduta l’attenzione è proprio il Padre nostro, al quale è stato modificato appunto un aggettivo: in quella preghiera si parla di “pane quotidiano”, invece loro all’attributo “quotidiano” hanno preferito “necessario”. Dacci oggi il nostro pane necessario, suona adesso il versetto.

C’è differenza tra “quotidiano” e “necessario”?

Ciascuno può rispondere secondo la propria sensibilità. Certo, evidenziare che il pane non è soltanto una porzione alimentare, quello che troviamo sulle nostre tavole quotidianamente, ma una necessità essenziale per l’esistenza di tutti, un diritto sociale, umano… diciamo che così, in quel “pane necessario”, si sente più forte il grido del popolo di Gaza.

In realtà, se andiamo a vedere il testo greco con acribia, quell’aggettivo significa letteralmente “che dura fino al giorno seguente”, un pane, quindi, che dura fino al giorno seguente. Il nostro pane, fisico o metafisico che sia, mi chiedo, dura fino all’indomani?

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Sandro Veronesi GettyEditorial 8-11-2024

Sandro Veronesi GettyEditorial 8-11-2024

Penso al pane che viene donato ogni giorno alle mense per i poveri. Una volta, durante il servizio nella mensa di Milano in cui faccio volontariato, mi era stato chiesto di distribuire il pane tra gli ospiti. Il pane era tutto integrale, quello arrivato per quel giorno (per qualcuno, il pane di ieri), ed era perciò nero, alcune fette più scure, altre più chiare, ma di fatto tutto lo stesso pane. Eppure, mi aveva colpito enormemente che la maggior parte degli ospiti continuavano a chiedermi con insistenza di dargli il pane bianco. “Ma non c’è bianco”, rispondevo. “Quello là”, mi replicavano, indicandomi un pezzetto meno scuro. Quello là, era il pane del giorno seguente, il pane necessario.

Ho scoperto da poco tempo che tra le prime attività dei dodici apostoli, subito dopo la morte del loro maestro, ci fu la gestione di una mensa per i bisognosi. Se ne parla nel libro degli Atti, al sesto capitolo. Il cristianesimo delle origini si fonda allora su questo binomio inscindibile, servizio agli ultimi e preghiera.

Ora possiamo riagganciarci al libro di cui dovevamo parlare, Non dirlo. Sandro Veronesi, infatti, descrive il Vangelo di Marco come “vangelo d’azione” e sostiene che sia voluta l’assenza di passaggi emblematici degli insegnamenti del Nazareno – dal Padre nostro, come ricordavano, al Discorso della Montagna – perché al primo evangelista interessa mettere in scena il corpo del Messia, la vita che si fa a poco a poco largo all’interno di uno spazio, che si rivela adagio adagio nel mistero della sua tragica missione.

Per questo il Padre nostro non c’è. Perché è il corpo stesso del Cristo la sua preghiera. Lo è il suo modo di stare con gli altri, la sua libera e amorosa disponibilità al sacrificio. Il pane che resta è quell’uomo che si attarda con gli ultimi e offre il suo sguardo agli invisibili.

Bene, qualcosa di Non dirlo abbiamo detto, la promessa è mantenuta. Non proseguo oltre. Potremmo chiudere queste poche riflessioni chiedendoci se, nella nostra vita, in qualche modo, oltre le parole dei nostri buoni propositi, riusciamo a farci azione, a farci pane per gli altri.

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