“La retorica è allora davvero una questione di vita o di morte, e non vuoto ornamento o discorso vuoto come vuole la condanna corrente, una via paradossale attraverso la quale si può arrivare, attraverso la costruzione più sofisticata, a dire qualcosa che somiglia alla verità” – Su ilLibraio.it la recensione di “Quasi nemici”, un film che racconta la relazione pedagogica tra un uomo bianco, cinico e destroso e una ragazza di origine araba

Le parole sono importanti“. Torna alla mente l’abusato ammonimento morettiano mentre si guarda questo film di formazione e deformazione oratoria. E se, per dirla con il vecchio ma meno trito Goethetutto è stato già detto, il difficile è dirlo ancora una volta“, gli insegnamenti dell’eloquenza, introdotti non a caso dalle parole di grandi intellettuali francesi con materiale d’archivio, appaiono ancora in grado di ricordarci il potere della parola e l’arte di darle sempre nuova forma ed efficacia, la strada per riconnettersi alla magia alchemica ed emancipativa del linguaggio.

E allora sentiamo chi parla: questa potrebbe sembrare, a prima vista, la storia di un losco figuro retorico, il bianco, destrorso, privilegiato e cinico Pierre Mazard (col cuore ancora in inverno di Daniel Auteuil) che incontra e si scontra con la ragazza d’origine araba, dalla banlieu di Créteil, Neïla Salah (Camélia Jordana, cantante e miglior attrice emergente ai César, già notata nella commedia Due sotto il burqa).

Questi “quasi nemici”, come recita un titolo italiano un po’ fuorviante e figlio di un marketing facilotto, innescano, a partire da un ritardo di lei alla prima lezione di lui, scintille di tenzone discorsiva, fra le provocazioni ad personam del professore e la rabbia giovane che non si vuol far umiliare della studentessa, dando via a quel “brio”, che dà il nome originale alla pellicola, e il tono a un film che, con il ritmo e la struttura della commedia, parla anche e attraverso quella verve e quella “panache” (per usare il vessillo del Cyrano), misto di spirito, baldanza, brillantezza, addirittura “cazzimma”, che sembra il cuore della capacità di fare colpo con le parole.

In una relazione pedagogica intensa e radicale, che oscilla, senza toccarli, fra gli estremi del rapporto sadomaso di Whiplash (le parole sono armi taglienti) e quello commosso dell’Attimo fuggente (salire su un banco rappresenta una rivoluzione del punto di vista), l’acerba e dubbiosa Neïla si confronta coi precetti spietati di Schopenhauer e i versi erotici di Baudelaire, sospesa fra il Je suis Chalie e l’Ecce homo, l’indignazione e l’invocazione, gli spettri della preterizione e dell’espris d’elescalier, i corpo a corpo dell’arguzia d’azzeccagarbugli e della potenza ribaltante del verlan, e costretta nella tenzone della provocazione e dell’insulto col proprio mefistofelico mentore a dar prova di coraggio e seduzione oratoria recitando Shakespeare nella metro o implorando credito in un bistrot.

E forse non è un caso che in questo bildungsroman a colpi di eloquenza il maestro si chiami Mazard, che in inglese è lo slang per quel teschio col quale Amleto ha strettamente a che fare. E se il vero apprendimento non può non passare da un rivolgimento conflittuale del proprio punto di vista, un esercizio violento su se stessi fatto anche di rabbia, disciplina, “uccisione” del proprio Maestro, la provocazione è arte maieutica, e da questo travaglio, nasce una nuova consapevolezza di sé, il controllo dell’emotività, la parola come strumento di sopravvivenza e di emancipazione (dalla propria origine, senza negarla, dal vittimismo, sapendosi difendere e imporre).

La retorica è allora davvero una questione di vita o di morte, e non vuoto ornamento o discorso vuoto come vuole la condanna corrente, una via paradossale attraverso la quale si può arrivare, attraverso la costruzione più sofisticata, a dire qualcosa che somiglia alla verità. Non è questo che avviene nelle dichiarazioni d’amore, che trovano coraggio ed efficacia nel sapiente uso delle parole (e dell’attesa, direbbe Barthes, citato e ben-detto nel film), o in una amicizia che sa trasformare la punzecchiatura mordace, finanche l’insulto reciproco, in vicendevole carezza, segno di riconoscimento, strumento di salvezza?

 

L’AUTORE: qui tutte le recensioni e gli articoli di Matteo Columbo per ilLibraio.it

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