L’ultimo mese di scuola è il più importante, ma è anche il più difficile di tutto l’anno scolastico. Isabella Milani, insegnante e blogger, spiega perché. Soprattutto ai genitori…

L’ultimo mese di scuola è il più importante, ma è anche il più difficile di tutto l’anno scolastico.  Chi non frequenta le aule scolastiche non lo sa e perciò voglio spiegare perché. Soprattutto ai genitori.

Quando la temperatura si alza, si abbassano drasticamente i livelli di sopportazione un po’ di tutti.

Le scuole, si sa, sono state costruite da gente che evidentemente faceva il disegno di una scatola, lo riempiva di rettangoli/finestre e, senza il minimo criterio, disponeva all’interno aule con misure a casaccio, corridoi stretti, mini bagnetti, termosifoni enormi in aule piccole e viceversa. Al tempo della costruzione della maggioranza delle scuole italiane, a nessuno veniva in mente la possibilità che potesse essere una buona cosa il risparmio energetico, la verifica degli spazi con l’eventuale previsione di un incremento del numero di alunni per classe, l’importanza della luce. Oggi il calore che d’inverno si disperde dalle finestre (e che rende le aule gelide) è pari a quello che entra dalle fessure nell’ultimo mese (e che rende le aule torride).

La temperatura che c’è nelle classi, adesso, è terribile. Il caldo fa sudare, provoca sonno e raddoppia la stanchezza: tu, insegnante, vorresti sciabattare in zoccoli, canotta bianca e pareo azzurro intorno alla vita; i ragazzi vorrebbero stare (e spesso stanno) stravaccati a dormicchiare nella calura, appoggiati al banco, con calzoncini e torso nudo, e le ragazze vorrebbero indossare mini top e un pinocchietto a vita bassissima, e girare per la scuola esibendo il loro ombelico migliore (e spesso lo fanno).

Tutti sognano cascate di acqua fresca come quelle delle pubblicità.

Invece: noi insegnanti siamo vestiti come nonni, impettiti, come il nostro ruolo ci impone, e combattiamo (spesso sconfitti) per applicare le (giuste) disposizioni che vietano un abbigliamento discinto con ombelico al vento e mutande e reggiseni in vista.  Le porte sono aperte e le finestre spalancate nella speranza di un refolo di vento. Lo sbattere continuo e cadenzato delle porte, quando finalmente si forma la corrente, rende tutti nervosi.

Nei corridoi ragazzi stufi girano con la scusa del bisognino urgente. Ragazze urlanti escono dalla classe, rigorosamente in coppia, e scompaiono nei bagni, riempiendo l’aria di gridolini.

Dalla finestra, mentre stai facendo lezione, senti, con preoccupazione mista a fastidio, le urla strazianti di una collega inferocita. In lontananza cogli un applauso di cui non capisci il significato.

In un altro momento un collega dà di matto perché non ce la fa più ad assistere allo sfacelo generale, e urla parole incomprensibili, fra le quali emerge un “maleducato!”, uno “smettetela!”, un “basta!”, un “come faccio a darti la sufficienza?!”.

Grida di insegnante donna, rotte dallo sforzo, giungono nella tua classe, imbarazzanti e ridicole perché lasciano immaginare le vene del collo in procinto di scoppiare sotto lo sforzo, e ti fanno temere che da un momento all’altro possa consumarsi una tragedia: o la professoressa, ormai impazzita, si alza, va al banco dell’alunno scatenatore di ira e lo riempie di botte liberatrici (per essere poi arrestata); o gli alunni lanciano corpi contundenti sulla bocca della professoressa presa da isteria e la feriscono gravemente per farla tacere (per poi non essere arrestati perché viene accusata la professoressa di averli provocati). Fortunatamente non accade nulla di questo, perché tutto in qualche modo rientra sempre.

Potenti colpi sulla cattedra provenienti dalle aule circostanti segnalano la presenza di insegnanti uomini di una certa età: non hanno più neanche voglia di urlare e sperano che la paura che si spacchi la cattedra attragga l’attenzione sbigottita degli alunni e li faccia rimanere in silenzio, almeno per un attimo.

I rumori, il vociare, le urla, il volume dei video, i ragazzi che suonano e che cantano durante l’ora di musica, tutto passa attraverso le pareti di carta velina e, soprattutto, attraverso porte e finestre aperte obbligatoriamente se si vuole sopravvivere nelle classi/forno.

Le scuole sono ambienti pessimi sia per lavorare che per studiare. Tu, insegnante che ci lavori, hai regolarmente la cattedra puntata verso il finestrone senza tende di alcun tipo, sottoposto a una sorta di terzo grado continuo; e vedi gli alunni in controluce come sagome scure.

La temperatura è quasi sempre sbagliata e spiacevole: caldissimo a maggio e a giugno, e freddissimo d’inverno, o, caldissimo anche d’inverno, se ci sono i termosifoni alti e non regolabili.

Le luci sono neon che si accendono a gruppi di quattro, per cui se un neon si rompe e comincia a lampeggiare, sei costretto a spegnere tutte e quattro le luci finché gli addetti del comune non vengono a cambiarla, cosa che di solito avviene dopo parecchi giorni (se non settimane).

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I banchi e le sedie scricchiolano, si scheggiano, si rompono;  e sono tutti uguali, per i nani e per i giganti, e perciò non sono mai dell’altezza giusta; la retina portalibri di metallo dei banchi, poi, spesso impedisce alle gambe dei ragazzi alti di stare sotto e quindi li costringe a posizioni da bar. Finché non la spaccano, e se ne liberano definitivamente.

Le cattedre non sono da meno: di solito sono vecchie e senza cassetti, o con cassetti sfondati che non hanno speranza di manutenzione.

La sedia tipo della cattedra è di legno, mezza sfondata, cigolante, storta, perfettamente adatta a far venire il mal di schiena, troppo bassa o troppo alta per la cattedra. E sono tutte uguali, per i nani e per i giganti.

Gli alunni (tutti: dai più piccoli ai più grandi) non hanno più voglia di fare nulla. A volte sonnecchiano appoggiati al muro o con la testa sul banco. A volte scalpitano come cavalli sulla linea di partenza, o diventano leoni in una gabbia stretta. Sono già in vacanza, in realtà.

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Gli insegnanti non ce la fanno più: anche loro sono molto stanchi, anche loro hanno caldo (no: l’aria condizionata non c’è. Però c’è chi vorrebbe farci andare a scuola anche d’estate).

L’ultimo mese, poi, coincide con i prescrutini e gli scrutini. Tutto contribuisce a rendere insegnanti e alunni agitati.

Ecco, è in questo periodo che gli alunni vengono bombardati di interrogazioni, di verifiche scritte e di raccomandazioni dei genitori.

Ed è in questo periodo che gli insegnanti devono finire il programma, preparare gli alunni per gli esami (se li hanno), e fare le verifiche dell’ultima ora nel tentativo disperato di far saltare fuori una sufficienza che non c’è.

Cari genitori, non aspettate all’ultimo per controllare se vostro figlio studia o no. Pensateci molto prima. L’ultimo mese non studia più nessuno. Negli ultimi giorni tutto quello che avete detto e direte ai figli è inutile.

Lasciate tranquilli gli insegnanti di prendere le decisioni giuste. È già uno stress decidere di promuovere, di bocciare o di sospendere il giudizio, credetemi. Rispettate le loro decisioni. Soprattutto, ricordate che a volte una promozione non meritata alla lunga fa più danni di una bocciatura.

Cari insegnanti, cercate di capire che i genitori e gli alunni spesso non sanno che la decisione finale non è solo una media di voti. Chiarite che se lo fosse sarebbe troppo facile. E non sarebbe giusto.

All’inizio dell’anno spiegate bene ai genitori e agli alunni quali sono tutti i fattori che vi fanno decidere per la promozione o per la bocciatura. E convinceteli del fatto che una bocciatura non è la fine del mondo.

L’AUTRICE – Isabella Milani è lo pseudonimo di un’insegnante e blogger che ha trascorso la vita nella Scuola. Per Vallardi ha pubblicato L’arte di insegnare – Consigli pratici per gli insegnanti di oggi Maleducati o educati male? Consigli pratici di un’insegnante per una nuova intesa tra scuola e famiglia. Il libro parte da una premessa: oggi esiste un problema nell’educazione. Genitori, insegnanti e ragazzi sono in difficoltà. Eppure la via per uscire dal disagio c’è. Isabella Milani affronta i problemi più diffusi in famiglia, a scuola e nella società, parlando anche di cattivi esempi, conflitti, valori, passioni, diritti, doveri, senso di responsabilità, felicità, rispetto… Perché educare vuole dire tutto questo, e molto altro ancora.
Ecco il blog dell’autrice.

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