“Il mio intento era portare tutti i lettori a bordo: se potessero immaginare cosa vuol dire incontrare delle persone piene di coraggio che sfidano le ingiustizie del mondo per affermare il proprio diritto a vivere…”. Alessandra Sciurba, presidente di Mediterranea Saving Humans e ricercatrice, nel suo esordio narrativo (“Salvarsi insieme – Storia di una barca a vela sulla rotta dell’umanità”) racconta l’esperienza di quei tre giorni, nel luglio 2019, a bordo del veliero Alex per portare in salvo le vite dei migranti soccorsi in mare. Nell’intervista a ilLibraio.it, tra le altre cose, parla delle proteste seguite all’omicidio di George Floyd e del ruolo delle donne, come lei e Carola Rackete
La nave civile Mare Jonio, impiegata per il soccorso dei migranti dall’ONG Mediterranea Saving Humans, è salpata la mattina di mercoledì 10 giugno dal porto di Palermo dopo 8 mesi di sequestro: in quanto presidente e portavoce dell’associazione, Alessandra Sciurba commenta con gioia al telefono con ilLibraio.it la notizia. “Finalmente torniamo in mare. Non ero a bordo perché i miei impegni lavorativi in università non lo consentono (infatti incastro Mediterranea come volontariato). Ho lasciato stamattina la nave in banchina e l’andrò a riprendere appena tornerà, come è sempre successo”.
Si è trattato di lungo fermo imposto dal precedente governo, che non è comunque stato revocato dai nuovi ministri, finché poi non è intervenuto un tribunale: “Ci siamo trovati a giocare nel Mediterraneo nostro malgrado, ma chi ha rispettato il diritto siamo sempre stati noi, inteso tutte le navi della società civile. Non è un caso che nessuna delle indagini non sia mai arrivata nemmeno in giudizio o sia stato aperto un processo”, spiega Sciurba.
A marzo la nave era pronta per tornare in mare, ma le norme del contenimento per il Covid-19 hanno ulteriormente fermato le missioni: “Adesso Mare Jonio è partita da sola, abbiamo lavorato tantissimo per adeguare la nave non soltanto rispetto ai criteri di sicurezza per chi va in mare, ma anche alla normativa sanitaria, e siamo pronti a gestire un soccorso in piena sicurezza della salute pubblica”. Anche se ancora non esistono certezze sui protocolli che verranno imposti all’ingresso nei porti.
È un momento particolare, quindi, per parlare dell’uscita dell’ultimo libro di Sciurba, quasi un esordio in libreria, dato che prima ha dato alle stampe solo testi accademici come Campi di forza. Percorsi confinati di migranti in Europa (ombre corte, Verona 2009): da molti anni si occupa di migrazioni, frontiere e diritti umani come ricercatrice in filosofia del diritto e poi come coordinatrice dello sportello della CLEDU – Clinica Legale per i Diritti Umani presso l’Università di Palermo.
Salvarsi insieme – Storia di una barca a vela sulla rotta dell’umanità (Ponte alle grazie) è il racconto, breve ma incisivo, e soprattutto mai retorico, di quelle giornate trascorse a bordo del veliero Alex, l’altra imbarcazione civile impiegata da Mediterranea come supporto per le operazioni di salvataggio.
A luglio 2019, l’Alex era l’unica barca rimasta a disposizione della ONG, perché la Mare Jonio era già stata confiscata avendo apertamente sfidato il divieto di soccorso nelle acque internazionali. Il libro, come risponde Sciurba, nasce dall’urgenza di raccontare una storia incredibile: “Mentre lo scrivevo pensavo che non ci avrebbe mai creduto nessuno, ma non ho dovuto aggiungere nemmeno una virgola”. E continua: “Questa esperienza è stato un regalo della vita. Appena ho messo piede a terra dopo quella missione con l’Alex, ho sentito che il libro era già pronto, dovevo solo raccontarlo”.
Sciurba è sinceramente convinta che non esista una forma migliore del racconto diretto: in questo modo è più semplice raggiungere il maggior numero di persone possibile. “Questo libro non è scritto per professionisti”, prosegue, “o per persone che sono abituate alla costruzione del discorso politico intorno al tema delle migrazioni e del soccorso in mare: quando scrivevo pensavo a mio padre. Una persona che nella vita ha fatto tutt’altro, abituato a leggere romanzi, e sotto questa forma avrebbe potuto avvicinarsi un po’ alla realtà del mediterraneo, molto complessa perché luogo dove si giocano partite geo-politiche terribili, ma anche estremamente semplice nella sua drammaticità”.
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La vicenda raccontata in Salvarsi insieme è soprattutto un incontro: quello con 59 persone, tra cui alcuni adolescenti e bambini, con occhi, mani, sorrisi e una storia, che portano segni di tortura sui loro corpi. “Penso che abbia cambiato la vita di tutto l’equipaggio e anche un po’ la loro, che abbiamo potuto soccorrere”.
A colpire di più, al netto di tutte le narrazioni che sono state fatte e che continuano a essere intessute attorno a questo tema, a metà tra l’indignazione politica e il pietismo, è la profonda umanità. Sciurba usa, in un passaggio particolarmente rilevante, il termine tenerezza, per spiegare il momento di connessione con le vite delle persone e anche con il dispiegarsi della Storia. Cosa che sta accadendo anche ora, con le proteste in tutte le piazze del mondo per affermare che le vite dei neri contano, Black Lives Matter.
Un movimento di protesta che per Sciurba è l’inizio di qualcosa di importante, che può davvero il cambiamento: “In questo momento stiamo vivendo a livello mondiale la realtà di un movimento eccezionale. Le persone, al di là di tutte le retoriche e della propaganda, guardano in faccia quello che accade e semplicemente gridano che non è giusto.” C’è un legame molto forte che lega tutte le vite perse nel Mediterraneo e quello che è scaturito dopo l’omicidio di George Floyd. Da qui la riflessione di Sciurba: “Il punto è che non c’è ragionevolezza nella gestione di queste politiche, ma solo costruzione del consenso e purtroppo in mezzo vengono stritolate le vite delle persone, e anche le nostre in qualche misura. George Floyd diceva: ‘Non riesco a respirare’: lo stesso accade alle persone che muoiono nel mediterraneo affogando. Così si toglie l’aria a tutti, perché quello che è in gioco in questo mare sono i valori della nostra costituzione. Se passa il messaggio che quella vita stessa possa non contare nulla, l’aria manca a tutti, non soltanto da chi viene ucciso da queste scelte politiche”.
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Sciurba racconta anche la sua attiva partecipazione: “Settimana scorsa ero a Palermo, sono andata ad attraversare quella piazza. Ragazzi neri hanno preso parola e rivendicato il loro diritto a esistere e a vivere. Lì ho avuto l’occasione di parlare anche io e ho provato a dire la mia indignazione grandissima per un omicidio terribile nel mare di fronte: si tratta di omicidi di Stato che riguardano centinaia di persone. Quando arriva un messaggio d’aiuto dal centro del mare e i governi non lo raccolgono e non corrono a salvare come succede molto spesso, quella è una scelta chiara, non è un accadimento, non è un incidente. È un omicidio. Noi siamo dovuti tornare in mare facendo una fatica terribile, ma noi in mare vorremmo non doverci tornare più, l’abbiamo sempre detto. Non dovremmo essere noi a tornare in mare, ma i Governi dovrebbero tornare a discutere in Europa”. Sciurba conclude affermando che è molto difficile che l’attuale crisi migratoria possa risolversi a breve, perché bisogna innestare una battaglia sul lunghissimo periodo, ma è necessario partire dicendo che le vite contano, sempre. “Purtroppo questa non è mai stata la priorità di chi governa. Ci sono degli interessi troppo grandi in questo momento rispetto alle migrazioni e delle frontiere, dal punto di vista degli stati nazionali e internazionali. Con il mio libro ho provato a raccontare una realtà così complessa, ma anche a restituire la bellezza profonda di provare a guardare le cose da un altro punto di vista.”
Non deve essere un caso che a fare le differenza, in mare, siano state soprattutto le donne come Sciurba e Carola Rackete. La capitana palermitana è stata spesso ospite di alcuni talk show italiani, in contrasto con figure politiche o giornalisti contrari ai soccorsi. “In certi casi è stato facile disarcionare questi maschi alfa perché il loro approccio è sempliciotto e un po’ banale”, affonda il coltello Sciurba: “Credo che la rabbia sia stata innescata da una sorta di lesa maestà, che siano state le donne dal centro del mare a prendere parola e a opporsi a un linguaggio e un modo maschile di parlare delle cose. Non sono stata la sola ad affrontare questa situazione, e per questo non ho potuto fare altro che raccontarla”.