“Una strega si muove sul confine fra disgusto e fascino, capacità straordinarie ed emarginazione sociale”. Francesca Matteoni, poeta, storica e folklorista, autrice, tra gli altri, di “Io sarò il rovo – Fiabe di un paese silenzioso” e “Il famiglio della strega”, su ilLibraio.it ripercorre la storia di una figura magica il cui più grande peccato, forse, è l’eccessiva umanità: la strega. Ieri come oggi, “in un quadro contemporaneo dove lo stesso stigma, le stesse condanne si ripetono per chiunque trasgredisca i confini dati – culturali, religiosi, geografici, politici…”

La parola strega apre una vasta gamma di interpretazioni: è la creatura più temuta nelle fiabe letterarie; indica una creatura ibrida fra l’umano e il demoniaco nell’antropologia; nell’era contemporanea è diventata icona della lotta femminista; viene rivendicata nella comunità neopagana, come pratica personale; racchiude la possibilità di un nuovo attivismo per la terra e i suoi abitanti; è lo stigma sociale che ha scatenato una persecuzione nell’epoca moderna, in Europa e New England.

Una strega si muove sul confine fra disgusto e fascino, capacità straordinarie ed emarginazione sociale.

Essere definita strega dagli altri non è mai un buon segno: indica stranezza fisica e spirituale, un carattere difficile da gestire, una donna che non si conforma al comune senso di decoro. Definirsi strega, invece, comporta l’indossare consapevolmente lo scherno e il sospetto altrui, reclamando la propria unicità e di conseguenza un potere che ci conduce nel mondo, indipendentemente dalle opinioni dei vicini. Tradotto in un linguaggio simbolico significa non temere la soglia fra il visibile e l’invisibile che abita il corpo della strega e in senso lato qualsiasi corpo, per sua natura mutevole, al tempo stesso in crescita e declino.

Quando ho intrapreso la ricerca storica, conseguendo un dottorato in Inghilterra, volevo appunto partire dall’idea di soglia nelle storie delle streghe, intrise di credenze condivise con il resto della comunità che le accusava. Per questo ho scelto come tema il sangue, emblema di vita e morte, di sacralità e profanazione, capace di rivelare le paure che determinavano da una parte la stereotipizzazione della strega (donna, anziana, povera), dall’altra il fatto che chiunque poteva essere accusato di maleficio, cioè di usare mezzi occulti per recare danno alla comunità.

Qualsiasi corpo, potremmo dire, ha il potenziale per la magia, per accogliere spiriti, per rivolgersi contro la società; ma alcuni corpi, quelli più visibilmente aperti e trasgressivi, luoghi del parto e dell’aborto, dell’allattamento, del flusso mestruale, manifestano maggiormente questa caratteristica. Se nella norma culturale dell’epoca moderna, una donna risponde al suo compito crescendo e nutrendo infanti, grazie alla medesima corporeità una strega stravolge la regola allevando ibridi teriomorfi, demoni in forma di animale.

Dato che un corpo da solo non parla (ma si espone) per ascoltarlo, ho scelto un approccio interdisciplinare alla materia studiando i processi e la storia della medicina e rivolgendomi all’antropologia per spunti immaginativi e comparativi. Tuttavia se mi si chiede quale sia il mio campo di indagine, anche un po’ provocatoriamente non rispondo la storia, ma il folklore.

Del resto una strega è solitamente pensata quale retaggio superstizioso, intriso dell’ignoranza del popolo; e il folklore tutto viene considerato studio minore, che non incide sulle grandi vicende umane e occidentali. Davvero? Mi sento di rivendicare con un certo orgoglio questa vocazione minoritaria a occuparsi delle culture subalterne come intuì Antonio Gramsci, delle storie di chi la storia non l’ha scritta, ma subita, di chi ha lasciato il suo nome in un documento processuale quale vittima innocente della follia persecutoria e, infine, delle emozioni e dei sentimenti che nutrono le credenze folkloriche, che tracciano un sentiero fra i saperi intellettuali di un’epoca e l’epoca successiva che li smentisce, relegandoli a errori e inganni popolari.

Cosa, se non la nostra capacità di sentire e immaginare il nostro essere al mondo, influisce sulle relazioni che intratteniamo, sull’appartenenza o il rifiuto sociali? Il folklore è la grande e molteplice storia tramandata in gesti, in rivoli, in parole sussurrate come incantamenti, di come il popolo racconta l’altro e sé stesso, di come affronta il vivere, l’inevitabile terrore della perdita, la speranza di un qualche riscatto qui o altrove.

Senza addentrarsi in una difesa della tradizione popolare, basterebbe ricordare che nel Seicento, secolo della rivoluzione scientifica, decine di migliaia di persone venivano giustiziate per il crimine inesistente della stregoneria. Cosa valgono, oggi, le loro vite? Come testimoniarle? Rispondo che valgono moltissimo. Lo valgono per la loro innocenza ieri e oggi, in un quadro contemporaneo dove lo stesso stigma, le stesse condanne si ripetono per chiunque trasgredisca i confini dati – culturali, religiosi, geografici, politici.

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Per testimoniarle ci invito ad accogliere l’ombra invece dei lumi, a sentire la paura e l’emarginazione di queste figure e dei loro corpi come nostre, e accettarle con gratitudine. Perché è così che inizia il sentiero verso la dignità dell’altro che ha, sorprendentemente, il nostro stesso volto – unico, solitario, desideroso di coralità e, infine, senza nome.

Il famiglio della strega Francesca Matteoni

L’AUTRICE E IL LIBROFrancesca Matteoni, poeta, storica e folklorista, collaboratrice delle riviste L’indiscreto e Nazione Indiana, è autrice di libri di poesia fra cui Artico (Crocetti, 2005), Acquabuia (Aragno, 2014), Ciò che il mondo separa (Marcos y Marcos, 2021), del romanzo Tutti gli altri (Tunué, 2014) e Tundra e Peive (Nottetempo, 2023), delle fiabe Io sarò il rovo. Fiabe di un paese silenzioso (effequ, 2021) e del saggio Dal Matto al Mondo. Viaggio poetico nei tarocchi (effequ, 2019).

Il famiglio della strega, edito originariamente da Aras Edizioni nel 2014, torna ora per effequ riportando un’accurata ricerca intorno alla figura della strega, a partire dal sangue

Se si pensa agli animali che accompagnano le streghe l’immaginario è chiaro: gatto nero, corvo, talvolta un rospo o una capra. Si pensa meno, tuttavia, al motivo per cui a una strega venga sempre associato un animale, e che ruolo questo abbia nella vita della strega. Si dice che siano servi, amanti, emissari del demonio tanto quanto lo sono le loro padrone, e la connessione tra i due esseri avviene col sangue.

Ed è proprio il sangue a fare delle streghe – e non ci si lasci confondere dalla desinenza femminile: le streghe sono e sono state di tutti i generi – un ibrido pericoloso, molto più spaventoso dei suoi colleghi ultraterreni, talmente inquietante da essere cacciata, arsa, torturata in molteplici forme diverse. Il sangue rivela, in una strega, il sangue cela, cura oppure maledice. In una ricerca ricca di bibliografia e di potenza storica, Francesca Matteoni ripercorre la storia di una figura magica il cui più grande peccato, forse, è l’eccessiva umanità.

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