Miss Mary Shepherd, “vagabonda stanziale” poco incline alla gratitudine, e Alan Bennett, scrittore, drammaturgo, sceneggiatore e attore britannico, sono dapprima dirimpettai, e poi coinquilini. Quella raccontata ne “La signora nel furgone” (che torna in una nuova edizione), libro diventato anche un film, è una divertente, e attuale, storia di inclusione – L’approfondimento

La signora nel furgone di Alan Bennett è apparso per la prima volta nel 1989 sulla London Reviews of Books e nella traduzione italiana di Giulia Arborio Mella per Adelphi nel 2003.

La signora nel furgone e le sue conseguenze alan Bennet Adelphi

Il 15 maggio scorso la casa editrice milanese ne ha riedito il testo, arricchendolo delle pagine diaristiche di Alan Bennett, della sceneggiatura del film del 2015 The Lady in the Van, con Alex Jannings e una portentosa Maggie Smith, e della prefazione del regista Nicholas Hytner[1].

OLTRE IL CONFINE

Miss Mary Shepherd, una “vagabonda stanziale”, e Alan Bennett, scrittore, drammaturgo, sceneggiatore e attore britannico, sono dapprima dirimpettai, quando il furgone giallo viene portato a spinta e parcheggiato sul vialetto dinanzi casa di lui, al numero 23 di Gloucester Crescent, Camden Town, Londra. È il 1974. Diventano poi coinquilini e lo rimarranno per ben quindici anni: Alan Bennett, in un’intervista per il lancio del film, dice proprio che è stata la sua volontà ferrea a mettere in atto la convivenza: “She had a very strong will, she knew she was going to stay and she did stay”.

Era una casa a tutti gli effetti, posizionava la signora su un gradino più alto della scala sociale, rispetto a un semplice senzatetto, poiché di fatto non lo era; e poco importava se lo era diventata contravvenendo a qualsiasi regola di buona igiene, normalità e formale decoro.

Nell’introduzione al libro, Bennett si sofferma a descrivere Gloucester Crescent come luogo di residenza di personalità assortite: editori, fotografi, capitani di marina, diplomatici, compositori, un vescovo anglicano e una vedova, differenze che erano però rimasugli di un inizio di omogeneizzazione sociale[2].

A cercarla su Google Street View oggi, con le sue villette di metà Ottocento (due piani, vialetto, giardino e cancello), con la sua forma a semicerchio chiusa su Oval Road, tra la zona del London Zoo e quella del Camden Market, di Gloucester Crescent appaiono delle fotografie tanto nitide quanto piatte: automobili parcheggiate, nuvole in cielo, nessun passante. A omogeneizzazione compiuta, se si facesse un gioco di sovrapposizioni, mettendo uno schizzo qualunque di un furgone colorato di giallo, parcheggiato fra quelle automobili, la distonia sarebbe evidente.

L’APPRODO

Lo studio di Bennett, a inizi anni ’70, era rivolto direttamente verso la strada: aveva una visuale precisa di ciò che accadeva al di là del giardino. Ciò che lo spinse a offrire a Miss Shepherd il vialetto, il giardino e dunque l’elettricità di casa sua fu semplicemente il disagio di sapere cosa accadeva in quel furgone, e attorno ad esso – compresi episodi di intolleranza e meschinità a danno della signora – circostanze che lo distraevano dallo scrivere.

E quando la sistemò nel suo vialetto, Alan Bennett passò per benefattore; la verità era che “spostare Miss S. in giardino significò sottrarla ai passanti e ai curiosi: così entrambi potemmo avere una vita più tranquilla, e, di solito, io potevo dimenticarmi di lei – come in un matrimonio[3]” ma “la persona che […] non considerava il mio gesto un segno di bontà […] fu ovviamente Miss Shepherd: parcheggiare nel vialetto di casa mia era un favore che lei faceva a me e non viceversa[4]“.

DELLE CONSEGUENZE

Insieme alle molteplici personalità che allora abitavano quella zona di Londra, Miss Shepherd e il suo furgone non erano un disegno abbozzato e posticcio, come potrebbero apparire a noi oggi: non era la sola senzatetto che si aggirava nei paraggi, ma quella dall’attitudine meno silenziosa. Soprattutto era l’unica ad avere un allaccio alla corrente, dunque un domicilio, e di conseguenza i sussidi pubblici: poteva vivere il quartiere e la strada come chiunque altro.

Fino alla sua morte, Miss S. era sembrata diverse cose, a chi la vedeva in strada passando o al vicinato: svitata, incosciente, sporca, puzzolente, malata, irriverente, una coinquilina irritante, una discreta conducente. Ancora la fondatrice del Fidelis Party (che propugnava la Giustizia in mano a un unico Dittatore Buono, quindi senza bisogno di opposizione politica), attivista durante la guerra nelle Isole Malvinas e contro il Mercato Comune della CE; infine un’anziana incattivita, con un’avversione per i bambini e la musica.

Dopo il funerale, invece, grazie all’incontro con la famiglia di Miss S., Alan Bennett scavò il resto: il suo rapporto con l’amore fallito – per un uomo, per la religione e per la musica – e con la guerra, combattuta come conducente di ambulanze per l’esercito. Conobbe, di lei, tutte le conseguenze e decise di usare il diario che aveva annotato negli anni e le verità di cui venne a sapere per raccontarne la storia.

Della Signora nel furgone si potrebbero elencare almeno dieci buoni motivi per cui è una lettura godibile e divertente, ma non le renderebbero doveroso merito.

È una storia che descrive la vicinanza, riflettendo su un gesto tanto costoso quanto piccolo che porta inevitabilmente a conoscere tanto la miseria quanto la grandezza umana.

Un gesto a specchio, in cui ad apparire con i contorni sfumati può essere Alan Bennett o Miss S., noi o l’altro, che conduce a oltrepassare il confine, a riconoscere un approdo e a preoccuparsi finalmente delle conseguenze.

 

[1] Con la traduzione di Giulia Arborio Mella e Mariagrazia Gini.

[2] È proprio Alan Bennett che a pagina 22 dell’introduzione specifica i motivi del cambiamento del tessuto sociale della comunità. Lui va ad abitare lì nel 1969, ma quando il film viene girato nel 2014 in quella casa abitava un’altra persona. La politica thatcheriana a cui Bennett fa riferimento è la svendita ai privati delle case municipali, dichiarandone di fatto la scomparsa progressiva; nel momento in cui la storia ha luogo esistevano ancora, seppur in residua quantità.

[3] Alan Bennett, nell’Introduzione, pag. 27.

[4] Alan Bennett, nell’Introduzione, pag. 28.

 

L’AUTRICE – Elena Marinelli vive e lavora a Milano, ma è nata in Molise, vicino a un passaggio a livello. Ha scritto per Abbiamo le prove, l’Ultimo Uomo e Gli 88folli. Il terzo incomodo (2015) è il suo primo romanzo. Qui i suoi articoli per ilLibraio.it.

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