Rita Indiana, autrice e musicista di Santo Domingo che unisce la tradizione del realismo magico al pulp, nel romanzo “Papi” racconta la relazione tra un padre narcotrafficante e la figlia. La voce che preferisce è quella di ragazze molto giovani, bambine quasi, a cui regala il ruolo di protagoniste dei suoi libri

La voce che preferisce è quella di ragazze molto giovani, bambine quasi, a cui regala il ruolo di protagoniste dei suoi romanzi. Rita Indiana, infatti, non fa mistero della sua predilezione per uno sguardo fresco e disincantato, spesso estremo e pirotecnico, quando si tratta di raccontare una storia.

Quarantenne di Santo Domingo, è autrice di Papi (in libreria nella traduzione di Vittoria Martinetto, NN editore) e de I gatti non hanno nome (stesso editore e medesima traduttrice) e di racconti ancora inediti in Italia. Inoltre è una blogger e attivista per i diritti LGBTQ e si occupa di musica sia come conduttrice radiofonica sia come cantante, con il gruppo di merengue Rita Indiana y Los Misterios.

In entrambe le opere la scrittrice unisce il realismo magico tipico della tradizione sudamericana a uno stile che si potrebbe definire pulp, ma anche trash. Non a caso ad alcuni ricorda il primo Tarantino. Una sequela di immagini a tinte forti che non seguono una linea temporale ben definita. Memoria, fantasia e realtà si mischiano dando vita a storie ipnotiche, in cui è difficile riconoscere la verità dalle manipolazioni della voce narrante.

Un narratore che, come dicevamo, è una giovanissima ragazza. In Papi si tratta di una bambina, figlia di un narcotrafficante, che da un lato idolatra il suo papino, con i rotoli di dollari americani che gli riempiono le tasche, e dall’altro si sente tagliata fuori dalla vita di fasti paterni. Papi, infatti, dimentica di andare a prendere la figlia, ma poi le permette di giocare con i suoi innumerevoli abiti americani. Le regala tutto quello che desidera, ma poi va in overdose davanti a lei. Papi è sregolatezza pura e la protagonista se ne rende conto, nonostante l’età.

Le descrizioni dell’arrivo di Papi in città dopo un lungo periodo in America sono solo un esempio dello stile colorato di Rita Indiana: file di auto in attesa, Papi che corre dall’aeroporto verso casa cambiandosi le scarpe durante il tragitto per fare sfoggio delle sue numerose sneaker Nike, la fiumana umana che chiede prestiti, favori e regali…

Acerrime nemiche della piccola protagonista sono le arpie che Papi si porta a letto: interessate al suo denaro lo tampinano per la città e con le loro mani rifinite da unghie finte tentano di arraffare quanto più possono. Amichevoli e odiose con la figlia, si portano dietro una schiera di marmocchi che giurano essere la progenie di Papi. Ma, come ci ricorda la narratrice, solo lei è sua figlia perché nata dall’unica vera moglie, quella sposata in chiesa.

Ne I gatti non hanno nome, la protagonista è un po’ più grande, ma anche lei non risparmia il criticismo a chi le sta attorno. Il suo soggetto preferito sono i pazienti della clinica veterinaria in cui lavora per l’estate e i loro proprietari umani. Il romanzo è una sorta di viaggio alla ricerca dell’identità che avviene senza muoversi dalla propria casa. La giovane, infatti, fa frequenti sogni che riguardano esperienze sessuali con altre ragazze e nutre il desiderio di baciare la propria amica del cuore.

Un elemento, quello dell’attrazione per il corpo femminile, che sembra interessare anche la giovane protagonista di Papi, schifata e allo stesso tempo attratta dalla fisicità delle amanti del padre.

Un miscuglio di elementi, quelli che si ritrovano nei romanzi di Rita Indiana, che rende difficile classificare le sue opere in una categoria, ma che genera uno stile multicolore, adatto alle latitudini tropicali in cui sono ambientate le vicende.

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