Cosa rende Richard Brautigan (1935-1984), tra i più rivalutati e apprezzati autori americani degli ultimi anni, così unico e refrattario a ogni classificazione? Una riflessione sull’opera dell’autore di “Pesca alla Trota in America” e “American Dust”

Cos’è l’America, per Richard Brautigan?

L’interrogativo ci fa ripensare alla produzione del narratore e poeta statunitense, vicino alla Beat Generation e alla controcultura americana degli anni Sessanta e Settanta ma al tempo stesso ai loro margini, considerato non degno fratello ma autore “minore” dagli irriverenti e sovversivi intellettuali dell’epoca, nonostante la breve esplosione di fama legata a Pesca alla trota in America.

Perché lo scrittore di Tacoma, che sembra destinato a essere dimenticato e riscoperto ciclicamente, è così sfuggente a ogni collocazione letteraria? Un tentativo di risposta può nascere riflettendo sul suo rapporto con il panorama intellettuale dell’epoca e prendendo in esame il suo libro più celebre.

American Dust

BRAUTIGAN E LA BEAT GENERATION

“Non c’erano fiori nei tuoi capelli, ma è dannatamente sicuro che tu eri originale.”
Gerald Haslam, A Last Letter to Richard Brautigan

L’autore viene tradizionalmente collocato nel solco della letteratura beat, messo in ombra da “mostri sacri” come Kerouac, Ginsberg, e Vonnegut (sarà tra l’altro proprio quest’ultimo a introdurre Brautigan alla Delacorte Press, la casa editrice che aiuterà a diffondere su scala nazionale la produzione letteraria dell’autore).

Ma Brautigan “non era un hippy e non era un beat“: la sua voce si era trovata, per circa un decennio, allineata al ritmo della Beat Generation e della controcultura che ne è seguita, per poi allontanarsene senza fare rumore, come una tendenza che ha annoiato e lascia il passo a nuove mode, più chiassose e accattivanti.

Lo scrittore sembra piacere al pubblico del tempo “per caso”, come se nessuno, in fondo, l’avesse davvero capito. Rivelatoria l’intervista del 1983, dove incalzato dal giornalista Jean-Baptiste Baronian a commentare una presunta rilevanza dell’elemento parodistico nel suo romanzo American Dust, risponderà di non credere affatto nella parodia. “Non c’è niente del genere nei miei libri. Sono solo invenzioni narrative. Ed è […] soltanto in esse che si possono comprendere e realizzare le più grandi esperienze umane”.

La sua prosa pullula di metafore spiazzanti, scelte espressive sorprendenti, oltre a un accostamento di stilemi e soluzioni narrative assolutamente unico ed eterogeneo: un risultato che, appunto, disorienta, e può far pensare a un intento artistico meramente provocatorio. Ma l’obiettivo di Brautigan non è mai stato la ribellione in sé, il sovvertimento dell’ordine letterario costituito. L’autore introduce con sorprendente naturalezza suggestioni surreali e non sense, ma, come non manca di notare Marco Belpoliti, non rinnega la tradizione: prosegue la via narrativa tracciata da Melville (partendo dal racconto breve, anziché da una balena, per creare un’opera di enorme portata, capace di restituirci con dolorosa forza i sogni e le illusioni del Paese delle Opportunità) e nella comicità eredita da Mark Twain. Frequenti da parte della critica anche gli accostamenti a Hemingway, Thoreau, Barthelme

Tolta la parodia e l’anticlassicismo tipico della controcultura (“Io sono un classico!”, disse di sé nella stessa intervista) che strumenti gli rimangono per lasciare il segno nel panorama della letteratura americana e mondiale? Uno su tutti, quello del gioco. Brautigan amava giocare con le parole, e lo faceva come un bambino il cui scopo è sperimentare ed esplorare le potenzialità del linguaggio, senza ricercare programmaticamente uno stile irriverente e inconfondibile. Fa spazio, insomma, al nuovo: e non nel rifiuto di un canone letterario tradizionale, ma nell’ottica di ampliarlo, di arricchirlo di nuove soluzione espressive. Proprio quest’apparente semplicità, se da un lato rischia di farlo etichettare come “autore minore”, uno di quelli da non prendere troppo sul serio, dall’altro ne fa un grandissimo narratore americano.

pesca alla trota in america

PESCA ALLA TROTA IN AMERICA: IL ROMANZO DELLA FORTUNA

Il romanzo che lo renderà celebre sarà Pesca alla trota in America del 1967, anno reso memorabile dalla Summer of Love, esplosivo e psichedelico culmine di quel desiderio di pace, armonia e amore universali di cui si fece portavoce la nuova controcultura che dominerà gli anni Sessanta e Settanta. Dopo l’uscita del romanzo, la fama lo travolge all’improvviso: Brautigan diventa una star. La sua figura inconfondibile (alto, allampanato, sempre provvisto di cappello e di un impegnativo paio di baffi) troneggerà sulle copertine di Life e Rolling Stones. Incensato come portavoce della letteratura giovanile americana, viene altrettanto presto dimenticato: nessuno degli altri libri otterrà lo stesso sfolgorante successo di Pesca alla trota.

Pesca alla trota in America non ha una trama o un genere chiaramente individuabili, né tantomeno un intreccio lineare. Prosa e poesia si accavallano e si susseguono, la dimensione di romanzo lascia spazio a quella di racconto, il tutto farcito da lettere, elenchi, ricette. Il finale, imprevedibile, è spiazzante.

A tenere insieme questo variegato e multiforme materiale una palta misteriosissima fatta di un refrain ricorrente i cui ingredienti sono cinque semplici parole: Pesca alla Trota in America. Questa espressione accompagnerà il lettore dall’inizio alla fine. Ma che cos’è? A volte il significato sembra chiaro, perché si presenta in senso letterale: la pesca alla trota nei torrenti, attività cara a Brautigan – il cui ruolo sarà centrale anche nel successivo romanzo American Dust – ma altrove Pesca alla Trota si personifica, è un capo indiano, un vecchio malridotto, ma ancora Pesca alla Trota diviene un’idea, uno stato mentale, una trovata geniale, un lamento. L’immaginazione di Brautigan è talmente fervida da lasciare anche il lettore contemporaneo letteralmente a bocca aperta.

Ma Pesca alla Trota è, in fondo, l’America stessa: un’America partorita dalla memoria collettiva, mutevole e proteiforme. Come riesce Brautigan ad afferrare l’immagine di un’intera Nazione? Grazie alla peculiare frammentarietà della sua prosa, che rende possibile dividere in precisi elementi la struttura narrativa: in pressoché tutti romanzi (tutti piuttosto brevi e strutturati in capitoli) si può operare facilmente una partizione in mini-racconti, spesso niente più che piccoli quadretti quasi fotografici che si susseguono senza sosta. E proprio tale frammentarietà riflette forse il senso profondo della sua arte: una sorta di epica contemporanea, la cui grandiosa portata è dovuta proprio a questa natura “tassellata”, capace di comporre un mosaico eterogeneo ma unitario, che più che un ritratto impietoso è il lamento malinconico e rassegnato di una purezza ormai perduta. L’elegia cantata col sorriso sulle labbra a un’epoca, quella del Grande Sogno Americano, ormai giunta al tramonto.

 

 

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