Il compagno che tutte le donne vorrebbero avere accanto e il padre che sa prendersi cura del figlio senza trattenerlo e proiettare su di lui i suoi fantasmi e ambizioni. Un approfondimento su Ioséf, “colui che aggiunge”. Quella di San Giuseppe è una figura anticonformista e poco raccontata
È al centro di una vicenda inverosimile, persino grottesca, buona più per un feuilleton forse, che per un racconto che ha a che a fare nientemeno che con il Figlio di Dio.
Ioséf è cittadino di Nazareth in una nazione occupata dall’Impero Romano. Nessuno dei Vangeli dice che è vecchio, com’è stato raffigurato dall’arte per secoli. Anzi, di lui le Scritture non dicono quasi nulla. E ciò spiega l’abbondanza di letteratura apocrifa, a cominciare dal Protovangelo di Giacomo, fiorita sul personaggio.
Del resto, Ioséf non parla mai. L’evangelista Marco si limita a riportare quanto dicono di lui i nazaretani, allorché affermano che Gesù è il figlio di Maria, e che fa il carpentiere. Matteo e Luca c’informano sul nome: Ioséf, “colui che aggiunge”. L’iconografia orientale del Presepe lo colloca fuori dalla grotta di Betlemme dove, secondo la tradizione, avvenne la nascita di Gesù. Ioséf osserva da lontano. È spettatore, comprimario al limite, non certo protagonista.
Sarà Francesco d’Assisi, a Greccio, a collocarlo accanto a Miriàm in quello che diventerà, nei secoli, un quadretto attorniato da toni soavi, le voci impostate, i cori di bimbi, i mazzetti di fiori, i languori, i commossi fervori, gli appelli a quei sentimentalismi che sono il contrario del sentimento.
La gravidanza di Miriàm, infatti, è la più inverosimile di tutte le storie. Ioséf ne viene investito in pieno, all’improvviso. La sua promessa sposa è incinta ma non di lui. Ma è a lui che si chiede di essere marito e padre. Con la beffa di fargli fare la figura del credulone che si beve una versione di comodo. E si sa quanto gli uomini tutti d’un pezzo tengano alla loro reputazione, soprattutto in faccende come queste.
Scrive Matteo che Ioséf sognò un angelo e lo ascoltò parlare: “Non avere paura di sposare Maria, la tua promessa sposa. Il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù” (Luca 2,1-7).
L’angelo non spiega nulla, gli ordina l’essenziale. Come se fosse la cosa più normale del mondo. La notizia, semmai, è che la notte che seppe della fidanzata incinta non di lui, Ioséf riuscì pure a dormire, ovvero a sognare.
C’è una legge ebraica, detta “delle gelosie”, per un marito che dubita della fedeltà di sua moglie. Ioséf rifiutò di ricorrervi. Gli basto la parola di Miriàm e il sogno a conferma. Restò in silenzio mentre si accollava il biasimo feroce dei nazaretani, che anni dopo non saranno teneri neanche con suo figlio quando andrà lì a predicare: “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? Ed era per loro motivo di scandalo” (Marco 6,1-6).
Ioséf, il padre, neanche lo citano. Per un senso di disprezzo duro a morire e che neppure il tempo forse ha stemperato.
Lo scandalo di quella gravidanza, d’altra parte, era davvero enorme. Miriàm aveva ricevuto la visita dell’angelo in pieno giorno e dentro la città. Non aveva chiesto aiuto di fronte all’apparizione. Aveva accolto e basta. Ioséf restò solo. Non era neanche nazaretano, veniva da Sud, da Betlemme, dal territorio di Giuda. Un forestiero, insomma, che ora stava macchiando il buon nome del villaggio gettandolo nel discredito.
Lo scrittore Erri De Luca ha immaginato gli insulti che gli piovvero addosso: “Si è fatto abbindolare da Miriàm, gli ha rifilato chissà che storia e lui se l’è bevuta”. “Ioséf è un ingenuo”. “Ioséf non è un uomo”. “Ioséf ha infranto la legge”. “Non ha neanche fatto ricorso alla legge delle gelosie. Poteva almeno farle bere l’acqua amara davanti al sacerdote”. “E perché? Non è geloso, se la tiene così, piena di un altro”. “Ma sì, non è dei nostri, non è un galileo, è uno della stirpe di Giuda, è un betlemmita. Se ne tornasse là con la sua adultera e il bastardo”.
Ioséf, intanto, aveva deciso. La mattina dopo il sogno riunì la famiglia e dichiarò che avrebbe sposato Miriàm alla data prevista. Durante la cerimonia si sarebbe vista la gravidanza. Scandalo su scandalo. Una ragazza incinta prima del matrimonio e, per giunta, di un figlio che non è del marito legittimo.
Se Ioséf l’avesse ripudiata – e aveva tutte le ragioni, anche legali, per farlo – Miriàm sarebbe stata condannata alla lapidazione. Ma Ioséf non sente ragioni, difende la sua donna davanti alla sua famiglia e al villaggio, accetta di sposarla “gravida di un annuncio di un angelo arrivato da lei col vento di marzo”, come scrive De Luca.
La verità è spesso scandalosa, offensiva, sulle prime persino da respingere. Ioséf afferra questa verità anticonformistica e assurda perché ama la sua ragazza. L’amore è capace di questo: saltare alle conclusioni senza passare dalle verifiche. Intuisce la verità del sentimento che prova per quella donna e se ne fa carico affrontandone tutte le difficoltà, salva Miriàm che aveva detto “non conosco uomo” dalle conseguenze penali di essere incinta prima del matrimonio e non del suo legittimo fidanzato. La protegge senza parlare. Le fa da scudo. Agisce e basta, assumendosi ogni responsabilità fino in fondo. Da uomo vero. Anche quando è assalito dal dubbio per lo sconcerto di quella gravidanza, prima di sognare l’angelo, non vuole “accusare Miriàm pubblicamente” riferiscono i Vangeli. Semmai, l’avrebbe “ripudiata in segreto”. Non farà neanche questo.
In pieno inverno, con la sua compagna incinta al nono mese, affronta un viaggio difficoltoso verso la Giudea per obbedire al censimento voluto dai Romani, l’esercito di occupazione. Un cammino di giorni e notti in ricoveri di fortuna fino a quello finale di Betlemme dove avviene la nascita di Gesù.
Ioséf, “colui che aggiunge”, si aggiunge come “fidanzato secondo” per amore di Miriàm. E si aggiunge come “padre secondo” insegnando al figlio il suo mestiere e iscrivendolo a suo nome nell’anagrafe ebraica. Secondo il mandato dell’angelo, è lui a dargli in nome ed è proprio per questo che Gesù può essere riconosciuto quale vero discendente di Davide, primo re di Gerusalemme, così come esige la natura del Messia atteso.
Un certo devozionalismo ha dato a Ioséf l’appellativo di “uomo giusto”. È vero, certo, ma la giustizia di Ioséf non è semplicemente l’osservanza scrupolosa dei comandamenti. Se così fosse, avrebbe dovuto ripudiare Miriàm e “consegnarla” alla giustizia.
La sua giustizia è un’anti giustizia, perché si accompagna all’amore che trasgredisce la legge per salvare la donna che ha accanto e il figlio che verrà. “Fa segno e poi sfugge / Filosofia non lo sa. È l’Intuizione, alla fine, a penetrare l’Enigma”, per dirla con un verso di Emily Dickinson.
Ioséf non scappa neanche dopo. Quando l’angelo gli comanda di rifugiarsi in Egitto per sottrarsi alla minaccia di Erode, il testo evangelico annota che “destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte, e fuggì in Egitto”. È padre a tutto tondo, non nel senso biologico ma esistenziale: è colui che custodisce, protegge, si prende cura e apre il cammino. E lo fa non quando tutto è facile e scontato, durante il giorno, ma di notte, quando prevalgono le difficoltà, i dubbi, la paura a cui Ioséf oppone la fermezza della sua presenza e la costanza della sua dedizione.
Ioséf per amore annienta il suo io, umilia il suo orgoglio. E riesce a fare spazio a coloro che gli sono stati affidati.
Nei confronti del figlio non è un padre narciso e ingombrante, che proietta su di lui i suoi fantasmi e le sue ambizioni. Tutt’altro. Introduce il figlio all’esperienza della vita, alla realtà. Non lo imprigiona, non vuole possederlo, lo rende capace di scelte, di libertà, di partenze. Quando Gesù deve staccarsi da lui, da Nazareth, dal lavoro appreso ed ereditato, Ioséf non lo trattiene. Non c’è, infatti, alle nozze di Cana quando Miriàm chiede al figlio di provvedere al vino e Gesù compie il suo primo miracolo pubblico. Sa uscire di scena quando il figlio esce dalla sua casa.
L’arte lo raffigura anziano, canuto e piuttosto malinconico, ma è più facile immaginarlo come un giovane forte, innamorato e coraggioso. Ha onorato fino in fondo il ruolo di sposo e di padre e l’ha fatto passando quasi inosservato, nella discrezione più assoluta, e con un anticonformismo e una trasgressione che rasentano la follia. La santità nulla aggiunge all’eroismo e all’integrità. Un uomo vero per uomini veri.