“Mio padre prende il fucile dall’armadietto, liscia un momento la canna. Lo infila nella custodia e richiude il mobile a chiave…”. Comincia così il racconto inedito di Donatella Di Pietrantonio, che l’autrice ha offerto alle lettrici e ai lettori de ilLibraio.it. Dopo il successo de “L’Arminuta”, la scrittrice è tornata con il seguito, “Borgo sud”

CACCIATORI

Mio padre prende il fucile dall’armadietto, liscia un momento la canna. Lo infila nella custodia e richiude il mobile a chiave. La cartucciera è già sul tavolo della cucina. Dall’aia lo chiamano dei fischi, e l’abbaiare dei cani. Passa in camera e saluta mia madre, sa che non gli può rispondere.

Fuori è ancora buio, la sagoma della montagna sotto le stelle e le poche luci di Farindola che brillano in lontananza. Lui guarda il cielo dalla terrazza e si rassicura della giornata che sarà.

“Meh, Sabati’, ci vogliamo muovere?” lo apostrofa Dario, detto l’Acciarino. Parla sempre a voce troppo alta, chissà perché.

Mio padre scende le scale, Diana lo accoglie entusiasta. Salta subito dentro quando lui le apre il portabagagli.

“Sabatino, hai preso la mascherina?” chiede la voce assonnata da una finestra al piano terra.

Si aggiusta il ferretto sul naso e risponde di sì a Lucia, la nostra badante. L’ha svegliata Dario, di certo, e i suoi cani impazienti nel cassone del pick up. Mio padre le ricorda di dar da mangiare ai maiali, più tardi. Per piacere. Sono due, già belli grassi, quasi pronti a morire.

Sistema il fucile sul sedile posteriore, le cartucce al posto del passeggero. Ha dimenticato i panini che Lucia gli ha preparato ieri, sale a prenderli. Dario grida che il punto di ritrovo con gli altri è a Cùpoli, saranno già lì. Non porta la mascherina e le goccioline gli scappano dalla bocca quando sbraita. Ha una specie di divisa mimetica, mio padre invece dei pantaloni cargo che ha trovato in un negozio “per giovani” e gli danno un’aria da ragazzo, infatti.

Partono, ognuno con la propria macchina, sanno cos’è il distanziamento sociale. Da Cùpoli in poi il corteo dei cinque o sei fuoristrada – più la Brava di mio padre – procede compatto verso la Valle Peligna. Costeggiano Sulmona appena il giorno comincia a schiarirsi, si inerpicano su per i tornanti fino a raggiungere la loro meta. I cani scendono eccitati, gli uomini organizzano la battuta, con i fucili già in spalla.

“Sabati’, mo te la puoi pure leva’ la mascherina” dice uno, indicando con il braccio la vastità disabitata tutto intorno.

Mio padre è l’unico che ancora la indossa, se l’abbassa sotto il mento. Fino alla sera prima si è sorbito la mia predica al telefono. Si è fermato il mondo e ancora non mi spiego che nessuno abbia pensato di fermare loro, i cacciatori.

Da sempre la caccia è motivo di discussioni tra me e lui. Ai referendum degli anni ’90 ho votato contro, cioè a favore dell’abrogazione. Ho masticato amaro per il quorum che non si è raggiunto. Mio padre festeggiava con i compagni, a suon di bicchieri.

Alcuni seguono i cani sulle tracce della lepre, altri si appostano più in alto, lungo le probabili vie di fuga. L’odore è forte nell’erba bagnata, qui la preda ha passato la notte, qui si è pasciuta. Ora sta rintanata da qualche parte, di sicuro li ha sentiti e rimane acquattata, con il cuore che batte impazzito. I latrati di Diana sempre più forti e vicini a un punto preciso, mio padre li riconosce, capisce che c’è arrivata per prima. Toglie la sicura al fucile, si prepara, una gamba davanti e l’altra dietro, tesi i muscoli delle braccia e il collo. Il suo cuore, pure accelerato.

Ormai della cagna le arriva anche l’ansimare bramoso, il calore del fiato. La lepre scappa a saltelli, il marrone del pelo poco distinguibile nell’erba autunnale. È il movimento a tradirla. Lui la segue un secondo con le canne, aggiustando la mira. Spara. L’animale muore in quell’attimo sospeso, le quattro zampe staccate da terra. Ricade all’istante, gli organi vitali trafitti dai pallini di piombo.

Mio padre abbassa il fucile e resta fermo al suo posto, ancora incredulo. Esultano gli altri, urlano la gioia della squadra nel silenzio del mattino. La voce di Dario sbatte contro la parete di roccia in fondo al pianoro, torna indietro con l’eco.

“Viva il vecchio”, grida.

Nel nostro dialetto vecchio non è una parola offensiva, è solo una fase della vita. Mio padre sta per compiere ottantaquattro anni, è orgoglioso del rispetto che gli portano. Il cacciatore più anziano dopo di lui è un sessantenne, ci dice più tardi, mentre mangia da solo. Io e Lucia gli abbiamo tenuto in caldo gli gnocchi della domenica.

“Avete preso qualcosa, Sabatino?” gli ha chiesto.

“Eh, una lepre”.

Ci siamo guardati, lui contento e io torva. Una volta tornavano con le prede morte legate sui cofani delle macchine, in esposizione. Adesso non si usa più, il barbaro spettacolo.

“Vi siete fermati a bere, dopo?” domando sospettosa.

“Ma come ci pensi?” si inalbera per finta. “Non si può”.

La riconosco quell’allegria un po’ alcolica, in lui che beve solo un bicchiere di rosso a pasto. Me li vedo, che mangiano i panini e brindano con i bicchieri di plastica al successo della battuta. Belli ammucchiati, dimentichi delle mascherine ficcate in fondo alle tasche.

“E la lepre dov’è?” chiede Lucia.

“L’ho regalata a Dario. Tanto qua nessuno la mangia” e mi guarda con quell’aria sorniona.

Va a riposarsi un po’, accanto a mia madre. Ci vediamo più tardi nell’orto, prima che faccia buio.

L’AUTRICE – Donatella Di Pietrantonio è una delle autrici italiane contemporanee più apprezzate da pubblico e critica. Con L’Arminuta (Einaudi) ha vinto il Premio Campiello 2017, ed è da poco tornata in libreria con il seguito, Borgo sud (sempre Einaudi), romanzo di cui ha parlato in quest’intervista con ilLibraio.it.

donatella di pietrantonio borgo sud

Alla questa pagina, invece, gli articoli che l’autrice ha scritto per il nostro sito.

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