“L’infinito senza farci caso”, la nuova raccolta di Franco Arminio, è un canzoniere dal valore al tempo stesso privato e universale. Nelle poesie del “paesologo” l’amore è declinato nella sua carnalità e nel suo risvolto sentimentale, con osmosi tra i due ambiti… – L’approfondimento
Come poetare l’amore? È una domanda antica, alla quale sono state date migliaia di diverse risposte che, per quanto esaustive, non possono mai bastare. È forse questa la curiosità con cui ci si accosta a ogni nuova raccolta di poesie d’amore.
Osservando L’infinito senza farci caso di Franco Arminio (Bompiani), saltano subito all’occhio il titolo quasi ossimorico e l’essenzialità della copertina: vi giganteggia una foglia, con la sua forma semplice, in cui però si moltiplicano le nervature. Questa potrebbe essere interpretata come metafora della raccolta stessa: attorno alla grande foglia dell’amore, talvolta data per scontata per la sua forma prevedibile, ruotano le tante poesie-nervature che compongono un canzoniere dal valore al tempo stesso privato e universale.
L’io-narrante si rivolge infatti a un “tu” che resta senza nome per tutta la raccolta, e i loro incontri avvengono in una natura che ha alberi e rami, ma sfugge alla precisione toponomastica.
Siamo davanti alla forza evocativa dell’indefinito (sarebbe tanto facile quanto frettoloso citare Leopardi): gli elementi naturali o artificiali entrano, con la loro dose di quotidianità, a far poesia. Sono gli accostamenti insoliti tra di loro, l’analisi delle reazioni che provocano sul soggetto o sulla donna, a creare un piacevole effetto di sorpresa, un ponte che si prolunga oltre i versi finali, per congiungersi al vissuto del lettore. La sensazione, infatti, è quella di un’opera profondamente intima eppure, ci teniamo a ribadirlo, altrettanto condivisibile: le poesie brevi (prive di titoli), che occupano parzialmente il campo bianco della pagina, favoriscono un’idea di levità (ma non di leggerezza), così come la sintassi semplice, spezzata in vari enjambement, arriva immediatamente all’immaginazione e ai sentimenti del destinatario (la donna, in primis, e quindi al lettore).
L’amore è declinato nella sua carnalità e nel suo risvolto sentimentale, con osmosi tra i due ambiti. L’amore è, infatti, lasciar entrare l’altro nella mente e nel corpo (“incontrare e farsi incontrare”, p. 122), richiede di mettersi in gioco e di affrontare il cambiamento che questo comporta. Significa offrirsi senza riserve (“Amarsi è spogliarsi di ogni forza,/ offrire il lembo estremo/ del nostro essere”, p. 41), accogliere ed essere accolti, in una reciprocità che non deve venire meno e che rintocca nell’uso pronominale ribattuto di “io” e “tu” alternati. Il corpo, con le sue vene e la sua carne, dunque con la sua più estrema concretezza, è il “luogo” che ospita l’amore, permettendo di distrarsi per un po’ dalla morte e dal trascorrere del tempo. Allo stesso modo, anche la poesia ha un valore eternatore, o perlomeno rallenta il tempo: così, le parole sono “piccoli inciampi/ per frenare il vento/ che va via” (p. 7), o ancora, “ci distrae dalla vita/ come intrattenimento,/ ci porta alla vita come amoroso/ corteggiamento/ col tempo che passa” (p. 16). Dunque, “la poesia e l’amore/ sono il nostro cadere più vero/ nel mondo:/ stiamo luccicando prima di spegnerci” (ivi).
A rasserenare, in questo cammino inevitabile verso il nulla, ci sono la donna e la natura: entrambe sono portatrici di salvezza e di bellezza. Non sorprende che l’amata si muova spesso in comunione con gli alberi e gli agenti atmosferici, tra suggestioni paniche (“Una goccia d’acqua/ potrebbe farti da vestito”, p . 69) e momenti di contemplazione dal ricordo petrarchesco. In tal senso, congiungersi con la natura può essere dichiarato simile al “fare l’amore”, proprio per la stretta unione che il poeta prova con gli elementi, anche i più piccoli (“In un giorno così puoi fare l’amore con l’aria, /col tempo che passa,/ non hai bisogno di spogliare una donna/ o di spogliarti”, p. 114, in cui torna anche a livello lessicale il già citato effetto di reciprocità). Tuttavia, l’amore non si esaurisce nella coppia: sarebbe infatti presuntuoso pensare di astrarsi dal mondo in nome del proprio sentimento (“L’uno e il due/ sono presunzioni”, p. 111); l’umanità non è solo prerogativa degli uomini, ma “appartiene/ anche agli animali,/ agli alberi, alle nuvole” (ivi).
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È la contemplazione dei paesaggi che ha reso tanto noto Franco Arminio (che ama definirsi “paesologo” e che anche su Instagram riconduce i suoi versi a immagini di luoghi evocativi) a tornare ripetutamente nella raccolta, con soluzione di continuità tra i paesaggi umani e quelli naturali, tra metafore (“Ogni uomo, ogni donna/ è un corpo celeste/ arato dal respiro”, p. 67) e allusioni.
Come l’amore ci permette di uscire dalla “galera dell’attualità”, citando la nota d’autore in chiusura, così una poesia come quella di L’infinito senza farci caso sfugge al presente, nidifica nell’ucronia, e rifiuta qualsiasi etichetta, per volare invece lontano, tra le emozioni dei lettori.