Margaret Atwood, celebre e prolifica autrice canadese, più volte candidata al Premio Nobel per la letteratura, torna in libreria con la raccolta di versi “Brevi scene di lupi”. Su ilLibraio.it una poesia

Capelli ricci, occhi cristallini, sorriso sornione e sguardo magnetico: è lei, Margaret Atwood (nella foto di Luis Mora, ndr), la celebre scrittrice de Il racconto dell’ancella, romanzo del 1985 da cui è stata tratta la fortunata serie tv The Handmaid’s Tale, e che è diventato una sorta di manifesto letterario per riflettere sulle questioni del femminismo contemporaneo.

Le parole delle sue opere, infatti – da quelle più datate alle più recenti – sono una lente preziosa per leggere e smascherare il sistema patriarcale, come ha fatto notare Michela Murgia in un intervento comparso su Robinson: Scacco al re in sette mosse. Istruzioni pratiche e politiche per non essere mai più ancelle. Ed ecco che adesso l’autrice canadese classe 1939 torna in libreria con una raccolta di poesie – molte delle quali inedite.

Atwood - Brevi scene di lupi COVER

Brevi scene di lupi, curato da Renata Morresi e edito da Ponte alle Grazie (casa editrice che ha pubblicato quasi tutte le opere della scrittrice), offre per la prima volta al pubblico italiano una selezione delle poesie composte dal 1966 al 2020.

Laureata a Harvard, Atwood esordì nel 1961 con la raccolta di versi Double Persephone, alla quale seguì, nel 1964, Il gioco del cerchio. Si tratta di opere nelle quali viene affrontato il tema dell’identità culturale canadese, che sarà il filo conduttore anche delle raccolte poetiche successive; tra queste si ricordano Procedure per il sotterraneo (1970), Storie vere (1981), Interlunare (1984).

La condizione della donna è invece al centro delle opere narrative, a partire dal romanzo La donna da mangiare (1969 – che torna a fine anno in una nuova edizione), che diede all’autrice il successo internazionale. La sua produzione vanta più di venticinque opere tra romanzi, racconti, raccolte di poesia, libri per bambini e saggi, oltre che sceneggiature per la radio e la televisione. Più volte candidata al Premio Nobel per la letteratura, ha vinto il Booker Prize nel 2000 per L’assassino cieco. Fra i suoi titoli più importanti ricordiamo: L’altra Grace (2008), Il canto di Penelope (2018), e I testamenti, vincitore del Booker Prize 2019 e sequel attesissimo de Il racconto dell’ancella.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it una poesia tratta dalla raccolta:

Sposando il boia

È stata condannata a morte per impiccagione. Un uomo può evitare la sentenza diventando il boia, una donna sposando il boia. Al momento non c’è nessun boia, perciò non c’è scampo. C’è solo la morte, rimandata a tempo indefinito. Questa non è un’invenzione, è storia.
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Vivere in prigione è vivere senza specchi. Vivere senza specchi è vivere senza sé. Lei vive oltre sé stessa, trova un buco nel muro di pietra e dall’altra parte del muro una voce. La voce arriva attraverso il buio e non ha un volto. Questa voce diventa il suo specchio.
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Per evitare la morte, quella morte in particolare, con il collo spezzato e la lingua rigonfia, lei deve sposare il boia. Ma non c’è un boia adesso, allora spetta a lei crearlo, deve convincere quest’uomo dall’altro estremo della voce, questa voce che non ha mai visto e che non l’ha mai vista, questo buio, deve convincerlo a rinunciare al proprio volto, a scambiarlo per la maschera impersonale della morte, della morte ufficiale che ha occhi ma non ha bocca, questa maschera da oscuro lebbroso. Deve trasformare le sue mani in modo che vogliano avvolgere la corda attorno alle gole designate, gole come quella di lei. Deve sposare il boia o nessun altro, ma non va poi così male. Chi altri c’è lì a sposarla?
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Ti chiedi del suo crimine. È stata condannata a morte per aver rubato dei vestiti alla sua padrona, o meglio, alla moglie del suo padrone. Voleva farsi bella. Questo desiderio nelle serve non era legale.
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Usa la sua voce come una mano, la sua voce lo raggiunge attraverso il muro, accarezza e tocca. Cosa poteva dire per convincerlo? Lui non era un condannato a morte, lo aspettava la libertà. Qual era la tentazione giusta, cosa poteva funzionare? Forse gli sarebbe piaciuto vivere con una donna che aveva salvato, che aveva guardato giù dentro la terra ma l’aveva comunque seguito su verso la vita. Era la sua unica possibilità per essere un eroe, almeno per una persona, perché, fosse diventato il boia, gli altri l’avrebbero odiato tutti. Era in prigione per aver ferito un altro uomo, al dito della mano destra, con una spada. Anche questa è storia.
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Entrambe le mie amiche mi raccontano le loro storie, che sono da non credere e che sono vere. Sono storie dell’orrore e non sono accadute a me, non sono ancora accadute a me, sono accadute a me ma noi siamo distaccate, guardiamo il nostro scetticismo con orrore. Certe cose non possono accadere a noi, è pomeriggio e certe cose non accadono di pomeriggio. Il problema è stato, diceva lei, che non ho fatto in tempo a mettere gli occhiali e senza sono cieca come una talpa e neanche ho visto chi era. Queste cose accadono e noi sediamo a un tavolo e ne facciamo racconti a cui possiamo finalmente credere. Questa non è un’invenzione, questa è la storia, di boia ce n’è più di uno e qualcuno tra questi è senza lavoro.
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Lui disse: la fine delle pareti, la fine delle corde, l’aprirsi delle porte, un campo, il vento, una casa, il sole, un tavolo, una mela.
Lei disse: capezzoli, braccia, labbra, vino, pancia, capelli, pane, cosce, occhi, occhi.
Entrambi mantennero la loro promessa.
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Il boia non è poi così male. Quando ha finito apre il frigo e mangia gli avanzi, anche se non pulisce quello che gli cade per sbaglio. Vuole solo cose semplici: una sedia, qualcuno che gli tolga le scarpe, qualcuno che lo guardi mentre parla, con ammirazione e paura, gratitudine possibilmente, qualcuno in cui immergere sé stesso per riposare e rinnovarsi. Queste cose le si ottiene meglio se si sposa una donna condannata a morte da altri uomini perché ha desiderato essere bella. Ce n’è un’ampia scelta.
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Tutti dissero che lui era un pazzo.
Tutti dissero che lei era furba.
Usarono la parola adescare.
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Cosa si dissero la prima volta che furono da soli insieme nella stessa stanza? Cosa disse lui quando la vide senza il suo velo, vide che non era una voce ma un corpo e perciò un corpo finito? Cosa disse lei quando scoprì che aveva lasciato una stanza serrata per un’altra uguale? Parlarono d’amore, naturalmente, anche se questo non li tenne impegnati per sempre.
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Il fatto è che non ci sono cose che posso raccontare alle amiche per farle sentire meglio. La storia non può essere cancellata, anche se possiamo consolarci speculandoci sopra. A quel tempo non c’erano boia femmine. Forse non ce ne sono mai state, e così nessun uomo si è potuto salvare sposandosi. Sebbene una donna potesse, per legge.
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Lui disse: piede, stivale, ordine, città, pugno, strade, tempo, coltello.
Lei disse: acqua, notte, pioppo, corda di capelli, pancia di terra, grotta, carne, sudario, aperto, sangue.
Entrambi mantennero le loro promesse.

Nota: nel Québec del 1700 l’unico modo per un condannato a morte di evitare l’esecuzione era, per un uomo, diventare il boia, per una donna, sposarne uno. Françoise Laurent, condannata all’impiccagione per furto, persuase Jean Corolère, vicino di cella, a fare domanda per occupare il posto di carnefice professionista, e anche a sposarla.

(continua in libreria…)

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