Dopo “Lacci”, “Scherzetto” e “Confidenza”, Domenico Starnone torna con un nuovo romanzo, “Vita mortale e immortale della bambina di Milano”: il volume racconta la storia di Mimì, bambino aspirante poeta che, come Orfeo, desidera viaggiare nell’oltretomba per andare a riprendere la sua Euridice

Amore e morte. Si basa su questo tradizionale binomio il nuovo romanzo di Domenico Starnone, Vita mortale e immortale della bambina di Milano (Einaudi), un volume di appena centocinquanta pagine che va timidamente a richiamare alcuni grandi classici della letteratura. E lo fa in punta di piedi, sì, ma anche con trasparenza e franchezza, tanto che è da subito – fin dalla prima pagina o, meglio, fin dalle prime righe – che facciamo la conoscenza di Mimì, un bambino che sente di avere più di un punto in comune con il poeta Orfeo.

Non solo per la passione per la scrittura (“Ero poeta anch’io, ma in segreto, e componevo versi di grande sofferenza”), ma pure per il desiderio di scendere sottoterra, nella fossa dei morti, per andare a riprendere la sua Euridice: una bambina bellissima e splendente, capace di volteggiare con una grazia mai vista, di cui, naturalmente, il nostro protagonista si innamora al primo sguardo.

vita mortale e immortale

L’amore, in fondo, passa per gli occhi, dicevano gli stilnovisti (Voi che per li occhi mi passaste ‘l core, scriveva Guido Cavalcanti in uno dei suoi più celebri sonetti) e anche Dante, che è un’altra figura letteraria a cui Mimì somiglia non poco. La sua storia infatti ricorda vagamente il racconto della Vita Nova, prima opera di Alighieri che preannuncia il viaggio ultraterreno della Commedia, in cui il poeta rievoca la vicenda del suo primo amore: dall’incontro con Beatrice alla fase di innamoramento, passando per il dolore causato in seguito alla scoperta della morte di lei. E così pure Mimì ama la sua bambina (di un amore sconsiderato e totale come solo quello dei bambini può essere) e si strugge di una sofferenza ineffabile quando apprende che la piccola, durante il periodo della villeggiatura estiva, è morta affogata.

Per questo evento Mimì si dispera, piange e non si alza dal letto, gli vengono le interminabili “febbri della crescenza”.

Unica testimone possibile di questo dolore, la nonna: una donna che pure, nel corso della sua esistenza, ha potuto sperimentare la gioia (dell’amore) e lo struggimento (della morte). Tra bruciori, tremori e incubi, la bambina lo viene a trovare in sogno, gli si presenta davanti come un ghirigoro dorato e sfocato, anche negli anni dopo l’infanzia, quando lui è ormai cresciuto e si aggira come un fantasma tra i corridoi della facoltà di Lettere Antiche, plasmato e oppresso da quello strano sentimento di perdita.

Tuttavia studiare lo fa stare meglio: lo fa stare meglio immergersi negli esami di Papriologia e Glottologia (lo fa stare meglio, soprattutto, poter dire di frequentare corsi dai nomi così altisonanti), smarrirsi tra i reperti di un tempo che non c’è più, andare alla ricerca di simboli fonetici che non esistono nell’alfabeto ordinario. Così, si tiene in vita: un piede nella fossa e l’altro nel mondo reale, in equilibrio tra ciò che è e ciò che non si vede, eppure c’è, si percepisce: basta solamente riuscire ad afferrarlo con le parole, nella scrittura.

Del resto lo abbiamo detto fin dall’inizio che Mimì è un aspirante poeta, e forse è proprio da questa tensione interiore e innata che nasce il suo bisogno di riversarsi sulla carta. Di ricostruire le immagini passate, di tenere ferme le persone che sono destinate altrimenti a svanire nel nulla: eccola qui, la vita immortale, il viaggio nell’aldilà che hanno compiuto, prima di lui, Orfeo e Dante.

Ma in questa storia moderna – ambientata in una Napoli degli anni Sessanta, dove ci si esprime con un dialetto stretto stretto (anche graficamente, tutto attaccato) – manca la dimensione mitica o epica. Si rimane per questo poeti a metà, comuni mortali dall’esistenza così semplice che può essere liquidata in poche pagine d’epilogo – un matrimonio felice, una famiglia, una carriera. L’oltretomba non è un luogo da raggiungere, si può soltanto intuire in un corpo freddo come un vaso da fiori, ma rimane lì dov’è: un mondo alle nostre spalle verso cui, per nessun motivo, dovremmo volgere lo sguardo.

Fotografia header: domenico starnone GettyEditorial 11-10-2021

Libri consigliati