“Fu solo attorno al IV secolo che cominciò ad affermarsi tra i cristiani d’Oriente un periodo purificazione e di preparazione alla Pasqua…”. In vista della Quaresima, la riflessione di Paolo Scarpi (studioso di religioni del mondo antico e della funzione normativa dei sistemi religiosi sulle scelte alimentari, oltre che docente di Cultura e simbologia dei cibi), co-autore del saggio “La scelta vegetariana”

In questo 2019 la Quaresima, dal latino quadragesima, comincia il 6 marzo e termina il 18 aprile, ma i giorni che preparano alla Pasqua, quest’anno “alta” perché cadrà il 21 aprile, sono sempre quaranta, ed evocano i quaranta giorni trascorsi da Gesù Cristo nel deserto dopo aver ricevuto il battesimo dal Battista, prima di iniziare la sua predicazione, ma possono anche rammentare i quarant’anni trascorsi dagli Ebrei nel deserto, oltre ad altri riferimenti al numero quaranta presenti nell’Antico Testamento.

È questo un periodo dell’anno che non ha date costanti di inizio e fine, perché la sua posizione calendariale dipende dal giorno del mese in cui cade la Pasqua, celebrata nella prima domenica dopo il plenilunio successivo all’equinozio di primavera. Fissata la data della Pasqua, festa ereditata dal mondo ebraico, la Pesach, che ricorda l’uscita degli Ebrei dall’Egitto, è possibile poi stabilire le date della Quaresima e dello stesso Carnevale che nella Quaresima sbocca. Questa transizione, che comporta il passaggio dal mangiare di grasso al mangiare di magro, è stata talora sottolineata dal funerale di Re Carnevale bruciato su un rogo. Nel Medioevo fu anche caratterizzata dalla «Battaglia tra Quaresima e Carnevale», dove agivano le armate dei due «generali»: la cucina dei giorni di magro contro la cucina dei giorni di grasso. Narrato in un fabliau francese del XII secolo, questo combattimento fu nel 1559 il soggetto di un dipinto a olio su tavola di Pieter Brügel il Vecchio, dove la Quaresima starebbe a incarnare il cattolicesimo e il Carnevale il luteranesimo, forse a canzonare lo scontro tra Chiesa di Roma e Riforma protestante che in quel torno di tempo stava tormentando l’Europa.

Dal punto di vista del cristiano è un tempo di preparazione spirituale all’incontro con il Cristo risorto, tempo che in passato era scandito dalle prediche quaresimali di monaci e preti itineranti che minacciavano le più orrende torture nel più tenebroso degli Inferni per i peccatori che non si fossero pentiti. Secondo il Codice di diritto canonico è la «legge divina» a stabilire che «tutti i fedeli» siano «tenuti a fare penitenza, ciascuno a proprio modo» nei giorni stabiliti, dedicandosi alla preghiera e a opere di pietà e di carità, e infine «osservando il digiuno e l’astinenza».

Queste disposizioni tuttavia non appartenevano al cristianesimo degli albori, che riteneva l’uomo libero di scegliere a piacere il proprio regime alimentare, né vi erano apparentemente limitazioni od obblighi. Nondimeno la libertà di scegliere il proprio regime alimentare non fu sempre bene accolta all’interno delle comunità cristiane, tanto è vero che Tertulliano, agli inizi del iii secolo, criticò violentemente i cristiani accusandoli di lussuria e di ghiottoneria, mentre figure autorevoli come Clemente di Alessandria e sant’Agostino invitavano a consumare con moderazione cibi e bevande.

Fu solo attorno al IV secolo che cominciò ad affermarsi tra i cristiani d’Oriente un periodo purificazione e di preparazione alla Pasqua, benché una pratica penitenziale pre-pasquale si fosse già delineata a partire dal II secolo. E non è da escludere che il cristianesimo, nato da una costola dell’ebraismo, abbia adottato precisi momenti di astinenza e di digiuno forse perché il mondo ebraico praticava allora come oggi il digiuno purificatore nel corso dei Dieci Giorni del Pentimento, nella festa dello Yom haKippurim, ma forse anche perché negli antichi culti pagani si praticava, se non proprio il digiuno, l’astensione da alcuni cibi o da bevande come il vino, e infine forse perché bisognava occupare lo spazio temporale di un mese romano, Februarius, da februare, purificare, dedicato appunto alle «purificazioni». Concentrati in particolare nel periodo liturgico della Quaresima, questi momenti penitenziali vanno associati all’astinenza dalle carni e al digiuno del Mercoledì delle ceneri e del Venerdì santo, con cui per lungo tempo è stata connessa, e in realtà vige tuttora, la pratica del mangiare di magro il venerdì di ogni settimana.

Nel corso di tutta la Quaresima vigeva dunque in passato l’imposizione, ormai allentatasi, di mangiare di magro, abolendo pertanto tutte le carni, mentre il pesce e il rosso d’uovo erano consentiti. Era un mangiare di magro che, a dire di Voltaire, aveva però visto le classi abbienti far portare sulle proprie tavole sogliole, salmoni, tracine, rombi e storioni proprio nei giorni in cui era sospesa la carneficina degli animali per consentire agli uomini di dedicarsi alle pratiche penitenziali.

Molto rigido era invece ed è ancora oggi presso i greci ortodossi l’obbligo della pratica vegetariana durante la Quaresima, la Megali Sarakostí, perché periodo dedicato alla penitenza e al Vero Digiuno nel corso del quale è assolutamente vietato il consumo di carne, uova, latte e derivati, olio, vino, ma anche di alcuni pesci come cefalo, dentice, spigola, sarago e orata. I ricettari perciò hanno realizzato «menu penitenziali» come le polpette di fave e ceci, la purea di sesamo o il pane duro condito con legumi e un «brodo sacro» a base di acqua, aceto ed erbe aromatiche.

Se infine per gli anglicani la Quaresima è un periodo di preparazione alla Pasqua a carattere penitenziale, le regole del digiuno e dell’astinenza previste dal cattolicesimo non sono invece accolte dai luterani, per i quali esse rappresentano soltanto una pratica esteriore inutile per conseguire la salvezza, prospettiva fatta propria da gran parte delle altre Chiese protestanti, benché per esempio secondo la Chiesa metodista il digiuno sia un’opera di pietà e un esercizio spirituale.

IL LIBRO E L’AUTORE – Essere vegetariani per la specie umana è una scelta, non un’inclinazione naturale. L’uomo è un onnivoro, non un vegetariano “per stomaco”, come lo sono i ruminanti, per esempio. È per questo importante capire quando in una società, in una cultura, in un certo periodo storico, in uno stato, in un gruppo si decide di allontanarsi dal regno della carne. Si tratta sempre di una scelta culturale, e nella maggior parte delle volte è quasi sempre espressione di una prospettiva religiosa. La scelta vegetariana (Ponte alle grazie) vuole descrivere i momenti storici in cui questa scelta è avvenuta.

Gli autori, Paolo Scarpi (studioso di religioni del mondo antico e della funzione normativa dei sistemi religiosi sulle scelte alimentari, oltre che docente di Cultura e simbologia dei cibi presso l’Università di Padova) e Chiara Ghidini (insegnante di Religioni e Filosofie dell’Asia orientale all’Università di Napoli “L’Orientale”), raccontano la storia della scelta vegetariana, con le sue disomogeneità e disuguaglianze, con le sue discontinuità e contraddizioni, percorrendo il tempo e gli spazi geografici dell’Asia e dell’Europa.