Seduttrici per eccellenza, le sirene sono creature che popolano da sempre le nostre fantasie e il nostro immaginario, simbolo della tentazione erotica e del pericolo. Ma qual è la loro storia e, soprattutto, perché sono state in grado di esercitare così tanto fascino nel corso del tempo? Il saggio di Elisabetta Moro, “Sirene”, nasce con l’obiettivo di dare risposta a questi quesiti, tracciando una mappatura culturale che attraversa la letteratura greca e latina, arrivando alle rappresentazioni moderne e contemporanee, tra cui quella di Andersen, di Tomasi di Lampedusa, di Kafka e di Curzio Malaparte… – L’approfondimento

Seduttrici per eccellenza, le sirene popolano da sempre le nostre fantasie e il nostro immaginario. Ma qual è la loro storia e, soprattutto, perché queste creature sono in grado di esercitare tanto fascino?

Il saggio di Elisabetta Moro, Sirene (il Mulino), nasce proprio con l’obiettivo di dare risposta a questi quesiti, tracciando una mappatura culturale che prende in analisi testi scritti, sculture e iscrizioni che, nel corso del tempo, hanno tramandato il mito dell’essere metà donna metà pesce.

E a proposito della sua forma fisica, parte proprio da qui il trattato dell’autrice, professoressa di Antropologia culturale all’Università di Napoli Suor Orsola Benincasa e collaboratrice di diverse riviste e testate. La sirena, infatti, non ha sempre avuto l’aspetto con cui oggi la conosciamo: in molte fonti viene descritta come un incrocio tra una donna e un uccello, ma, a prescindere dalla sua morfologia ittiforme o ornitomorfa, resta il simbolo assoluto del desiderio erotico e del pericolo.

Sirene Elisabetta Moro

La prima caratteristica che identifica e definisce le sirene è la voce, il canto. Uno dei passi più celebri della letteratura che le vede protagoniste è quello dell’Odissea, in cui le incantatrici ricoprono il ruolo di minacciose insidie per Odisseo e i suoi uomini. Per resistere al loro richiamo, sotto consiglio della maga Circe, l’eroe protegge i suoi compagni riempiendo di cera le loro orecchie, e legando se stesso all’albero maestro della nave. Questo episodio – che rimarrà impresso nella nostra cultura, tanto da essere uno dei temi iconografici più longevi della storia dell’arte – incarna la capacità dell’uomo di riuscire a sconfiggere l’emblema della tentazione e dello sviamento, grazie all’astuzia e alla forza di volontà.

Nel descrivere la scena, Omero si sofferma sull’impossibilità di sottrarsi all’ipnosi delle ammaliatrici (principalmente per esaltare l’azione del suo personaggio), eppure non svelerà mai il contenuto del loro canto, tanto che la domanda “Quid sirenes cantare sint solitae?” (“Cosa cantano solitamente le sirene?”) diventerà un’ossessione per l’imperatore Tiberio, come racconta Svetonio nelle sue Vite dei Cesari.

Ed è proprio in questo aspetto che risiede l’arma di seduzione più potente di queste creature: il loro è un canto profetico. Le sirene sanno leggere il futuro e conoscono il passato, dicono di sapere cosa è successo durante la guerra di Troia. Ecco allora che il loro fascino coincide con la promessa di conoscenza che all’uomo è proibita. In quest’ottica la resistenza di Odisseo appare ancora più esemplare (considerando che l’eroe è il ritratto dell’uomo che in nome della sua “curiositas” supera tutti i limiti imposti dalla società) e il significato della seduzione si arricchisce di concetti legati alla sfera del sapere.

Da questo momento, nella tradizione greca e latina le sirene diventano la chiave per accedere all’invisibile e spiegare il mondo: “Infatti, nonostante assumano nel tempo coloriture diverse, rimangono immutabilmente delle divinità sapienzali, che conoscono tutto del passato e antivedono il futuro. Dotte Sirene, le chiama ancora Ovidio, otto secoli dopo Omero”.

Il potere di avere una conoscenza superiore conferisce alle incantatrici un’ulteriore caratteristica, che le riconduce al mondo dei morti: non è un caso che vengano rappresentate sulle tombe, in quanto custodi della soglia dell’aldilà. Questo è un attributo che non fa altro che incrementare la natura ambigua e doppia di questi esseri: a metà tra due universi, da un lato donne dall’altro animali, da un lato spaventose dall’altro affascinanti, da un lato feroci dall’altro irresistibili.

Non ci si stupisce che siano rimaste impresse nelle storie di poeti e scrittori, dando vita a un mito che si protrae ancora oggi: sono una domanda impossibile da risolvere, un mistero ancora tutto da scoprire.

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Dopo aver passato in esame ritrovamenti e testimonianze dell’età classica, soffermandosi con particolare attenzione sul mito della Sirena Partenope, fondatrice della città di Napoli, Elisabetta Moro si dedica alle sirene d’autore, tra cui quella di Andersen, di Tomasi di Lampedusa, di Kafka e di Curzio Malaparte, ma anche a quelle raffigurate da Moreau, Munch e Klimt, solo per citare i più famosi.

Si può dire che, tra tutte, la sirenetta dello scrittore danese sia quella che gode di maggiore popolarità, cristallizzando alcuni caratteri che hanno innovato e ridefinito la leggenda della sirena.

Pubblicata nel 1837 con il titolo Den Lille Havfren, la storia vede come protagonista una sirenetta di quasi quindici anni che ha “la pelle chiara e delicata come un petalo di rosa, gli occhi azzurri come un lago profondo, ma come tutte le altre non aveva i piedi e finiva in una coda di pesce”. L’adolescente – perché, in fondo, di questo si tratta – s’innamora di un uomo e per lui decide di rinunciare alla sua identità, trasformandosi in un essere umano. Ma la metamorfosi ha un prezzo altissimo da pagare: prima di tutto, la ragazza abbandona per sempre suo padre e le sue sorelle, e rinuncia alla possibilità di vivere trecento anni, come tutti i suoi simili. Ci sono però anche delle conseguenze fisiche: ogni volta che la giovane compie un passo sulla terra, sente la lama di un coltello conficcarsi nella pianta del piede ma, soprattutto, è costretta a farsi tagliare la lingua e a perdere di conseguenza la sua voce – quindi la sua malia.

Per coronare il suo sogno d’amore, Ariel è dunque disposta a tutto. La sirena, da seduttrice, diventa sedotta:” Non conduce il gioco della seduzione, ma vi è condotta dalle circostanze. Non è distante e indifferente, ma travolta dalle emozioni e dai desideri. Le sirene antiche, invece, erano enigmatiche, impassibili, incontrollabili, sapienti, seducenti”. Chissà, forse con il cambiare dei tempi, con l’affievolirsi della fede in forze esterne all’uomo, le sirene hanno diminuito la loro forza, pur non smarrendo del tutto il loro fascino. Il punto, però, è che hanno smesso di essere viste come creature pericolose. Sono state addomesticate. Così, nel romanzo La pelle di Curzio Malaparte, ambientato dopo l’insurrezione popolare delle quattro giornate di Napoli, la sirena compare nella scena macabra in cui viene offerta come banchetto a un generale statunitense. In questo episodio, la sirena è la personificazione della città (fondata, come già detto, dalla sirena Partenope), che viene mostrata devastata e sfigurata dalla guerra. Mentre è lì, sul tavolo, sotto lo sguardo dei commensali, con gli occhi spalancati e la pelle viola spappolata dalla cottura, l’immagine della sirena subisce ancora una volta un cambiamento, e la creatura perde quasi definitivamente la sua superiorità rispetto all’uomo.

Non più temibile tentazione, non più promessa di sapere inconoscibile, l’incantatrice diventa un fenomeno da baraccone, come quella del circo di Phineas Barnum, il primo a fare di queste creature un format d’intrattenimento nel XIX secolo. Eppure, nonostante abbia perso i caratteri che, almeno inizialmente, l’avevano resa così irresistibile, la sirena non ha cessato di essere presente nel nostro immaginario: ne è una testimonianza la recente serie Rai Sirene oppure il nuovo romanzo dell’autrice irlandese Louise O’ Neill, che parla proprio dello stupro di una sirena, o ancora La forma dell’acqua di Guillermo Del Toro, che, in fondo, è una riscrittura invertita del mito.

Il motivo di questa inestinguibile attrazione non è del tutto spiegabile e dopotutto fa anche questo parte del fascino, ma l’autrice chiude il suo libro con una riflessione che tenta di dare una risposta: “Le sirene continuano ad affiorare alla superficie della contemporaneità dai gorghi del nostro immaginario proprio perché restano i simboli della fluidità dell’essere. In cui tentiamo faticosamente di riconoscerci. Tanto da scambiare per un’eco marina lo scorrere del nostro sangue, che risuona in una conchiglia. Il canto delle sirene risuona in noi come la voce dell’amante natura che sembra volerci parlare, per poi voltarci le spalle incompresa. E tornare a inabissarsi nel suo mistero”.

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