“Sono ancora qui” è il romanzo-memoir che ha ispirato il film del regista brasiliano Walter Salles. A firmarlo è Marcelo Rubens Paiva, figlio minore di Rubens Beyrodt Paiva, ingegnere, politico laburista e desaparecido durante la dittatura militare brasiliana, e di Eunice Facciolla Paiva, madre di cinque figli e poi avvocata e difenditrice indefessa della memoria di un momento tragico per il suo Paese. Un libro e una pellicola che arrivano in un momento storico e politico internazionale in cui una testimonianza di questo spessore si fa più urgente…
Sono ancora qui è il romanzo-memoir di Marcelo Rubens Paiva, figlio minore di Rubens Beyrodt Paiva (26 dicembre 1929 – 21 gennaio 1971), ingegnere, politico laburista e desaparecido durante la dittatura militare brasiliana ed Eunice Facciolla Paiva, madre di cinque figli, moglie di Rubens Beyrodt e poi avvocata e difenditrice indefessa della memoria di quello che è stato.
E scrivo “madre e moglie” volutamente, non perché Eunice fosse solo questo, lo dimostra la sua storia di lotte e dignità, ma perché, per sua pervicace volontà, è stata anche questo.
Sono ancora qui è stato pubblicato in lingua originale nel 2015, ma vede la luce solo oggi in traduzione italiana, a cura di Marta Silvetti per La Nuova Frontiera. In modo provvidenziale, potremmo dire, non solo perché si accompagna all’uscita nelle sale cinematografiche del film di Walter Salles, tratto proprio dal romanzo, ma anche perché arriva in un momento storico e politico internazionale in cui questa testimonianza si fa più urgente.
Marcelo Rubens Paiva scrive, prima di tutto, una lettera d’amore alla madre Eunice, partendo dall’epilogo, ovvero dalla sua malattia.
Nelle prime pagine del libro è ritratta una donna ormai fiaccata dall’Alzheimer. Un figlio che abbia assistito una madre o un genitore in queste condizioni sa che lo sforzo maggiore è quello di conservare la memoria di ciò che è stata. Impresa tanto più difficile quanto più questa vita provata dall’assenza di autocoscienza è stata consacrata all’esercizio della memoria, privata e collettiva.
Eunice Paiva è stata madre, come abbiamo detto in principio, di cinque figli, moglie di un deputato laburista, donna convintamente democratica e progressista. Poi, in un giorno che non credeva possibile arrivasse, le è stato tolto tutto.
Suo marito, Rubens Beyrodt, arrestato, condotto in prigione, torturato, ucciso dalle torture di regime e il cadavere fatto sparire.
Da quel momento, tra attimi di incredulità e speranza, come se il fantasma di una vita intera potesse comparire bussando alla porta, ha condotto un’esistenza alla quale nessuno può essere preparato. Prendendosi cura dei cinque figli, studiando con ostinazione per perseguire una laurea, diventando avvocata e poi conservando la memoria terribile di una privazione che le aveva drenato qualsiasi risorsa, affettiva ed economica.
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Come ricorda il figlio Marcelo infatti, la madre ha dovuto inventare anche una sopravvivenza materiale, in assenza della possibilità di accedere a risorse economiche che le erano precluse in quanto donna ufficialmente non vedova di un marito ufficialmente non morto (banalmente, per il regime era necessaria la firma dello scomparso per poter sbloccare i conti in banca).
Eunice Paiva è diventata, con gli anni, la memoria di tutto il Brasile. Una memoria osteggiata in tutti i modi.
Rubens Beyrodt è stato dichiarato vittima del regime quarant’anni dopo il giorno del suo omicidio, grazie all’ostinazione di Eunice, e questa vicenda è di fatto quanto di più vicino allo slogan di Carol Hanisch “il personale è politico” mi sia capitato di leggere negli ultimi anni.
Per il modo chirurgico in cui Marcelo Paiva dimostra come si instaura una dittatura, un procedimento che rende difficile, spesso, riconoscere il contorno del pericolo per sé stessi e per gli affetti che ci circondano:
“I partiti politici vennero aboliti. Si intervenne sul potere giudiziario […] Furono arrestati giornalisti, come l’intera redazione di Pasquim. Caetano Veloso e Gilberto Gil vennero arrestati, rasati a zero ed espulsi dal Brasile. […] Il contrabbando e il jogo do bicho furono associati agli agenti della repressione e si rafforzarono. Nacque la criminalità organizzata. Si consolidò la promiscuità tra polizia e banditi. Quando si concluse, il 15 marzo 1985, la dittatura lasciò dietro di sé un’inflazione che si trasformò in iperinflazione. […]
Un’altra eredità fu lo smantellamento della scuola pubblica. […]
Il Brasile potrebbe essere stato vittima di una delle più grandi farse della storia: non aveva mai corso il rischio di diventare comunista.”
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E per il modo in cui ogni regime compromette ogni aspetto della vita privata:
La speculazione edilizia estromise il calcio democratico di strada.
[…]
A metà di quell’anno la mia famiglia fu costretta a lasciare Rio. Alla Festa di São João annunciai il trasferimento e in molti vennero a salutarmi. […] Carla di avvicinò. Rimasi incantato. Pronunciò il mio nome. Mi baciò.
Un’altra storia d’amore di cui la dittatura mi aveva privato. Una storia a cui dobbiamo molto, tutti noi. Una donna, Eunice, a cui dobbiamo molto, perché non possiamo affatto escludere il suo estremo sacrificio. Una donna che ha dimenticato sé stessa, dopo aver lottato fino allo stremo delle forze perché noi ricordassimo”.
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