“I miei libri partono dalla speranza che esistano lettori che non cercano facile consolazione”. Roberto Saviano, autore de “La paranza dei bambini”, si racconta in un’intervista a ilLibraio.it. E si sofferma sul passaggio dalla “non fiction novel” alla ‘fiction”: “Un passaggio di stile, oltre che di metodo. Ma la verità è che ho sempre scritto romanzi. Prima romanzi ‘non fiction’, adesso ‘fiction’. Con il medesimo obiettivo: rendere una storia universale, godibile, empatica”. L’autore di “Gomorra” parla dei premi letterari (“Sono anni che me ne tengo lontano…”), del successo dell’omonima serie tv e dell’evoluzione del suo metodo di scrittura. Torna anche il tema dell’invidia, che “in Italia è diventata una declinazione del populismo… soprattutto in rete”. Quanto alla graphic novel che uscirà per Bao Publishing, disegnata da Asaf Hanuka, lo scrittore anticipa che…

La paranza dei bambini, pubblicato da Feltrinelli, è il primo romanzo “puro” di Roberto Saviano, l’autore di Gomorra. Dopo ZeroZeroZero, dedicato al traffico di droga in Sudamerica, il 37enne scrittore campano, da oltre 10 anni costretto a vivere sotto scorta, e che qui di seguito si racconta a tutto campo in un’intervista a ilLibraio.it, è tornato così a raccontare la camorra napoletana, questa volta dal punto di vista dei ragazzini. Il risultato? Uno dei bestseller del 2016 (qui la top ten dell’anno appena trascorso, ndr)..

Come ha svelato in una recente intervista Laura Cerutti, nuova responsabile della narrativa italiana Feltrinelli, Saviano sta già lavorando al seguito: nel 2017, infatti, i “paranzini” torneranno in libreria…

La paranza dei bambini

Nonostante La paranza dei bambini non sia certo un romanzo “leggero”, i lettori hanno dimostrato di apprezzare, anche a Natale.
Saviano, p
ensa che non ci sia più speranza per la sua terra, se già da bambini si comincia a uccidere, nel clima irrespirabile di Gomorra?
“Nei romanzi il tema della speranza rischia di diventare una trappola. E poi cos’è che intendiamo per speranza? Lasciar intravedere una soluzione ipotetica? Suggerire un possibile trionfo del bene? Per me speranza non è nulla di tutto questo”.

E cos’è, invece?
“Speranza è riuscire a raccontare le ferite, a tematizzare quello che sta succedendo; speranza è anche dare al lettore la possibilità di sentirsi in grado di entrare in storie che, altrimenti, vedrebbe da lontano, sentirebbe alla periferia di sé stesso, e che invece sono al centro della propria esistenza. Il successo del libro a Natale è in qualche modo il sovvertimento di quello che si crede essere ‘il mercato’, che spingerebbe al libro d’evasione, alle storie sentimentali. Invece, i tanti lettori che hanno comprato il mio romanzo hanno scelto di usare il sentimento e le passioni per lasciarsi invadere dalle storie”.

Quindi, da scrittore, qual è la sua speranza?
“Che ci siano sempre più lettori disposti a non girare il volto davanti a ciò che accade. A questo proposito, credo che i miei libri partono proprio dalla speranza che esistano lettori che vogliano entrare in queste storie, non cercando facile consolazione”.

Ma qual è la sua idea di consolazione?
“Condivido quella di Ian McEwan, per cui la consolazione è cercare di capire le cose come vanno all’interno della possibilità umana, senza fraintendimenti e senza edulcorare la realtà”.

Com’è nata la scelta di passare dalla “non fiction novel”, che l’ha resa famoso, alla “fiction”? 
“È stato un passaggio di stile, oltre che di metodo. Ma la verità è che ho sempre scritto romanzi. Prima romanzi ‘non fiction’, adesso ‘fiction’. Con il medesimo obiettivo: rendere una storia universale, godibile, empatica. Con la ‘fiction’ ho deciso di andare dentro i protagonisti. La paranza dei bambini è completamente ispirato a personaggi reali, ma ho potuto costruire dei profili psicologici, ispirandomi, tra le altre cose, ai dialoghi delle intercettazioni telefoniche, senza, però, dover riportare necessariamente l’intercettazione in versione integrale. I miei personaggi, nella Paranza, sono costruiti come da un’argilla comune a diverse figure realmente esistite”.

Un addio definitivo, quello alla “non fiction novel”?
“Continua a interessarmi molto, e sono contento che nel 2016 il Pulitzer sia andato a Bandiere nere di Joby Warrick, un testo meraviglioso. Nessuno può capire davvero Isis senza passare da quel libro”.

Le piacerebbe che La paranza dei bambini venisse candidato a un grande premio letterario?
“I premi sono una lusinga, e servono a far conoscere ancor di più il libro. Sono anni che me ne tengo lontano…”.

Gomorra

A 10 anni dalla pubblicazione del suo bestseller d’esordio, anche la seconda stagione della serie tv ispirata a Gomorra è stata un successo, e avete già scritto la terza (Saviano è l’ideatore della serie, e scrive sia il soggetto di serie sia il soggetto di puntata, ndr). È un’esperienza che vive diversamente rispetto al lavoro su un suo libro, quella di collaborare alla stesura di una sceneggiatura?
“Quella della serie è un’esperienza incredibile, che mi ha portato tanti attacchi, suppongo anche per via del suo successo. Una sfida per tutti – attori, registi, sceneggiatori, produttori -, a sperimentare. Prima che andasse in onda era difficile credere che il pubblico avrebbe apprezzato una sperimentazione di questo tipo, e c’era un’ansia incredibile… l’assenza del bene, il dialetto… Senza il coraggio di Andrea Scrosati di Sky realizzare questa impresa sarebbe stata impossibile”.

Torniamo alla domanda.
“Lavorare al soggetto della serie è stato fondamentale per arrivare al romanzo. Ho affinato il lavoro sulla storia e i dialoghi, e la realtà è diventata miniera, mentre, precedentemente, il mio metodo mi portava a rendere comprensibile, in chiave narrativa, l’inchiesta giudiziaria o la cronaca nera. Con la serie tutti questi elementi diventano materia prima da rielaborare”.

In questo processo di scrittura quali sono stati i suoi riferimenti?
“Cito Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, autori, nella seconda metà dell’Ottocento, di una grande inchiesta sulla Sicilia e sul Mezzogiorno, e Giuseppe Saredo, per la sua importante inchiesta parlamentare su Napoli. Si tratta di testi inarrivabili, che hanno dentro tutto: il rigore e l’analisi storico-scientifica, lo stile della lingua, che doveva essere comprensibile a tutti i parlamentari dell’epoca. A questo proposito, oggi ai nostri parlamentari manca la capacità di fare questo tipo di lavori. Tornando a Saredo, inoltre, raccontò il potere a Napoli come nessun altro, ma fu massacrato, tra gli altri, da Scarfoglio, Serao…”.

Come mai?
“A loro volta erano coinvolti, secondo Saredo, nelle speculazioni in città. Nei confronti di Saredo si usò l’espressione di ‘napoletanofagia’, si disse che odiava la città… in quegli anni ci si lamentava di chi, dal Nord, provava a giudicare Napoli. Lo stesso, del resto, avvenne a Franchetti in Sicilia… Questi autori avevano deciso di raccontare perché il Sud era in ginocchio, per questo vennero pesantemente criticati. Sì, è vero, c’era il Nord che nella fase post-unitaria aveva depredato il Sud, ma le responsabilità erano anche altre. Invece, le loro analisi per le aristocrazie borghesi meridionali divennero lo strumento per giustificare una miseria di cui questi potentati erano corresponsabili, ma che tendevano a ‘esternalizzare’… Niente di nuovo sotto il cielo: basta leggere due testi più recenti come La Propaganda di Riccardo Brun o Napoli, Belle Époque di Francesco Barbagallo per avere conferma del fatto che le accuse che mi vengono mosse oggi sono state già fatte a chi, decenni fa, tentava di raccontare il potere in Italia e nel Sud. Gomorra, la serie, è un racconto del potere: i camorristi sono una grande metafora”.

Roberto Saviano

In una precedente intervista a ilLibraio.it aveva espresso un parere non certo positivo nei confronti di gran parte degli scrittori italiani: “Tranne rarissime eccezioni, sono un gruppo di ininfluenti che si accaniscono gli uni contro gli altri per sottrarsi misere copie, che si invidiano per premi che nessuno ricorda più, che si vendono per comparsate tv. Che odiano per il successo altrui e invidiano persino per un processo che può distruggere e compromettere, ma dà visibilità e quindi…”. Anche nel mondo della televisione ci sono queste invidie?
“L’invidia è un carattere fondativo del nostro Paese, potrebbe addirittura essere inserita dentro la Costituzione! E benché sia un sentimento universale, diventa gigantesca dove, come in Italia, è più difficile realizzarsi. In questo momento realizzarsi è quasi impossibile, e nel mondo culturale ancora di più. È inimmaginabile che un giovane, senza farsi mantenere dai genitori, possa mettersi a fare l’artista, lo scrittore, il regista, il giornalista. Pochissimi ci riescono, e per questo molte ragazze e ragazzi emigrano”.

Anche lei del resto ha lasciato l’Italia per gli Stati Uniti.
“È importante provare a osservare il fenomeno dell’invidia, altrimenti la si subisce e basta, oppure si rischia di scambiare per invidia delle legittime critiche, che servono a far crescere il dibattito”.

Lei da cosa riconosce l’invidia?
“La si sente nell’attacco personale. Ma è regola antica: l’invidia consuma chi la prova; invece di impegnarsi a realizzare sé stesso, l’invidioso giustifica il proprio fallimento pensando che l’altro sia responsabile; oppure pensa che ridimensionando, denigrando, possa crescere lui stesso. Ma è solo un’illusione ottica. Il problema è che oggi l’invidia è diventata una declinazione del populismo”.

Si riferisce ai social?
“Sì, soprattutto in rete, chiunque riesca a realizzarsi diventa nell’immaginario uno che ce l’ha fatta solo perché fa parte del ‘sistema’. In questo contesto, solo chi non è ‘pulito’ può affermarsi. E vale anche per l’ambito culturale e letterario”.

Roberto Saviano foto di Maki Galimberti

Roberto Saviano – foto di Maki Galimberti

In che senso?
“Non si fa differenza tra chi va in televisione ed è molto presente nei media: tutti sono uguali. Non ci si sofferma sul fatto che c’è chi arriva al successo non vendendosi, facendo sì compromessi ma senza tradire i propri ideali e la propria coscienza. Il risultato? Un gran calderone in cui tutti sono ugualmente corrotti. L’invidia ormai non è più solo individuale, ma collettiva e, soprattutto sui social, rappresenta un vero sistema. Per rispondere alla domanda, comunque, sì, l’invidia c’è anche in televisione”.

Veniamo, infine, ai suoi prossimi progetti editoriali: uscirà per Bao Publishing, la casa editrice che pubblica Zerocalcare, il suo primo libro a fumetti, disegnato da Asaf Hanuka.
“Davvero una bellissima esperienza, a cui sto lavorando con il geniale autore di Valzer con Bashir. E’ un romanzo disegnato, che su di me ha un doppio effetto: di purificazione e di resa dei conti. Bao è una casa editrice pazzesca, e sono convinto che le graphic novel continueranno a crescere in Italia, diventando, a breve, centrali nel mercato come già avviene in Francia”.

Per lei è una prima volta.
“Oggi la graphic novel permette di fare romanzi, poesia, saggistica. Quello che sto facendo con Asaf mi sta portando a una nuova sperimentazione: perfezione è mutare spesso; io cerco di sperimentare ogni volta, in coerenza con il metodo di racconto che mi ossessiona”.

SavianoLEGGI ANCHE – Per Saviano un fumetto con Bao Publishing, disegnato da Asaf Hanuka 

Sta anche pensando di trarre un libro da Sanghenapule, lo spettacolo teatrale che la vede nuovamente protagonista al Piccolo Teatro Grassi di Milano con Mimmo Borrelli (qui la nostra recensione)?
“Si, diversi editori ci hanno chiesto di pubblicare il testo. Ci stiamo lavorando. Quella teatrale è una delle altre sperimentazioni che sto portando avanti, con quello che considero uno dei più grandi attori teatrali in Italia e in Europa. Il racconto di San Gennaro è il canto d’amore di una terra ferita per ora, non so se diventerà un libro. Protagonista è Napoli, una città di grandezze e tragedie universali. A San Gennaro si può chiedere tutto, perché capisce la difficoltà del vivere. È una porta d’accesso, attraverso la metafora meravigliosa del suo sangue, che muore e rinasce. Quello del santo è un messaggio immenso, anche per i non credenti: San Gennaro ci dice che dobbiamo sciogliere i nodi e tornare a far scorrere il sangue nelle vene, nel nostro quotidiano. Anche se le nostre vite si sono rinsecchite, possiamo trovare una nuova energia dentro di noi”.

Fotografia header: Roberto Saviano

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