È in corso di ripubblicazione l’opera di Angela Carter, oggi considerata una delle voci narrative più innovative e radicali del panorama inglese tra gli anni ‘60-’80, la cui carriera fu però riconosciuta solamente negli ultimi anni della sua vita. Libri che spesso si presentano come un meccanismo di reinvenzione del canone letterario, al quale non manca un messaggio di fondo politico femminista e transfemminista – L’approfondimento

Quando morì, nel 1992, Angela Carter aveva solo 51 anni ed era all’apice della carriera. Una carriera riconosciuta purtroppo solo tardivamente, perché in vita l’autrice fu sempre vista come una figura marginale e di culto, nonostante oggi sia considerata una delle voci narrative più innovative e radicali del panorama inglese tra gli anni ‘60-’80.

Da pochi cenni biografici si può riconoscere una vita fuori dall’ordinario: l’evacuazione dal Kent allo Yorkshire durante i bombardamenti tedeschi, gli anni ‘60 a Londra, il matrimonio e divorzio da Paul Carter, famoso collezionista di musica folk inglese, gli anni in Giappone come reporter e quelli tra Europa e Stati Uniti come writer in residence, il tumore e la morte precoce.

Quella di Angela Carter è stata una vita intensa, che lei stessa ha vissuto fino all’ultimo momento di buon umore. Racconta Rushdie, che la visitò pochi giorni prima della morte: “La morte la faceva decisamente incazzare, ma Angela aveva una consolazione. Aveva stipulato ‘un’immensa’ polizza sulla vita poco prima di essere colpita dal cancro. L’idea che l’assicurazione sarebbe stata costretta a elargire una fortuna ‘ai suoi ragazzi’ (il marito Mark e il figlio Alexander), dopo aver pagato poche rate, la riempiva di gioia e ispirava un’aria da black comedy a cui era impossibile resistere”.

Nell’antro dell’alchimista

Benchè breve, quella di Angela Carter è stata una vita intensa e in perpetuo movimento e di questo ne danno prova le opere, che spesso si presentano come vertiginose piroette circensi in uno spazio che si moltiplica infinitamente come una casa degli specchi.
Le sue opere sono connotate da un eccesso quasi pantagruelico di connessioni, barocchismi e twist narrativi che talvolta affannano il lettore, ma che celano un ingegno radicale e unico. In anni in cui dominava una certa scrittura realista, attenta a raccontare la società inglese negli anni della ripresa post-bellica, la voce di Carter irruppe sulla scena come qualcosa di totalmente nuovo.

Margaret Atwood dirà che “scriveva in un modo così diverso da quello degli altri, che non la si sapeva categorizzare. E immaginate, ancora oggi non lo si riesce a fare”. Benchè la sua opera sia stata associata al realismo magico che si stava imponendo in quei decenni come genere di provenienza soprattutto post-coloniale e come il genere delle voci del margine, in realtà non si conforma esattamente a questa categoria, in parte perché le storie raccontate provengono dal cuore dell’impero, in parte perché spesso mancano di quello sfondo realista su cui irrompe il fantastico che definisce generalmente il realismo magico.

Le storie di Carter sono piuttosto meccanismi bellici, tentativi di manomissione e ricostruzione delle storie che ci hanno sempre raccontato, bombe che fanno esplodere il canone letterario. L’autrice prende le fiabe più note, da Cappuccetto Rosso alla Bella e la Bestia, e le fa a pezzetti, prende le figure femminili e dà loro agency, le fa saltare da una storia all’altra, ridona loro la sessualità di cui sono state private. Carter sparge sangue e orrore con un amore che a fine lettura rende storditi e affascinati come se avessimo assistito a un vaudeville grottesco e liberatorio, a un’orgia intellettuale sfrenata capace di far esperire il potere dissacratorio e politico della letteratura e della parola.

Anche se a prima vista sembrano giochi letterari intellettuali e compiaciuti, i testi di Carter non sono mai solo fantasie escapiste o divertimenti. Al di là dei riferimenti colti e dei citazionismi, tutti racchiudono in sé un profondo messaggio politico femminista e transfemminista: l’oppressione patriarcale passa prima di tutto attraverso la narrazione e la lingua. Per combatterla bisogna partire da queste: narrazione e lingua devono essere forzate, decostruite e rimontate. E all’impresa Carter si impegna con una cura quasi eccessiva, creando capolavori come La passione della nuova Eva o Figlie Sagge (traduzione di R. Bernascone e Cristina Iuli), ma anche pubblicando talvolta racconti che risultano quasi indigesti, tanto sono farciti di manipolazioni linguistiche ed escamotages narrativi.

È in quest’ottica, cioè nella sua enorme importanza intellettuale e politica, che si deve accogliere come lieta notizia il recupero dell’opera di Carter da parte di Fazi, iniziato nel 2016 con l’uscita di Figlie Sagge e proseguito con Notti al circo (tradotto da Mariagiulia Castagnone) e che oggi raggiunge una nuova tappa con la pubblicazione del secondo volume dei racconti Nell’antro dell’alchimista (trad. Angela Tranfo, Cristina Iuli, Barbara Lanati e Rossella Bernascone).

Angela Carter Nell’antro dell’alchimista

Nell’antro dell’alchimista. Vol. 2 raccoglie i racconti di Venere Nera (1985), Fantasmi Americani (postumo, 1993) e alcuni racconti sparsi pubblicati tra il 1970 e il 1981. Questi si distinguono dalle collezioni precedenti perché si tratta prevalentemente di ritratti di personaggi letterari (nel caso di Venere Nera) o di racconti che si intrufolano e riscrivono la storia del cinema e dell’arte (Fantasmi Americani). Tra le loro pagine si ritrovano Jeanne Duval, l’amante haitiana di Charles Baudelaire, Edgar Allan Poe, Puck, Moll Flanders, ma anche Lizzie Borden e John Ford. Sono storie pirotecniche, eccessive, cariche di una forza sovversiva quasi sconosciuta. Leggerle è a tratti quasi faticoso, perchè faticoso è uscire dalla propria comfort zone. Ma quello che si guadagna da questo sforzo è una visione nuova, una specie di potere speciale capace di farci tornare alle storie che conosciamo e di guardarle da prospettive nuove e ribaltate. Quello che ci donano queste storie è un grimaldello critico da portarci appresso per smantellare le narrazioni dominanti, per liberare i soggetti oppressi e per scoprire il potere sovversivo dell’immaginazione.

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