Tra saggio narrativo e personal essay, “Salti mortali” di Charlotte Van den Broeck racconta la storia di tredici edifici che si sono rivelati degli errori fatali per i loro architetti, spingendo chi legge a interrogarsi sulla sottile linea di confine che separa l’artista dalla propria opera. Vale la pena morire per un fiasco? Un fallimento può determinare la nostra stessa esistenza?
“La maggior parte delle storie ha inizio nel luogo natio”, scrive la poeta Charlotte Van den Broeck, e Salti mortali – il suo brillante esordio narrativo – non si sottrae a questa regola.
Il libro si apre nella cittadina belga di Turnhout, e in particolare nel suo parco comunale, dove nel 2005 viene inaugurata una costosissima piscina destinata a non rimanere mai aperta per più di tre mesi di seguito. A determinarne le numerose chiusure temporanee sono difetti strutturali e malfunzionamenti di ogni tipo, dallo sprofondamento del locale tecnico in un fondo paludoso a esalazioni di cloro velenose fino a una strana sostanza bianca, simile a latte, che galleggia nell’acqua provocando vomito e malori.
Ben presto, a Turnhout, comincia a circolare la notizia che l’anonimo architetto progettatore della piscina si sarebbe suicidato per via del suo fallimento, impiccandosi a un cavo elettrico che pendeva dal soffitto del locale sprofondato.
Che sia accaduto davvero o si tratti soltanto di una leggenda metropolitana interessa poco a Van den Broeck che, cresciuta a stretto contatto con quel disastro architettonico, inizia a coltivare una vera e propria ossessione per gli architetti suicidi, ma soprattutto ad assillarsi con la domanda: “quando è che uno sbaglio diventa più grande della vita, o così eclatante da rendere la vita stessa un fiasco?”.
Tra saggio narrativo e personal essay, Salti mortali racconta la storia di tredici edifici che si sono rivelati degli errori fatali per i loro architetti, spingendo il lettore a interrogarsi sulla sottile linea di confine che separa l’artista dalla propria opera.
Vale la pena morire per un fiasco? Un fallimento può determinare la nostra stessa esistenza? Van den Broeck ci porta con sé in un viaggio durato tre anni alla scoperta degli edifici “maledetti” e dei loro creatori, ma ciò che le interessa non è tanto la ricostruzione storica o biografica, quanto il tentativo di riscattare gli stessi architetti dai loro insuccessi, mostrare al mondo “l’inutilità della loro disperazione” e soprattutto salvaguardarli dall’assolutezza del loro gesto.
Scopri le nostre Newsletter

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it

È chiaro sin dalle intenzioni iniziali che l’impresa dell’autrice non potrà che rivelarsi a sua volta fallimentare: Salti mortali diventerà per lei un’occasione per fare i conti con la propria vocazione letteraria, con quella “miscela pericolosa di onnipotenza e impotenza” che secondo l’archistar Rem Koolhaas caratterizza l’architettura, ma che in fin dei conti appartiene a ogni espressione artistica.
E così da Turnhout ci spostiamo nel comune francese di Verchin, dove nel 1611 il capomastro Jean Porc precipita dalla volta dell’arco della Chiesa di Saint-Omer, nota per la sua guglia ritorta. Che si sia gettato volontariamente – come leggenda vuole – perché non sosteneva la vergogna di aver realizzato un campanile storto? L’autrice prova a investigare sulla questione interrogando la presidente dell’Association des Clochers Tors, il sindaco di Verchin e persino un esperto di storia locale convinto che a inclinare la guglia sia stato l’influsso della luna, ma ciò che porta alla luce è solo la somiglianza tra quella storia, le persone che se ne appassionano e l’impenetrabilità e la contorsione dello stesso campanile, tratteggiando una psico-geografia che spinge a mettere da parte ogni ricerca di senso per affidarsi alla voce, al tempo stesso silenziosa e assordante, del luogo.

Charlotte Van den Broeck nella foto di Carmen De Vos
A Ostenda, Van den Broeck segue le tracce dell’architetto Gaston Eysselinck, suicidatosi dopo aver progettato il Palazzo delle poste, considerato oggi uno degli apici del modernismo belga, ma apprezzato – purtroppo – solo dopo la morte del suo creatore. Eysselinck si era identificato così tanto con la sua opera da prendere come un rifiuto personale ogni critica o incomprensione, arrivando al punto da non riuscire più a sostenere la sensazione di aver fallito.
Scopri la nostra pagina Linkedin

Notizie, approfondimenti, retroscena e anteprime sul mondo dell’editoria e della lettura: ogni giorno con ilLibraio.it

E altrettanto fatali per i suoi progettatori, August Sicard von Sicardsburg ed Eduard van der Nüll, sarebbero state le critiche al loro capolavoro, il Teatro dell’opera di Vienna, definito all’epoca “una nave affondata” perché costruito su di un piedistallo più basso rispetto al livello della strada. La relazione simbiotica, personale e professionale, di Sicardsburg e van der Nüll li porta a morire uno dopo l’altro per timore di aver realizzato un’opera imperfetta, che però si sarebbe rivelata tutt’altro.
Lo stesso desiderio di perfezione spinge al suicidio anche il grande Francesco Borromini, che raggiunge l’apice della propria carriera con la realizzazione di quel capolavoro del Barocco che è la chiesa romana di San Carlo alle Quattro Fontane. Un successo di quella portata – sembra dirci Van den Broeck – può trasformarsi in un fallimento quando l’opera si fa insuperabile persino per il suo stesso creatore: “Nessuno riuscirà a fare altrettanto, nemmeno lui”.
Gli edifici e le storie esplorate dall’autrice indagano ogni possibile sfumatura della parola “fallimento” che, se nel caso di Borromini ha a che fare con una sfida con sé stesso, in altri casi è conseguenza di un mancato riconoscimento da parte dei contemporanei, come accade al geniale e avanguardistico Lamont Young, l’architetto della napoletana Villa Ebe, “lungimirante in un’epoca priva di visione” e ingiustamente dimenticato.
C’è chi fallisce per un errore progettuale dalle conseguenze catastrofiche (è il caso di Reginald Wycliffe Geare, che ha progettato il Knickerbocker Theatre di Washington, il cui tetto è crollato nel 1922 in seguito una bufera di neve uccidendo un centinaio di persone) e chi invece fallisce nella lotta con la sua stessa opera, come George Arthur Crump, che per realizzare il misterioso ed elitario campo da golf di Pine Valley ha esaurito ogni sua forza vitale, sfidando i limiti della natura e della propria mente.
Da Malta a Colorado Springs, da Glasgow al New Jersey: con curiosità, ironia e una penna capace di muoversi in perfetto equilibrio tra il registro memoriale e quello saggistico, Charlotte Van den Broeck non teme di attraversare l’Oceano per cercare risposte su come si possa essere allo stesso tempo uomini e artisti, cercatori di assoluto e fallibili per vocazione, creatori di un’opera che ci rappresenta e che talvolta ci respinge o ci rifiuta, equilibristi che oscillano su di un trapezio interiore grazie a cui raggiungere la realizzazione o da cui preparare un salto mortale verso il fallimento.
Scopri il nostro canale Telegram

Ogni giorno dalla redazione de ilLibraio.it notizie, interviste, storie, approfondimenti e interventi d’autore per rimanere sempre aggiornati
