“Tito e gli alieni” non è un film sugli alieni, ma la storia di una famiglia che cerca di ritrovare nello Spazio quello che ha perduto e che non può più tornare. Ambientato nel deserto del Nevada, vicino all’Area 51, un luogo misterioso dove si dice che vivano gli alieni, il lungometraggio diretto da Paola Randi è insieme un film di fantascienza, una favola e una commedia famigliare che racconta come imparare a superare una delle nostre paure più grandi. Che non è quella degli alieni, ma quella della morte

Tito e gli alieni non è un film sugli alieni. O almeno, non come si è abituati a pensare un film sugli alieni. Quando si parla di spazio, astronavi e creature che abitano su altri pianeti, vengono subito in mente capolavori come 2001: Odissea nello spazio o film più recenti come Interstellar e Arrival. Trame “complottiste”, metafore politiche, effetti speciali stupefacenti e personaggi che hanno la missione di salvare l’umanità. Quella di Tito e gli alieni, invece, è una storia piccola, di gente sospesa, sperduta in luogo immenso: l’Area 51.

Da tempo i registi italiani (non solo di cinema, ma anche di serie) sperimentano raramente il genere della fantascienza. Salvo alcune eccezioni, la materia narrativa tipica della nostra produzione audiovisiva verte principalmente su film d’autore o commedie. Ultimamente, invece, ci si può imbattere in alcuni esperimenti di genere, tra l’altro spesso riusciti: Il racconto dei racconti di Matteo Garrone e, più recente, Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti. Meno noto ma interessante da questo punto di vista è I’m – Infinita come lo spazio di Anne Riitta Ciccone, uscito l’anno scorso, e che mescola fantascienza e horror, raccontando la storia di Jessica, una diciassettenne dai capelli viola, vittima di atti di bullismo a scuola.

Consapevole di questo contesto, la regista di Tito e gli alieni, Paola Randi, rovescia la tradizionale retorica dei film di genere, costruendo un suo singolare linguaggio cinematografico, prima di tutto dal punto di vista dell’ambientazione: la storia si svolge nel deserto del Nevada, vicino all’Area 51, un luogo misterioso, di cui molto si è detto. Ma la scena non ha nulla di ipertecnologico, anzi: è allestita come se fosse un Luna Park degli anni ’90, o una festa in maschera di carnevale. È tutto finto e scintillante, come potrebbero essere i giocattoli dei bambini, e niente sembra avere la pretesa di essere realistico, o quanto meno plausibile. Gli altri elementi che suggeriscono la volontà della regista di voler creare un film di genere senza collocarsi pienamente all’interno del canone, sono le inquadrature, come per esempio quelle iniziali, del tutto ribaltate e, soprattutto, la scelta dei protagonisti.

Al centro della vicenda c’è una famiglia: lo zio, chiamato il Professore (Valerio Mastandrea), è un uomo che trascorre le sue giornate seduto sul divano ad ascoltare il suono dello Spazio, convinto che lì potrà sentire di nuovo la voce della moglie defunta. Vive da solo, in un camper disastrato in mezzo al deserto, quando arriva improvvisamente un messaggio da Napoli: suo fratello sta morendo e lui dovrà prendere in affidamento i suoi due figli. Loro sono Anita, una ragazzina di sedici anni che da grande sogna di diventare una veterinaria, e che cura tutti gli animali con un cucchiaio di citrodosodina, e Tito, un bambino di sette anni che vorrebbe parlare un’ultima volta con il padre morto. A completare questo quadro famigliare c’è Stella, una wedding planner che organizza cerimonie per turisti e che crede nell’amore tanto quanto nell’esistenza degli alieni.

I quattro devono realizzare un progetto in cui nessuno crede più, per scoprire il mistero che si nasconde nell’universo e per provare a ritrovare quello che hanno perduto. Infatti, proprio come la Luna dell’Orlando Furioso, lo Spazio diventa il luogo dove vanno a finire tutte le cose perse ma che, a differenza dell’opera letteraria, non possono più tornare indietro.

Presentato al 35esimo TFF Torino Film Festival e vincitore del premio per la regia e migliore attore protagonista al BIF&ST 2018, Tito e gli alieni è insieme un film di fantascienza, una favola e una commedia famigliare che racconta come imparare a superare una delle nostre paure più grandi. Che non è quella degli alieni, ma quella della morte.

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