I racconti che compongono “Stagno” di Claire-Louise Bennett ruotano tutti attorno a piccoli accadimenti quotidiani: “I cambiamenti su larga scala infatti non mi suscitavano il minimo interesse; era piuttosto la costanza delle piccole cose ad attrarmi. Per esempio, quasi tutte le pietre di cui è fatto il cottage sono di uguali dimensioni e hanno una forma simile”, confessa, infatti, la protagonista delle storie, che mettono a nudo la sfera domestica. Tra naturalismo e lirismo… – L’approfondimento

La casa è il luogo in cui essere se stessi, con se stessi. Soprattutto se la si abita da soli, ancora di più se si è lontani da famiglia e affetti. Come la scrittrice inglese Claire-Louise Bennett, che vive sulla costa occidentale dell’Irlanda e che in Stagno (Bompiani, traduzione di Tommaso Pincio) mette a nudo la sfera domestica in una serie di racconti in bilico tra il naturalismo e il lirismo.

Claire-Louise Bennett

“Questa è casa mia: non ci sono tende e per metà del tempo la porta è aperta”, scrive in Tocco finale, il racconto in cui la protagonista decide di dare una festa e aprire il suo cottage ad amici e conoscenti. Più che della festa, però, ci racconta della preparazione della casa, delle pietanze che porterà ogni invitato, e poi di come la narratrice immagina si disporranno gli ospiti nello spazio del suo salotto.

Il mondo di Claire-Louise Bennett è solitario: frutto di un isolamento volontario e di una spiccata sensibilità per il mondo naturale e domestico che la circonda. Non a caso, le sensazioni richiamate dai racconti ricordano le atmosfere alla Emily Dickinson, anima dedicata alla solitudine e alla contemplazione.

Anche il linguaggio di Bennett è lontano dalla scioltezza del parlato: si avvicina al tortuoso flusso dei pensieri, fa da ponte tra ricordi e suggestioni, si fa riflessivo e intimo man mano che si inoltra nella mente della narratrice.

Racconti che non si legano tra loro se non per la presenza costante della stessa donna e del suo cottage. E della natura dell’Irlanda occidentale che è solo marginalmente domata dalla presenza umana. Come nel caso dello stagno che dà il nome alla raccolta di racconti. Una pozza d’acqua a pochi passi dalla casa della protagonista e nominata “stagno” da un cartello che la donna trova a dir poco pretenzioso.

I racconti ruotano tutti attorno a piccoli accadimenti quotidiani: “I cambiamenti su larga scala, infatti, non mi suscitavano il minimo interesse; era piuttosto la costanza delle piccole cose ad attrarmi. Per esempio, quasi tutte le pietre di cui è fatto il cottage sono di uguali dimensioni e hanno una forma simile”, confessa la narratrice e protagonista delle storie.

Una donna di cui non sappiamo quasi nulla, se non che lavora saltuariamente in un negozio di biciclette, che è una ricercatrice, o comunque una studiosa, e che è una “forestiera”: “Se non vieni da un dato luogo la storia di quel luogo vivrà dentro di te in maniera diversa da come vive nelle persone che vengono da quel luogo. La relazione che avrai con gli eventi che definiscono la storia di un luogo non sarà lineare perché nessuno dei tuoi antenati è stato in alcun modo coinvolto da quegli eventi o ne ha subito le influenze”.

E, infatti, dalla sua esperienza nel cottage, nascono dei racconti capaci di condensare la preparazione della cena in un racconto di due righe, ma anche di dilatare i pochi minuti di una doccia in pagine di narrazione.

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