Con “Storia d’amore e macchine da scrivere” Giuseppe Lupo si discosta dalla narrazione sociale e corale che lo caratterizza, ma non certo dall’attenzione alla cultura industriale e tecnologica, filo conduttore del suo lavoro di studioso di una modernità, per citare un suo saggio recente, largamente “malintesa” dalla cultura letteraria del Novecento e oltre…

Per Giuseppe Lupo – in questo caso per il suo personaggio Salante Fossi, simpatico deuteragonista in Storia d’amore e macchine da scrivere (Marsilio) – c’è indubbiamente “una poesia nelle macchine che il postmoderno ci vuole far perdere”; ed è al cuore di questo nuovo romanzo: dove per alcuni aspetti l’autore si discosta dalla narrazione sociale e corale che lo caratterizza, ma non certo dall’attenzione alla cultura industriale e tecnologica, filo conduttore del suo lavoro di studioso di una modernità, per citare un suo saggio recente, largamente “malintesa” dalla cultura letteraria del Novecento e oltre. Di modernità si tratta infatti, oltre che di amore, in un libro che si muove nello stesso tempo sui terreni della tecnica e del fantastico.

Copertina di "Storia d'amore e macchine da scrivere" di Giuseppe Lupo, tra i libri da leggere 2025

È la storia di una lunga intervista che un “Vecchio Cibernetico”, novantacinquenne e onusto di gloria, sul punto di rivelare la sua ultima e rivoluzionaria invenzione, concede in modo dolcemente elusivo a un rassegnato giornalista, appunto Salante Fossi, portandolo a spasso dalla Danimarca al Portogallo, in un gioco di allusioni e nascondimenti.

In Danimarca la comunità scientifica si è data appuntamento per celebrare il compleanno del Vecchio Cibernetico, ovvero Sandór Molnár – con evidente allusione all’autore dei Ragazzi della via Paal, ma ha cambiato un po’ di nomi, nella sua lunga vita  –, il Portogallo è dove vive attualmente e conserva alcuni segreti; dove dunque avverrà l’agnizione finale.

Dal punto di vista del plot, tutto ruota intorno alla misteriosa invenzione di cui si conosce solo il nome, Qwerty (è la sigla che definisce la normale tastiera delle nostre machine da scrivere e dei nostri computer), ma la  storia è costruita intorno a un oggetto invece ben noto, un talismano ad alto valore simbolico: una vecchia Olivetti lettera 22, che l’anziano scienziato porta sempre con sé da quando la ricevette in dono, studente di ingegneria a Budapest, prima di essere esfiltrato in Occidente all’arrivo dei carri armati sovietici, nel ’56, non si sa bene perché e da chi.

Ci sono cose infatti che il Vecchio Cibernetico mostra di non conoscere o non ha mai saputo, altre che pare aver dimenticato, altre ancora, come certi buchi ricorrenti di memoria, che come piccole gag punteggiano il discorso. E c’è invece, solidamente intenta a sfidare il tempo, la macchina da scrivere: anzi la sua custodia, da cui esce una quantità inimmaginabile di documenti anche molto antichi, e che al giornalista ricorda la mitica borsa di Mary Poppins.

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L’affabulazione di Lupo, in continuità coi suoi romanzi precedenti, è cordiale e in apparenza dotata di una franca spontaneità, attraversata da momenti di benevolo umorismo, oltre che da una certa tenerezza. Qui si esercita soprattutto sulla Lettera 22, oggetto desueto per eccellenza, parte di quella grande famiglia studiata poniamo da Francesco Orlando in un suo celebre saggio (Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura) che intrattiene uno stretto e mutevole rapporto con l’ambiguità del tempo: se è vero infatti che a questi oggetti, scriveva Orlando, il tempo “presta… tenerezza come ricordi e ambiguità come modelli”, se li “logora e nobilita”, ecco che la Olivetti del Vecchio Cibernetico diventa il filo conduttore di una ricerca e di una vita, di un tempo che si vorrebbe ritrovato. È stata lo schema o il paradigma stesso delle sue ricerche, volte a studiare proprio le complesse teorie su come ordinare le singole lettere sui singoli tasti, che in qualche modo lo ha portato alla strepitosa – e vedremo, conturbante – invenzione finale.

Storia d’amore e macchine da scrivere (che potrebbe essere proposto per il Premio Strega 2025, ndr) ci propone una narrazione informatissima, e persino, si direbbe, un’epica delle tastiere (facendoci scoprire molto su di esse, soprattutto che non sono un utensile affatto scontato). Compaiono premi Nobel, scienziati e imprenditori: naturalmente Camillo Olivetti e Mario Tchou, l’ingegnere e manager italocinese che fece grande l’azienda di Ivrea.

Lupo si chiede anzi se non sia giunto il momento di scrivere finalmente un “romanzo olivettiano”, anche se la sua storia d’amore e macchine da scrivere va in fondo oltre un perimetro di questo tipo per spaziare nel Novecento, affascinata dalle vicende in fondo poco note di una epopea tecnico-scientifica. L’amore, certo, ha una sua importanza cruciale, anzi si duplica in quello per la Olivetti Lettera 22 e ciò che rappresenta, da una parte, e nel ricordo del lungo matrimonio tra il Vecchio Cibernetico e la donna che lo scortò dall’Ungheria alla libertà. Il fatto poi che nel corso dell’intervista non compaia mai, perché in apparenza impegnata altrove o variamente impedita, è un’altra tessera del puzzle, tutto sommato abbastanza autonoma, giocata tra i vuoti di memoria (veri o presunti tali) del protagonista, sul filo dell’umorismo e dell’ironia, e magari dell’apologo.

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La sorte della moglie adorata e misteriosa, così come il disvelamento dell’invenzione (con tratti quasi magici) chiuderanno sì il cerchio, ma lasciando zone di ambiguità, falle del ricordo perdute o forse solo taciute. Storia d’amore e macchine da scrivere – amore per la compagna di vita del Vecchio Cibernetico, amore dell’autore stesso per la Olivetti e ciò che rappresenta – è un romanzo che funziona per intermittenze e talismani, divagante e talvolta, nel lasciare molto spazio al lettore, un poco reticente: un lungo viaggio su una tastiera, anzi due (quella ungherese e quella Qwerty) sottolineato dai disegni di Lorenzo Fossati che inaugurano ogni capitolo. Per frammenti, un discorso amoroso.

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