Samuel Beckett è diventato famoso grazie al “teatro dell’assurdo”: “Aspettando Godot” e “Finale di partita” nascono da una profonda ricerca stilistica e dalla forte depressione dell’autore – L’approfondimento sulla sua vita e i suoi libri

Samuel Beckett ribadiva spesso di non avere idea di cosa le sue opere teatrali significassero realmente, e neppure di come, mentre scriveva, gli fossero venute in mente determinate idee. Non ne sapeva, insomma, più dello spettatore che assisteva alla rappresentazione, le intuizioni a cui era giunto il pubblico erano le stesse a cui era arrivato lui, né più né meno.
Non stupisce, dunque, che una simile indeterminatezza riguardi il momento stesso in cui è venuto al mondo: forse il 13 aprile, un venerdì, santo per giunta, ma probabilmente più tardi, a maggio, o forse addirittura nella prima metà di giugno. Almeno sull’anno, in ogni caso, c’è sicurezza: era il 1906.

Samuel Beckett: nascere in Irlanda, scegliere Parigi

Il piccolo Samuel Beckett è un bambino irrequieto: ha paura del buio (ansia sorta a seguito di un piccolo mistero: ad appena un anno di vita è stato ritrovato svenuto ai piedi delle scale), ama lanciarsi da un albero alto quasi venti metri saltando di ramo in ramo come una scimmia, e sperimenta le reazioni chimiche avvicinandosi a un bidone di benzina con un fiammifero. Crescendo comincia fin dalle elementari lo studio del francese, che avrà tanta importanza nella sua produzione letteraria e teatrale, e diventa anche un ottimo giocatore di cricket. Diverse fonti biografiche amano ricordare come sia l’unico premio Nobel a venire anche inserito nel prestigioso Wisden Cricketers’ Almanack.

Il romanzo Molloy di Samuel Beckett

Beckett ha appena una ventina d’anni quando capisce che l’Irlanda gli sta stretta. È in Francia che Samuel Beckett trova la sua dimensione, e nello specifico in una Parigi ruggente, popolata da scrittori e pittori che giungono da tutta Europa per respirare la sua aria colta e cosmopolita. Salvo alcuni brevi soggiorni in Irlanda (il più lungo, di circa un anno, è del 1930) e nonostante l’Europa sia animata da venti di guerra, Beckett elegge la capitale francese a sua dimora. D’altronde è qui che alla fine degli anni Venti aveva conosciuto James Joyce, già famoso a seguito della pubblicazione dell’Ulisse e impegnato ora con Finnegans Wake. Il rapporto di Beckett con Joyce è complesso, per molti versi vicino a una sincera amicizia, tuttavia il giovane irlandese non esita a rifiutare le avances della figlia del suo maestro, Lucia, malata di schizofrenia.

L’amicizia con Joyce avrà un’influenza fondamentale nelle prime opere di Beckett, così come lo avrà lo studio di Dante: i primi racconti di Beckett sono complessi e oscuri, intrisi di riferimenti alla Commedia, una direzione molto diversa da quella saggistica, che comincia con Dante… Bruno, Vico… Joyce (1929), sul lavoro stilistico e linguistico che James Joyce sta portando a termine con il Finnegans Wake, e Proust (1930), sull’autore francese.

La Seconda guerra mondiale e la nascita di uno scrittore

Parigi è anche la città dove, nel 1938, incontra la donna con cui passerà il resto della vita, per spegnersi solo cinque mesi dopo di lei, nel dicembre del 1989. Si chiama Suzanne e per la verità si erano già incrociati negli anni Venti, nel suo primo periodo parigino, ma è una sventura a farli incontrare di nuovo: succederà anni dopo, quando Beckett viene ricoverato in ospedale dopo essere stato pugnalato senza apparenti motivi da un ruffiano, che verrà scagionato dalle accuse per volontà dello scrittore stesso. La bislacca storia, che avrebbe potuto costargli la vita, desta l’interesse di Suzanne, che va a trovare Beckett e finirà per non lasciarlo più.

Aspettando Godot di Beckett

Le giornate di Beckett, tuttavia, non sono semplici come uno sguardo superficiale alla mondanità parigina potrebbe far pensare; lo scrittore soffre di una profonda depressione, che spesso gli causa gravi stati di ansia e problemi fisici. Le cupe riflessioni, la cura psicoanalitica e l’accostamento alle teorie di Jung avranno una notevole influenza nei romanzi e nel teatro beckettiano. Sicuramente, però, anche la morsa di paura che incatena l’Europa alla vigilia della Seconda guerra mondiale fa la sua parte. Quando Parigi viene occupata, Beckett decide di partecipare alla Resistenza. Il suo gruppo, con nome in codice Gloria SMH, per il quale fa il corriere, viene tuttavia ben presto scoperto e diversi membri sono arrestati, tra cui il suo caro amico Alfred Péron. Più fortunato è il destino di Beckett e Suzanne, che riescono a sfuggire alla Gestapo e a ritirarsi in Provenza.

È a guerra conclusa che Beckett, durante una visita alla madre in Irlanda, capisce che la direzione della sua arte dovrà necessariamente essere opposta a quella del maestro Joyce, la cui scrittura per accumulo non può più essere emulata, dopo la distruzione e l’orrore a cui ha assistito durante l’occupazione nazista. Da questo momento in avanti Beckett lavorerà “togliendo” quanti più possibili elementi al testo e alla trama, fino ad arrivare ai monologhi dell’Ultimo nastro di Krapp, del 1958, e alla rappresentazione essenziale e senza attori di Respiro, del 1968. Anche la scelta di scrivere le sue opere in francese segue questo orientamento: non trattandosi della sua lingua natale era indubbiamente più facile limitare gli artifici stilistici.

Dalla Trilogia al teatro dell’assurdo

In quest’ottica viene scritta la celebre trilogia di romanzi composta da Molloy e Malone muore, entrambi del 1951, e da L’innominabile, del 1953. Con un progressivo sperimentalismo e una crescente attenzione per la vita psichica, i personaggi si fanno via via più astratti, e il realismo cede il passo alla proiezione intellettuale, fino alla definitiva spersonalizzazione dell’Innominabile.

La riflessione sulla condizione esistenziale del genere umano – intrappolato in un mondo che viene interpretato con dei paradigmi quasi leopardiani, costretto a resistere allo scorrere inesorabile e corrosivo del tempo (emblematica la frase che chiude L’Innominabile: “Non posso andare avanti, andrò avanti”), obbligato all’inazione, sgomento di fronte a una pervasiva assenza di senso – assume la forma più piena nella produzione teatrale di Beckett, in quello che verrà definito dallo scrittore Martin Esslin “teatro dell’assurdo”.

Finale di partita e il teatro di Beckett

I due testi più significativi da questo punto di vista sono forse anche i più famosi Aspettando Godot, del 1953, e Finale di partita, pubblicato nel 1957. Aspettando Godot, opera in cui “non succede niente, due volte”, lascia sgomento il suo primo pubblico parigino. Non doveva essere facile, per uno spettatore degli anni Cinquanta, assistere a una rappresentazione in cui l’azione, o meglio l’inazione, si ripropone identica per due atti e il protagonista principale non compare mai in scena (e non viene neppure mai definito caratterialmente o fisicamente). Nonostante lo sconcerto iniziale, Aspettando Godot diventa un successo, l’espressione più celebre della sperimentazione beckettiana, in cui un’interpretazione pessimista della vita viene messa in scena con tecniche della slapstick comedy e del vaudeville.
In Finale di partita, invece, Beckett amplifica ulteriormente un malessere esistenziale che sembra pervadere l’intero universo, mettendo in scena una vicenda di inquietudine per un futuro che, di secondo in secondo, volge in un immutabile e disperato presente. In Finale di partita è insomma l’intera vita a perdere senso: la stessa attesa di Godot non è più un’opzione.

Beckett passa i suoi ultimi decenni impegnato con il teatro e con illustri collaborazioni (la sua unica esperienza cinematografica, la sceneggiatura di Film, con Buster Keaton, è del 1964), sempre accompagnato da Suzanne. Perde la vita a seguito del complicarsi di un vecchio enfisema: è ironico come l’autore che demistificava ogni valore della vita, abbia invece avuto, affettivamente e lavorativamente, un’esistenza piena. O, forse, potremmo dire che ne sia una conseguenza.

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