“Vestiti Musica Ragazzi” è l’autobiografia onesta e, a tratti, dura di Viv Albertine, leader delle Slits e tra le fondatrici del punk inglese degli anni ’70. Leggerla vuol dire lasciarsi trasportare in un mondo che, pur essendo passato, continua a permeare con forza la nostra contemporaneità. L’artista ci ha concesso un’intervista a tutto campo: “Essere punk oggi? Noi siamo cresciuti in tempi molto meno capitalistici e consumistici. Oggi, là fuori, ci sono ancora pittori, artisti, musicisti e attivisti che vivono con quasi niente e non aderiscono al capitalismo, ma il consumismo è diventato così pervasivo da essere molto più difficile da schivare…”. La cantautrice e chitarrista tocca diversi temi: “Ci sono così tantissimi modi diversi di essere femministe. Io ho cercato di sfidare l’ortodossia che imponeva un unico modo di essere donna fin da quando ne ho avuto coscienza, quindi intorno ai tredici anni. Ci sono, però, così tante cose che non ho fatto, o perché mi sentivo troppo debole o troppo stanca o addirittura troppo poco istruita per combattere. Sono felice che ci siano donne diverse, capaci di sfidare ogni tipo di oppressione. Una sola persona non può fare tutto né essere la femminista perfetta…”

Nel settembre 1979 usciva Cut, album d’esordio delle Slits, gruppo punk inglese dalla formazione – eccezionalmente – tutta femminile. Sulla cover, i corpi seminudi delle componenti: Tessa Pollitt, Ari Up e Viv Albertine. Quell’immagine, da sola, aveva dentro una storia fatta di femminismo, ribellione, anticapitalismo e scelte controcorrente. Di tutte queste cose ha raccontato Viv Albertine nel suo memoir Vestiti Musica Ragazzi (Blackie Edizioni, traduzione di Paola De Angelis).

Viv Albertine, oltre a chitarrista delle Slits, è stata una delle fondatrici del punk e protagonista di alcuni dei momenti cardine della musica degli ultimi decenni. Per questo, il suo libro non è solo il racconto di una vita, ma anche – e forse soprattutto – l’essenza del punk, dell’Inghilterra anni ’70 e della musica.

Noi Viv Albertine l’abbiamo intervistata: vi lasciamo qui le sue risposte che, come immaginavamo, sono potenti come un viaggio.

Viv Albertine Vestiti Musica Ragazzi

“Chi scrive un’autobiografia o è un cretino o è al verde. Io sono un po’ tutte e due le cose”. Bene, la premessa sembra chiara. Ora, escludendo queste due motivazioni, qual è stato il perché da cui è nato questo libro? Cosa l’ha spinta a scrivere di lei?
“Sentivo di aver dato un contributo significativo alla cultura popolare, ma sapevo che nessuno ne avrebbe scritto, quindi dovevo farlo da sola. Sentivo di avere una storia più profonda da raccontare sui tempi del punk dal punto di vista di una donna. Inoltre, pensavo che il mio libro sarebbe potuto essere utile ai più giovani, dal momento che la mia vita è stata piena di fallimenti ma, nonostante questi, ho continuato a rialzarmi”.

Il “suo” punk era musica, sì, ma era anche – e forse soprattutto – attivismo della classe operaia, inclusione, “vestiti”, simboli e rifiuto di capitalismo e consumismo. C’è ancora qualcosa o qualcuno che oggi, nel 2023, lei definirebbe “punk”?
“Credo che oggi si debba essere abbastanza vecchi per essere chiamati punk! Noi siamo cresciuti in tempi molto meno capitalistici e consumistici. Oggi, là fuori, ci sono ancora pittori, artisti, musicisti e attivisti, che vivono con quasi niente e non aderiscono al capitalismo, ma il consumismo è diventato così pervasivo da essere molto più difficile da schivare; entra nella testa. Eppure, ci sono persone che rifiutano tutto questo quasi completamente, come l’attivista ‘Swampy’. e probabilmente molti altri di cui non ho sentito parlare perché non vengono raccontati”.

Viv Albertine Slits

Courtesy of Viv Albertine

Yoko Ono, Vivienne Westwood, Patti Smith. Questi sono stati alcuni dei modelli di donna cui si è ispirata. Chi crede possa rappresentare un modello femminile per le giovani donne di oggi?
“Le donne d’ispirazione, oggi, si notano meno rispetto a quando ero giovane io, perché allora era tutto estremamente conformista: se una donna era diversa in qualche modo, se andava contro lo status quo anche solo un po’, si distingueva lontano un miglio! Dunque, è una cosa positiva che oggi tante donne facciano cose che non avrebbero potuto fare quando ero giovane io, come giocare a calcio o comprare una casa senza la firma di un uomo, o persino presentare un telegiornale. Ci sono così tanti modi in cui le donne sono coraggiose al giorno d’oggi, ma vengono anche criticate per questo, perché non si può sparire e smettere di essere reperibili come facevamo noi. Io non avevo nemmeno il telefono. La grande seccatura che ho vissuto da giovane è stata la minaccia di pericolo fisico quando ero per strada perché ‘non sembravo una ragazza’. In più, era pesante l’atteggiamento dei coetanei nel mondo della musica, che non ci prendevano sul serio e non ci davano alcuna possibilità. Gli uomini non guardavano nemmeno le donne quando parlavano. Non sto dicendo una bugia!”.

“La musica portò la guerra in Vietnam dentro le nostre camerette. Le canzoni che arrivavano dall’America ci facevano interessare alla politica; erano lezioni di storia in formato piacevole e interessante”. Qual è stato il più grande insegnamento che le ha lasciato la musica?
“Credo che mi abbia fatto interessare a un mondo più ampio, dato che all’epoca l’Inghilterra era miope e chiusa in se stessa. È grazie alla musica che ho sentito parlare delle guerre, delle proteste e dell’oppressione perpetuata in altri Paesi. A casa non avevamo la televisione, la mia scuola era pessima e non avevo una grande istruzione, ma sono sempre stata attratta da musicisti politicamente consapevoli, con una coscienza. Inoltre, mi interessavo di tutti i tipi di musica e dei Paesi da cui provenivano. Grazie ai Beatles, agli Stones e ai musicisti sperimentali degli anni ’60 ho conosciuto gli artisti più originali, provenienti dall’India fino al Nord America. Poi, quando ho iniziato a fare tournée con le Slits e a visitare altre nazioni, ho avuto modo di incontrare musicisti sudamericani, maori e africani – da Don Cherry a Fela Kuti e Sun Ra – e sentirli suonare dal vivo”.

Viv Albertine Vestiti Musica RAgazzi

Courtesy of Viv Albertine

Johnny Rotten ha detto: “Uno dei principali aspetti del punk fu che le ragazze si alzarono in piedi e diventarono pari ai ragazzi, e questo cambiò il mondo”. Dalla copertina di Cut al suo modo di fare musica fino alla vita privata, qual è stato, dal suo punto di vista e pur non amando le etichette, il gesto più autenticamente femminista che lei abbia mai fatto?
“Ci sono così tantissimi modi diversi di essere femministe. Io ho cercato di sfidare l’ortodossia che imponeva un unico modo di essere donna fin da quando ne ho avuto coscienza, quindi intorno ai tredici anni. Ci sono, però, così tante cose che non ho fatto, o perché mi sentivo troppo debole o troppo stanca o addirittura troppo poco istruita per combattere. Sono felice che ci siano donne diverse, capaci di sfidare ogni tipo di oppressione. Una sola persona non può fare tutto né essere la femminista perfetta”.

Io sono nata negli anni ‘90 e spesso, leggendola, ho avuto l’impressione che il suo fosse un mondo davvero molto lontano dal mio. Com’era il mondo degli anni ‘70? In cosa era diverso da quello di oggi?
“La pandemia ha avuto, in un certo senso, l’atmosfera degli anni ’70. Allora era tutto molto più tranquillo. Non c’erano molte opportunità per le classi lavoratrici (tranne che nelle arti, che sembravano quasi più accessibili alle classi lavoratrici di quanto non lo siano ora). C’era, invece, una paura terribile di non avere abbastanza soldi per vivere, di non avere abbastanza cibo. Gli anni ’70 sono stati brutali, violenti. Io ero sempre per strada. Ho vissuto per strada. Conosco tutta Londra solo per aver camminato e preso l’autobus alla ricerca di qualcuno, in giro. Era il mio modo per far passare le giornate. Non c’era molto divertimento se non avevi soldi. Gli anni ’70 non erano così per tutti, solo per i poveri. Per chi non si adeguava ed era anche povero era ancora peggio. I negozi erano tutti chiusi. Nessuno prendeva sul serio i giovani. Ma, nonostante tutto, c’era così tanta libertà in quell’essere disprezzati e ignorati! A me piaceva essere un’outsider, anche se era difficile. Non mi interessava comprare cose costose, rifiutavo deliberatamente tutto quel conformismo. La controcultura era palpabile, potevi toccarla, farne parte. Potevi camminare per strada e salutare con un cenno del capo qualcuno che portava con sé un album che rappresentava il suo modo di pensare. Tutto ciò che era diverso si distingueva, non veniva fagocitato dal consumismo o adottato dai politici come una buona causa. Ci sono voluti anni e anni perché qualcosa di nuovo venisse accettato. Il punk ha impiegato circa trentacinque anni prima che la gente lo capisse”.

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Courtesy of Viv Albertine

Lei ha visto i Sex Pistols suonare alla Scuola d’Arte di Chelsea in uno dei loro primissimi concerti. C’era quando sono nati i Clash e ha fatto parte di una delle band femminili più importanti del punk. Insomma, c’era in alcuni dei momenti fondanti della musica punk rock inglese. Quando si è resa conto – se lo ha fatto – di essere stata parte attiva della storia della musica? Come ci si sente?
“Ricordo di essermi seduta sul pavimento del mio squat a West London ad ascoltare il disco di Patti Smith, Horses – sarà stato all’inizio del 1976 – e di aver pensato che non era giusto: non conoscevo tutte quelle arty people interessanti come lei, con cui poter uscire. Poi mi sono guardata intorno e nella stanza c’erano Sid Vicious e Paul e Mick dei Clash e ho pensato: ‘Mi chiedo se siamo noi le persone interessanti’. Non ci credevo davvero, ma è stato allora che ho pensato per la prima volta che qualcosa potesse accadere davvero”.

Bonus domanda frivola: il suo libro è una sorta di compilation della sua vita, fatta di brani straordinari. Ma qual è il suo guilty pleasure musicale? Una canzone che canta sotto la doccia e che non ci aspetteremmo mai da lei?
“Non c’è nulla di guilty, ma io AMO i Motowns. Riesco a ricordare ogni singola parola di tutte le canzoni dei Motowns uscite negli anni ’60 e ’70. Spesso penso che se mi avessero insegnato la matematica o la storia con quelle canzoni avrei ricordato il teorema di Pitagora e le date di tutte le battaglie e le rivolte! Adoro anche le sigle televisive smielate, tipo Vita da strega, The Dick Van Dyke Show, Take Three Girls e I Flintstones – abbiamo avuto la tv così tardi che ne ero entusiasta”.

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Courtesy of Viv Albertine

Nelle ultime pagine di Vestiti Musica Ragazzi racconta che il viaggio della sua vita è “come un cerchio, come se stessi procedendo intorno a una sfera, a un’arancia”. Dalla scrittura di quelle pagine sono passati dieci anni. A che punto del cerchio si sente oggi? Come sta?
“Per molti versi sono più forte e più sicura di me, perché il libro è stata la prima cosa che io abbia mai fatto capace di toccare le persone fin dalla sua prima uscita. Le Slits erano in anticipo sui tempi, quindi siamo state davvero apprezzate solo ora. Oggi il nostro primo disco, Cut, è nella top 50 di tutti i tempi della Island Records e di Rolling Stone, ma quando uscì non lo era. L’età e le mie esperienze mi hanno resa più fragile, per certi versi; ero così impavida quando ero giovane. Mi sentivo invincibile!”.

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