Fabrizio De André è stato tante cose insieme: un poeta, un vate, un cantautore, e c’è chi lo considera l’ultimo trovatore della nostra tradizione letteraria. La sua produzione è sterminata e ugualmente attenta, i suoi album piccoli capolavori. E come ogni bravo autore, sapeva dove attingere… Su ilLibraio.it un approfondimento sui riferimenti letterari nelle sue canzoni.

Fabrizio De André è stato tante cose insieme. C’è chi lo definisce un poeta, chi un cantautore, chi addirittura lo considera l’ultimo trovatore della nostra tradizione letteraria. La sua produzione è sterminata e ugualmente attenta, i suoi album piccoli capolavori. E tra poco sarà addirittura un film. C’è infatti attesa per Fabrizio De André. Principe libero, biopic coprodotto da Rai Fiction e Bibi Film, scritto dagli sceneggiatori di Non essere cattivo Francesca Serafini e Giordano Meacci, diretto da Luca Facchini e interpretato dal romano Luca Marinelli nel ruolo del cantautore. La serie sarà al cinema solo il 23 e 24 gennaio e a febbraio sarà trasmessa in prima serata da Rai1.

Lettore ingordo, scrittore notturno, De André ha vissuto i suoi cinquantotto anni “in maniera pienotta“, e ha regalato ai suoi fan piccole perle che rimangono nel cuore e nelle orecchie di intere generazioni. Ma come ogni grande della storia, sapeva bene dove attingere: il Faber ha preso ispirazione da opere maestose della letteratura mondiale, ma anche da testi di autori sconosciuti ai più. Impossibile nominarli tutti, possibilissimo fare un compendio dei principali: album per album, ecco alcuni riferimenti letterari delle canzoni più importanti della storia della musica italiana.

Volume 1

Fabrizio De Andre - Volume 1

Iniziamo con Preghiera in gennaio (Dall’album ‘Volume I‘) testo dalla genesi controversa: pare che il cantautore l’abbia scritta in seguito alle esequie di Luigi Tenco, morto suicida. Il testo prende spunto da una poesia di Francis Jammes, Prière pour aller au Paradis avec les ânes (Preghiera per andare in Paradiso con gli asini). Caro amore ha una storia abbastanza famosa: il tema musicale è il centrale del Concierto para Aranjuez del ’39, composto da Joaquín Rodrigo, e il testo è ispirato alla canzone di Richard Anthony, Aranjuez mon amour, a sua volta tratta da un poema di Guy Bontempelli. Bocca di rosa, la prostituta che fece impazzire gli uomini di sant’Ilario, è ispirata a Brave Margot di George Brassens, cantautore che De André ha sempre considerato come maestro; è la storia di una pastorella che allatta un gattino, e gli uomini della città si fermano a guardarle il seno. Il famosissimo verso “Si sa che la gente dà buoni consigli…” è preso dagli aforismi di Oscar Wilde.

Tutti morimmo a stento

Fabrizio De Andre Tutti morimmo a stento

Dal secondo album, ‘Tutti morimmo a stento‘, merita una menzione Il cantico dei drogati: il testo parte dalla lirica Eroina di Riccardo Mannerini, ed è un brano collegato a un momento non facile della vita del Faber. Lui stesso dice: “[…] Il Cantico dei Drogati per me, che ero totalmente dipendente dall’alcool, ebbe un valore liberatorio, catartico. Io mi compiacevo di bere, anche perché grazie all’alcool la fantasia viaggiava sbrigliatissima“. Non a caso, il titolo precedente della canzone era “Cantico dei folletti di vetro”. Leggenda di Natale è una traduzione libera sempre dell’opera di George Brassens, e la Ballata degli impiccati riscrive – meravigliosamente – la Ballade des pendus del poeta quattrocentesco François Villon, ripreso più avanti nel corso della sua carriera.

Volume 3

Fabrizio De Andre volume 3

L’album ‘Volume 3‘ inizia con una delle canzoni più amate: La canzone di Marinella, che racconta di una prostituta sedicenne trovata morta ammazzata in un fiume monferrino. Tuttavia, parte del testo ricorda il canto di Ofelia, impazzita dopo la morte del padre (“Bianco come la neve il suo lenzuolo…”) che, come Marinella, ha visto nelle acque torbide di un fiume la sua tragica fine. Il Gorilla, una meravigliosa invettiva contro il sistema giuridico intero, traduce quasi alla lettera ancora il maestro Brassens; S’i fosse foco è una versione cantata del celeberrimo sonetto di Cecco Angiolieri, proposta proprio durante la rivolta studentesca del ’68. La guerra di Piero prende spunto da uno dei sonetti più famosi del genio di Arthur Rimbaud, Le dormeur du val. Il singolo Geordie/Amore che vieni, amore che vai, di cui si conosce benissimo la versione deandreiana e il remix del 2002 di Gabry Ponte, è una ballata che recupera una delle Child Ballads inglesi, in cui Geordie viene condannato all’impiccagione per abigeato.

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La buona novella

Fabrizio De Andre La buona novella

Il quarto album, ‘La buona novella‘, sancisce definitivamente il primato di Fabrizio De André nel panorama musicale italiano dei suoi anni. Protagonista è La Sacra Famiglia dei Vangeli apocrifi. “Scelsi i Vangeli scritti da autori armeni, bizantini, greci, perché erano una versione laica della storia di quell’eroe rivoluzionario che era Cristo“. L’infanzia di Maria usa toni durissimi, specificando che Maria fu strappata dal seno materno a tre anni e restò rinchiusa in un tempio fino ai dodici, quando venne venduta in un’asta pubblica a Giuseppe, “secondo il rituale dell’epoca, chiamando cioè a raccolta tutto il popolo dei senza moglie, vale a dire non soltanto gli scapoli ma anche i vedovi attraverso una sorta di lotteria”. Il brano termina con un verso del Protovangelo di Giacomo – che, ricordiamo, era uno dei figli di Giuseppe: “Secondo l’ordine ricevuto, Giuseppe portò la bambina nella propria casa e subito se ne partì per dei lavori che lo attendevano fuori dalla Giudea. Rimase lontano quattro anni“. E il dolore di Maria in Tre madri ricorda la Laude drammatica di Jacopone Da Todi, Pianto della Madonna o Donna de Paradiso, che tra l’altro De André riprende più avanti, in Ottocento (Le nuvole). “Il testamento di Tito, insieme all’Amico Fragile, è la mia miglior canzone“, avrebbe detto il Faber, che affida le parole di Mosè (Esodo) a Tito, uno dei ladroni crocifissi insieme a Gesù, secondo il tema del ladrone buono, tipico dei Vangeli arabi dell’infanzia.

Non al denaro non all’amore né al cielo

Fabrizio De Andre non al denaro non all'amore né al cielo

A diciotto anni Fabrizio legge un libro che metterà radici profonde nella sua vita di adulto: l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. “Mi era piaciuto, forse perché in quei personaggi trovavo qualcosa di me“. De André propone una riscrittura di alcune delle poesie di questa raccolta che, com’è noto, immaginano le vite dei morti del cimitero di Spoon River. I riferimenti sono evidenti già dal – bellissimo – titolo, un verso dell’introduzione dell’intera raccolta, The Hill: ‘Non al denaro non all’amore né al cielo‘. A partire dal primo brano, Dormono sulla collina, i personaggi del Faber calcano quasi perfettamente alcune delle liriche di Masters: abbiamo dunque la storia di Frank Drummer (Un matto), del nano Selah Lively (Un giudice), di Wendell P. Bloyd (Un blasfemo), di Francis Turner (Un malato di cuore), di Siegfried Iseman (Un medico), di Trainor il farmacista (Un chimico), di Dippold (Un ottico) e del violinista Jones (Il suonatore Jones), con la meravigliosa chiusa – quasi ripetuta: “finii con le stesse terre, finii con un violino spaccato – e un ridere rauco e ricordi, e nemmeno un rimpianto“.

Storia di un impiegato

Fabrizio De Andre storia di un impiegato

Arriviamo ora a ‘Storia di un impiegato‘, il terzo concept album dell’autore, che possiamo definire il più ‘politicheggiante’, caratterizzato da un linguaggio oscuro ed ermetico, troppo anche per lo stesso De André. Si parte dalla Canzone del maggio, liberamente ispirata alla canzone di Dominique Grange Chacun de vous est concerné, fa da introduzione a un album che descrive come la vita dell’impiegato continui, dai primi moti alla prigione. Al ballo mascherato partecipano tutte le figure autoritarie sotto cui l’impiegato deve stare, nomina il Cristo, la Madonna, l’ammiraglio Nelson e perfino Dante. Il bombarolo, terrorista per cui la fine di un amore è cosa ben più problematica da gestire rispetto al tentativo di far esplodere il Parlamento, riprende di nuovo Brassens, in particolare la Trompettes de la renommée. Nella mia ora di libertà deve molto, come in effetti l’intero album, a La centrale idroelettrica di Bratsk scritto da Evgenij A. Evtušenko. Fino all’ultimo brano dell’album, dichiarazione d’amore finito e sanguinante, di Verranno a chiederti del nostro amore, la cui struttura è facilmente riscontrabile nella canzone d’amore classica.

Canzoni

Fabrizio De Andre Canzoni

Riferimenti a iosa si trovano nell’album quasi totalmente dedicato all’amore, famoso per la sua copertina rosa, ‘Canzoni‘. Via della povertà, tradotta insieme a Francesco De Gregori, è un remake di Desolation row di Bob Dylan. Le passanti riprende la poesia omonima di Antoine Pol (non senza l’influenza del nostro caro Brassens che, ovviamente, ha proposto una sua versione cantata, così come per il successivo Morire per delle idee): chiara è l’influenza di Baudelaire (che ha contribuito, certamente, anche alla stesura de La ballata dell’amore cieco) e di Giacomo Leopardi. Fila la lana è anch’essa una traduzione libera dal francese, e recupera una canzone scritta nel ’49 da Robert Marcy e cantata da Jacques Douai. L’immagine della donna al camino che fila la lana in attesa del marito – che però non tornerà – ricorda melodrammaticamente Penelope. Suzanne riprende quasi interamente una lirica del canadese Leonard Cohen, dedicata alla ballerina Suzanne Verdal, e sempre da Cohen prenderà spunto per la sua Giovanna D’Arco. La città vecchia ricalca il titolo di una lirica di Umberto Saba, Delitto di paese nomina direttamente I fiori del male e la chiusa dell’album, Valzer per un amore, è un monito all’amata sulla fugacità del tempo e dei rapporti umani, con riferimenti alla Ballata all’amica di Jacques Villon e di Quand vous serez bien vieille di Pierre De Ronsard.

Volume 8

Fabrizio De Andre volume 8

La processione di strani personaggi de La cattiva strada, brano d’apertura dell’album ‘Volume 8‘, scritta con De Gregori, potrebbe quasi ricordare i bambini che seguivano il leggendario Pifferaio di Hamelin. Nancy è un rifacimento della ballata Seems so long ago, Nancy, di Leonard Cohen, di cui De André riprende anche la musica. “L’esca dalle lunghe gambe” di Dolce Luna è una citazione del titolo di una poesia di Dylan ThomasBallad of the Long-legged Bait, contenuta nella raccolta Deaths and Entrances. Canzone per l’estate, scritta da De André e musicata da De Gregori, “lo dico subito, è autocritica, è l’autocritica di una persona che per motivi forse biologici si sta imborghesendo“. E per questo “non riesce più a volare“. Infine l’album termina con quella che, per lo stesso De André, è la sua canzone meglio riuscita, autocelebrativa e autocritica al tempo stesso: scritta in una notte in seguito a una brutta sbronza, Amico fragile rimane un capolavoro di criptica bellezza, su cui il Faber dice che sia “la canzone più importante che abbia mai scritto, sicuramente quella che più mi appartiene. È un pezzo della mia vita: ho raccontato un artista che sa di essere utile agli altri, eppure fallisce il suo compito quando la gente non si rende più conto di avere bisogno degli artisti“.

Rimini

Fabrizio De Andre rimini

Rimini è rimasta uguale a com’era ne I Vitelloni di Fellini“, spiega il Faber. E dopo la drammatica e malinconica storia di Teresa, canzone che dà titolo all’album (‘Rimini‘, appunto), parte la contagiosa melodia di Volta la carta, un testo che deve molto alla tradizione popolare (anche) genovese in fatto di filastrocche: Voltalacarta è infatti il titolo di una famosa rima che nel corso dei secoli ha subito diverse varianti. De André mette in campo Madamadoré e le sue belle figlie, racconta la storia di un personaggio della tradizione popolare, Angiolina, una ragazza innamorata di un carabiniere che però è sparito; ricorda molto Pizzicarella la Bersagliera, innamorata del carabiniere Stelluti, in Pane, amore e fantasia di Comencini. Il riferimento in Andrea, una delle prime canzoni che tratta – anche – dell’amore omosessuale, è nientemeno che Platone, che nel Simposio parlava dei “figli della luna”. Avventura a Durango è una traduzione da Romance in Durango di Bob Dylan. La storia del fuggiasco messicano viene trasformata da Faber e Massimo Bubola (con cui ha scritto anche l’album successivo, L’indiano), riadattata in una lingua che ricorda ad alcuni il napoletano e ad altri l’abruzzese o il maceratese. “Non ho mai conosciuto Dylan personalmente, ma lui mi scrisse una lettera nella quale si complimentava con me per la traduzione di Romance in Durango. Bontà sua”, avrebbe detto. Il gioiello dell’album è probabilmente Sally“una favoletta che ha come morale ‘lascia che tuo figlio vada a giocare in strada, altrimenti succederanno dei casini allucinanti‘. Inizia con la traduzione, quasi letterale, di alcuni versi di una filastrocca britannica:

«My mother said that I never should
Play with the gypsies in the wood,
The wood was dark; the grass was green;
In came Sally with a tambourine.

I went to the sea – no ship to get across;
I paid ten shillings for a blind white horse;
I up on his back and was off in a crack,
Sally, tell my mother I shall never come back.»

La ragazzina, nello staccarsi dalla madre e andare incontro a Sally (un’amica? una fata? una ninfa?) incontra diversi personaggi letterari: spende cento lire per un pesciolino d’oro, e viene in mente sia l’omonima fiaba di Aleksandr Sergeevič Puškin, sia il lavoro di Aureliano Buendìa, che si specializzò proprio nella produzione di pesci d’oro (Cent’anni di solitudine, Gabriel Garcìa Màrquez). Riferimento alla stessa opera è presente poche righe più tardi, con il personaggio di Pilar del mare, e il re  dei Topi pare essere un omaggio al film El Topo di Alejandro Jodorowsky.

L’indiano

Fabrizio De Andre L'indiano

Il 27 agosto del 1979 De André si trova in Sardegna, nella tenuta dell’Agnata, quando alcuni uomini irrompono e rapiscono lui e Dori Ghezzi. Quattro mesi di paura che influiranno non poco anche sulla produzione futura. Liberati poco prima del Natale, l’esperienza verrà poi metabolizzata – in parte – nell’album dell’anno seguente, ‘L’indiano‘, che alterna brani sui sardi a canzoni sui nativi americani. Dopo gli spari della caccia ai cinghiali galluresi e il ritornello incalzante di Quello che non ho – una sorta di refrain contro i suoi rapitori, il Canto del servo pastore rappresenta una riappacificazione con quanto è successo e con la natura, e risente della lettura de Il povero della città di Ungaretti. Fiume Sand Creek, canzone sulla strage – realmente avvenuta, ricordiamolo – di donne bambini Cheyenne e Arapaho del 1864, a opera del colonnello John Chivington, è stata scritta prendendo spunto dal libro/intervista Gambe di Legno. Memorie di un guerriero Cheyenne. Dopo Ave Maria, che riprende il canto tradizionale sardo Deus ti salvet Maria del poeta Bonaventura Licheri, Franziska calca un tema letterario classico famoso, la storia d’amore tra la ragazza e il bandito, poeticamente chiamato ‘marinaio di foresta‘.

Crêuza de mä

Creuza de ma fabrizio de andre

Per Fabrizio il primo amore, quello che ti accoglie anche quando non lo vuoi, che ti accarezza quando ne hai bisogno e ti sprona a scappare quando è ora che tu viva la tua vita, è Genova. E alla sua città dedica un album-capolavoro in dialetto genovese, che emana una poesia fortissima già dal titolo: ‘Crêuza de mä‘. Crêuza de mä, crosa, è una delle numerose stradine scalinate che a Genova portano al mare; i protagonisti della canzone e dell’album sono i marinai, che si vedono costretti alla dolorosa realtà del viaggio forzato: o impari a nuotare, o soccombi. Il testo presenta alcuni collegamenti con la cultura popolare italiana: frè di ganeuffeni e dè figge – fratello dei garofani e delle ragazze – indica Bettino Craxi e il menù che propongono i marinai (frittûa de pigneu giancu de Purtufin, çervelle de bae ‘nt’u meximu vin, lasagne da fiddià ai quattru tucchi, paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi – frittura di pesciolini, bianco di Portofino, cervella di agnello nello stesso vino, lasagne ai quattro sughi, pasticcio in agrodolce di lepre dei tetti – che in genovese indica il gatto) ricorda quello del poeta genovese Remo Borzini ne L’Osteria del Bay. Dopo la storia sensualissima della ‘sultana de bagasce‘ Jamìn-a e lo straziante dolore di un padre che perde il figlio di Sidùn, è il turno di una canzone che prende spunto dal rapimento di Miguel De Cervantes, Sinán Capudán Pasciá: Cicala, marinaio genovese, catturato dai Mori durante una battaglia, si converte all’islam e cambia nome dopo aver partecipato al salvataggio della vita del sultano: diventerà Gran Visir col nome di Sinán Capudán Pasciá, appunto. Dopo la storia di ‘ Pittima e la passeggiata domenicale delle prostitute di Genova in  Duménega, l’album termina con D’ä mê riva, la canzone del marinaio costretto a salpare, e a salutare la sua città e la sua amata.

Le nuvole

Fabrizio De Andre le nuvole

Queste nuvole non sono da intendersi come fenomeni atmosferici: queste nuvole sono quei personaggi ingombranti e dannosi della nostra vita civile, politica ed economica […]: sono i personaggi che detengono il potere con tutta la loro arroganza e i loro cattivi esempi“. A dare il titolo e lo spunto per il dodicesimo album del Faber, che sfiora gli anni ’90, è una delle commedie più famose di Aristofane del 423 a.C., ‘Le nuvole’. L’album inizia con un rumore di cicaleccio, a simboleggiare le chiacchiere inutili dei ricchi, e le due voci di Lalla Pisano e Maria Mereu recitano il primo brano che dà nome all’album. Ottocento rappresenta un unicum nella produzione deandreiana: è un pezzo volutamente anacronistico che mischia generi musicali diversi (tirolese incluso), e la voce del Faber sembra scimmiottare i cantanti lirici. L’obiettivo è chiaro: denunciare l’immaginario falso-romantico ottocentesco e l’attaccamento alle cose. Come detto, qui De André cita la poesia Donna de Paradiso di Iacopone da Todi con la Madonna che piange la morte del “Figlio bianco e vermiglio“. Segue Don Raffaé, canzone conosciutissima in cui Fabrizio si cimenta con il dialetto napoletano. Don Raffaé riprende la commedia Il sindaco del rione Sanità di Eduardo De Filippo, con allusione al camorrista Raffaele Cutolo, con cui Faber avrà un breve carteggio. ‘O café è preso da Domenico Modugno. Tra i brani più criptici, politici, arrabbiati ed ermetici, annoveriamo La domenica delle salme. La Milano della canzone è una Milano che cade a pezzi, reduce dal comunismo, metonimia di una distruzione dell’intera società. Per distanziarsi da Don Raffaé, la canzone è volutamente ‘colta’, con riferimenti ad autori poco conosciuti (l’illustre cugino De Andrade, chiamato cugino per via della somiglianza tra i loro cognomi, è José Oswald de Andrade Souza, poeta brasiliano che ha avuto un ruolo fondamentale nella nascita del modernismo nel suo paese), a fatti di cronaca (il testo nasce da una frase sottolineata su un giornale, a detta di Mauro Pagani, coautore del disco: a Trento un articolo su un omicidio iniziava proprio con “tentò la fuga in treno”; la carcerazione di Renato Curcio e la precarietà del sistema sanitario italiano) e non mancano riferimenti a cantautori contemporanei (Venditti e Bennato). Dopo La domenica delle salme, l’album prende una piega che ancora soffre l’influenza di Crêuza de mä, e torna il dialetto genovese. L’ipocondriaco di Megu Megùn, arrabbiato con il medico che vuole farlo alzare dal letto, ricorda Oblomov di Ivan Aleksandrovič Gončarov; La nova gelosia è una sua versione dell’omonima opera napoletana del XVIII secolo, di autore sconosciuto. ‘A çimma, scritta con Ivano Fossati (come pure Megu Megùn) si basa sull’omonima ricetta genovese. L’album si chiude in Gallura, con Monti di mola e un amore impossibile tra un giovane e un’asina.

Anime salve

Fabrizio De Andre anime salve

L’ultimo album di De André, ‘Anime Salve‘, è scritto a quattro mani con Ivano Fossati. Il tema dell’album prende dal significato etimologico delle due parole, “spiriti solitari”. Tutto l’album, infatti, è una specie di elogio della solitudine. Dice il Faber: “Non tutti se la possono permettere: non se la possono permettere i vecchi, non se la possono permettere i malati […] quando si può rimanere soli con se stessi, io credo che si riesca ad avere più facilmente contatto con il circostante, […] si riesce a pensare meglio ai propri problemi, credo addirittura che si riescano a trovare anche delle migliori soluzioni, e, siccome siamo simili ai nostri simili credo che si possano trovare soluzioni anche per gli altri”. E i personaggi condividono con noi la loro solitudine, un lascito che ci portiamo dietro ancor oggi. L’album parte col botto: Prinçesa ci racconta del percorso doloroso di una donna incarcerata nel corpo di un uomo, e prende spunto dal libro autobiografico di Fernanda Farias de Albuquerque, transessuale brasiliana nata Fernandinho (con tanto di tocco di classe finale, un coro di voci maschili canta parole in portoghese, e presto si aggiungono voci femminili, prima tenui, poi sempre più forti, per arrivare alla chiusa, lasciata alle sole donne: una metafora nella metafora); Khorakhanè dà voce a un popolo da sempre bistrattato, coperto di pregiudizi e paura: Fabrizio parla dei gitani usando un linguaggio poetico ed evocativo, con la preghiera finale in lingua romanès del rom Giorgio Bezzecchi, cantata da Dori Ghezzi prima e dalla loro figlia, Luvi, dopo. La solitudine di Dolcenera è la solitudine di un innamorato non corrisposto, un amore segnato dall’alluvione di Genova del ’72. Le acciughe fanno il pallone coglie in pieno la locuzione oraziana del Carpe Diem, Disamistade, con la sua storia di faida familiare è di shakespeariana memoria. Dopo Â cúmba, la storia di un padre e di un pretendente che si ‘contendono’ la bella figlia, è il turno di Ho visto Nina volare, una canzone ‘covata’ per anni, un ricordo d’infanzia trasformato in una poesia in musica. Nina Malfieri, amica del piccolo Fabrizio, passava i pomeriggi a giocare con lui nell’Astigiano e, spesso, montava sull’altalena, e così Fabrizio vide per la prima volta Nina volare. La solitudine è ben visibile in un protagonista innamorato, ma che non può esprimere il suo amore per non andare contro il volere del padre. L’album termina con Smisurata preghiera, nata quasi come un riassunto del’antologia poetica di Álvaro Mutis, Summa di Maqroll il gabbiere. Antologia poetica 1948-1988, che racconta l’errare di un marinaio e le sue considerazioni sui temi fondamentali della vita. Nasce così una preghiera da parte di tutti coloro che hanno scelto la solitudine in nome della libertà, e per questo sono stati emarginati dalla maggioranza. “L’invocazione è perché si accorgano di tutti i torti che hanno subito le minoranze da parte delle maggioranze. Le maggioranze hanno la cattiva abitudine di guardarsi alle spalle e di contarsi e, approfittando del fatto di essere così numerose, pensano di avere il diritto, soprattutto, di vessare, di umiliare le minoranze. La preghiera, l’invocazione, si chiama ‘smisurata’ proprio perché fuori misura e quindi probabilmente non sarà ascoltata da nessuno, ma noi ci proviamo lo stesso“, dice Fabrizio. E tutti coloro che, come lui, da sempre viaggiano in direzione ostinata e contraria, non possono che dargli ragione.

Come riferimenti bibliografici sono stati utilizzati: Guido Michelone, Fabrizio De André (Barbera editore) e Riccardo Bertoncelli, Belin, sei sicuro? (Giunti).