“Col passare del tempo, dialogare con lui è diventata una necessità quotidiana”: in occasione dell’uscita di “Un uomo sottile”, su ilLibraio.it la riflessione dell’autore Pierpaolo Vettori, dedicata a Daniele Del Giudice, venuto di recente a mancare

Il mio incontro, o forse dovrei dire la mia collisione, con Daniele Del Giudice è avvenuto circa tre anni fa. In una bancarella di Torino ho acquistato una vecchia copia di Atlante Occidentale. Non sapevo molto dell’autore, giusto il nome e il titolo di un paio di romanzi, ma, tornato a casa, ho deciso di dare una possibilità a quello smilzo volume. L’ho letto in un fiato, folgorato dalla straordinaria intensità e bellezza del racconto. A quel punto, desideravo conoscere qualcosa in più sullo scrittore e una breve ricerca in internet mi ha rivelato la sua malattia. In quel momento, proprio come i due protagonisti di Atlante Occidentale che si scontrano in aereo e come le particelle nell’anello sotterraneo del Cern dove uno di essi lavora, anche io ho subito un mutamento dopo lo schianto con la notizia. Subito, in maniera molto ingenua, ho pensato che avrei scritto io per lui, che avrei provato a essere la voce che non poteva più utilizzare a causa dell’Alzheimer. Non pensavo che ne sarebbe uscito qualcosa di concreto, invece, col passare del tempo, i fogli si sono accumulati sulla mia scrivania e ho capito che poteva essere l’inizio di un lungo racconto.

Il processo di avvicinamento alla scrittura non è stato semplice: non volevo entrare in un dramma privato o disturbare persone che gli erano amiche; per me, Del Giudice, che io chiamo sempre DDG proprio per sottolinearne il carattere esclusivamente letterario, è uno scrittore, un uomo che vive nella carta dei suoi libri ed era lì che volevo cercarlo. Ho cominciato quindi a imbastire una storia fatta di piccoli tasselli, un mosaico che alterna la vita di tutti i giorni del protagonista a momenti surreali o decisamente onirici che invece ruotano attorno alla figura di Del Giudice e dei suoi personaggi.

È iniziata così una strana consuetudine che mi ha accompagnato durante gli anni che mi sono occorsi per la stesura di Un uomo sottile: un dialogo immaginario tra me e DDG al quale sottoponevo i miei dubbi sui capitoli e i paragrafi immaginando le sue risposte. Col passare del tempo, dialogare con lui è diventata una necessità quotidiana, tanto che a volte ho avuto l’impressione che riflettesse assieme a me sulla struttura del romanzo.

Un uomo sottile non è una biografia e quindi si può leggere anche senza aver mai sentito parlare di Daniele Del Giudice.

È la storia di un uomo che, nonostante i problemi che assillano la sua vita privata, decide di indagare su uno scrittore che non scrive più, come se si fosse prosciugato a poco a poco, sbiadendo nel nulla. La malattia della moglie, che le provoca una perdita della memoria, fa da controcanto all’inafferrabilità di DDG, che sembra sempre sfuggire ad ogni tentativo di definizione. Non è stato semplice mettere la parola fine al termine del romanzo, perché mi sembrava di troncare un’amicizia che viveva solo nell’atto dello scrivere.

Daniele Del Giudice da un paio di mesi ci ha lasciati davvero, ma DDG continua ancora a farmi visita ogni tanto. Come spesso capita in queste occasioni, adesso che non c’è più, sembra sia possibile tornare a parlare di lui e dell’importanza capitale che la sua parca produzione rappresenta nel panorama letterario italiano. Proprio la collisone che apre Atlante Occidentale tra Ira Epstein, uno scrittore, e Pietro Brahe, uno scienziato, ci porta al nocciolo del suo pensiero. In maniera quasi profetica, Del Giudice aveva capito che il mondo stava cambiando e che i nuovi oggetti che ci circondano, legati alla fisica quantistica o al digitale, avevano bisogno di un linguaggio diverso per essere descritti.

Il mondo analogico lascia il passo a un universo contro-intuitivo, dove il narratore influenza i fatti che tenta di descrivere proprio come lo scienziato modifica lo svolgersi di un esperimento con lo stesso atto dell’osservare. È necessario dunque portare a collidere lo scrittore e lo scienziato in modo da far nascere un nuovo modello espressivo capace di rendere conto della modernità. Del Giudice ha aperto una strada che lui stesso non ha potuto percorrere fino in fondo. Adesso, forse, è il momento di riprendere il discorso dal punto in cui lo ha interrotto.

pierpaolo vettori

L’AUTORE E IL LIBRO – Pierpaolo Vettori (Venaria Reale, 1967) è stato finalista per due edizioni al Premio Calvino e ha esordito con La notte dei bambini cometa (Antigone, 2011), seguito pochi mesi dopo da Le sorelle Soffici (Elliot, 2012). Dopo La vita incerta delle ombre (Elliot, 2014), nel 2018 esce per i tipi di Bompiani il suo quarto romanzo, Lanterna per illusionisti. L’anno successivo, la stessa casa editrice decide di ristampare La notte dei bambini cometa in edizione tascabile. Laureato con una tesi sulla Swinging London, è fabbro di professione e per diversi anni si è occupato di musica.

Ora torna in libreria con il romanzo Un uomo sottile (Neri Pozza), opera vincitrice della V edizione del Premio Nazionale di Letteratura Neri Pozza: un romanzo dove il narratore è alla ricerca di un fantasma, di un uomo che non ha mai visto e che da anni ormai è chiuso in un istituto di Venezia, colpito da una grave malattia degenerativa.

Si tratta di uno scrittore, ridotto ormai a una vita assente, privo di memoria, dimentico di chi è stato e di cosa ha rappresentato. Il narratore lo cita solo con il suo acronimo, DDG, ma è evidente si tratti di Daniele Del Giudice, di lui ha letto e riletto tutto quello che ha scritto. E in una sorta di sfida impossibile con il destino prova a ritrovarlo, a dargli ancora consistenza, consapevolezza: raccontando una storia che è fatta delle storie nei libri di DDG, delle sue trame.

Ma il protagonista di Un uomo sottile non dialoga soltanto con i personaggi dei romanzi di DDG, racconta anche una storia privata: quella della malattia e della guarigione della moglie. Una guarigione invece impossibile per DDG che alla fine il narratore deciderà di andare a trovare a Venezia, dove è ricoverato da anni. Oserà aprire la porta di quella stanza quando se la ritroverà davanti? E come dice il poeta: oserà turbare l’universo?

Con uno stile consapevole, misurato, in un gioco di scatole cinesi, questo romanzo ci mette in contatto con il mistero dell’identità, con la chiaroveggenza della letteratura, con il miracolo dei romanzi che in una forma inaspettata finiscono per custodire la memoria di chi li ha scritti anche quando non sa più ricordarli. Un omaggio e una dichiarazione d’amore, innanzitutto, verso il potere salvifico della letteratura.

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