“Il Brutto Anatroccolo è una di quelle fiabe che più mi accompagna da sempre: la nostra storia è iniziata quarant’anni fa, quando da un’anziana del paese paterno mi fu regalato un albo illustrato con la versione ridotta” – In occasione dell’uscita del libro “Io sarò il rovo”, su ilLibraio.it la riflessione di Francesca Matteoni (poeta, storica e folklorista) dedicata a una fiaba simbolo della ricerca di identità, dell’accoglienza e dell’incontro con l’altro

Sono sempre stata convinta che le fiabe ci consegnino la verità. Perché nelle fiabe non si nasconde che ogni conoscenza o crescita avviene tramite un iniziale spossessamento che può coincidere con una metamorfosi, un esilio, la necessità di recarsi altrove o la volontà di abbandonare il luogo natio per vagare in cerca di qualche mistero.

Bisogna avere il coraggio (o la sventura) di perdersi per scoprire qualcosa di sé, perfino rischiando di non trovarsi mai del tutto, suggeriscono le immagini e le parole delle fiabe. Fedele a questo monito nella mia scrittura, sia poetica sia narrativa, ho costruito Io sono il rovo. Fiabe di un paese silenzioso, cercando di entrare dentro la trama fiabesca filtrandola con la mia esperienza, stravolgendo gli archetipi in una sorta di mitologia personale, da cui provare a toccare gli altri.

Il Brutto Anatroccolo è una di quelle fiabe che più mi accompagna da sempre: la nostra storia è iniziata quarant’anni fa, quando da un’anziana del paese paterno mi fu regalato un albo illustrato con una sua versione ridotta.

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H.C. Andersen aveva probabilmente affidato a questa fiaba e a La Sirenetta la riscrittura emotiva della sua autobiografia, facendone due elogi della diversità: la sirena, tuttavia, ottiene il riscatto solo nell’estraniamento finale, mentre l’anatroccolo ha la possibilità di conoscere il suo posto in questo mondo affrontando prove estreme.

Ho sofferto per il primo destino dell’anatroccolo, che nasce nel posto sbagliato, viene deriso e aggredito dagli animali dell’aia e infine cacciato da coloro che credeva sua madre e i suoi fratelli. Costretto a migrare, vede la morte improvvisa di altri suoi simili cacciati dall’umano, conosce le asperità delle stagioni, si smarrisce nelle lingue e nei gesti goffi di bambini tanto premurosi quanto potenzialmente pericolosi, riceve consigli non richiesti da una gallina e un gatto che sembrano saperla lunga, ma sono soltanto crudeli. Nessuna compassione: l’abbraccio del mondo come la morsa mortale del ghiaccio. Troverà mai, mi chiedevo, qualcuno che lo ami?

Sappiamo che infine l’anatroccolo diventa un bellissimo cigno: incontra sé stesso. Ma perché ciò avvenga deve prima attraversare molte morti, abbandonare strati della sua persona ancora misteriosa, sentirsi colpito nei sogni che si fanno illusioni. Immaginiamo che quelle morti siano ogni volta definitive: ogni volta l’anatroccolo viene respinto. Cosa cresce in lui, mentre il mondo lo tradisce? Disperazione, frustrazione, rabbia? Potrebbe inasprirsi fino a chiudersi ai sentimenti. Perché quando proviamo a decostruire la fiaba, tralasciando per un po’ il finale positivo, ciò che incontriamo è una fiducia riposta nel viaggio intrapreso, che viene continuamente spezzata. Quando ogni desiderio di comunità verrà distrutto non sarà poi così importante che all’interno dell’anatroccolo si prepari la rivelazione di un cigno.

Ecco, il valore della fiaba non risiede in come va a finire, ma in cosa accade nel tragitto, in cosa significa sopravvivere. Se si indurisse, scegliendo una solitudine priva del fantasma orribile dell’amore non corrisposto, sarebbe ancora un sopravvissuto? Penso di no. Avrebbe perso la sua lotta per l’innocenza, ovvero ciò che gli permette di compiersi in un adulto, proprio mentre la vita lo espone a qualsiasi bruttura. Il punto decisivo è che l’anatroccolo non scorda mai cosa sperava all’inizio: l’accoglienza. La gentilezza. Porta nella sua persona umiliata e spaventata il sogno del suo sé infantile. E forse anche questa convinzione: se io l’ho sognato, vuol dire che esiste; si tratta solo di non smettere di cercare.

Quando nel cuore della primavera si ritrova a nuotare nel lago di un parco pubblico, due splendidi cigni si dirigono verso di lui, che pensa subito al peggio: “Brutto come sono, mi uccideranno!”, si dice. Ma i cigni lo vedono per quello che è: il più nobile fra di loro. Lo riconoscono, spingendolo a specchiarsi nell’acqua. Perché noi abitiamo là dove veniamo riconosciuti.

Il Brutto Anatroccolo, simbolo della ricerca di identità, è soprattutto una fiaba sulla fiducia e contro ogni cinico senso comune. Tutto ciò che si attraversa in solitudine ci porta in salvo negli occhi di chi è in grado di vederci. Non tutti sono il nostro altro accogliente. È facile cedere all’amarezza. Eppure occorre restare fedeli al sogno infantile per proseguire la ricerca. Con umiltà, non sapendo mai abbastanza di noi. Occorre l’altro per essere a casa.

Io sarò il rovo

IL LIBRO E L’AUTRICE Francesca Matteoni, poeta, storica e folklorista, collaboratrice delle riviste L’indiscreto e Nazione Indiana, è autrice di libri di poesia fra cui Artico (Crocetti 2005), Acquabuia (Aragno 2014), Ciò che il mondo separa (Marcos y Marcos 2021), del romanzo Tutti gli altri (Tunué, 2014) e del saggio Dal Matto al Mondo. Viaggio poetico nei tarocchi (effequ, 2019).

Nella raccolta di fiabe Io sarò il rovo (effequ) rielabora i racconti dell’infanzia e le unisce ai suoi paesaggi, alle sue terre e alle sue esperienze, rinnovandole e vivificandole. Al fulcro di questo immaginario troviamo il rapporto d’amore e conflitto dell’umano con le altre specie, del mondo vegetale con il mondo animale, dell’uomo con la donna.

Si pensa alla fiaba come a qualcosa di innocuo, un momento di condivisione, di commiato dalla veglia al sonno. Ma la fiaba, dietro i suoi toni di sogno, nasconde esperienze, ammonizioni, anche traumi: lo sapevano bene i fratelli Grimm, Andersen, Calvino, che nella loro riscoperta non ci risparmiano alcun dolore. È una magia semplice e terrena, quella di Io sarò il rovo, e proprio per questo è impossibile resistere all’incanto.

francesca matteoni

«Un giorno questa casa sarà vinta dai rovi e i rovi cercheranno il tuo corpo. Lo culleranno, lo proteggeranno e quando arriveranno al cuore ritorneranno le tue ali, quelle che senti a volte pungere nelle scapole, quelle che fremono come piume nel respiro quando qualcuno ti ferisce e vorresti scappare, ma resti incollata al suolo». «Vorrei tanto volare, mamma. Voleremo insieme?» «Oh, questo non è possibile. Ma tu non dartene pensiero: gli angeli non hanno memoria delle esistenze terrene, ricordano la luce e l’aria che li sospinge in una danza, lassù».
«E dove sarai tu?»
«Io sarò il rovo».

L’APPUNTAMENTO AL SALONE DEL LIBRO DI TORINO – Venerdì 15 ottobre, dalle 15.00 alle 16.00 nella Sala Rosa, Padiglione 1, Francesca Matteoni presenterà il suo libro con Laura Pugno.

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