Ilaria Gaspari inizia su ilLibraio.it una serie di riflessioni legate ai vizi capitali. E parte dall’accidia: “Si potrebbe pensare che somigli alla pigrizia, e invece è proprio il suo opposto…”. Citando Dante, Evagrio Pontico, Petrarca e il cinema di Jim Jarmush, la scrittrice osserva: “L’accidia è la tentazione all’insoddisfazione, a lasciar andare tutto senza concludere niente (…). È una sorta di onanismo masochistico, o di masochismo onanista; è un vizio da artisti. E richiede tempo…”

Non esistono più i vizi capitali di una volta.

L’accidia, per esempio. Nel IV secolo, da un monastero in mezzo al deserto egiziano Evagrio Pontico, asceta, la chiamò il ‘demone del mezzogiorno’. La immagino come un enorme corvaccio nero che plana su una plaga riarsa, quando le ombre sono corte e il sole è a picco, e i profili delle cose sono chiari. Ma il demone di mezzogiorno con le sue alacce spropositate il sole lo oscura, si fa un buio di pece e il deserto si trasforma nella palude stigia, dove Dante caccia i suoi accidiosi invisibili, conficcati nel fango in una perpetua apnea punteggiata di sospiri: sotto l’acqua è gente che sospira.

Evagrio Pontico ha descritti i sintomi dell’accidia con un realismo psicologico che fa venire i brividi. Gli occhi che al minimo rumore si sollevano dalla pagina di un libro, corrono alla porta, immaginano visitatori invisibili. La sonnolenza che coglie l’accidioso ogni due per tre, non importa cosa stia facendo. La tristezza di quella noia che non trova sollievo; come sospesa nello stato di blanda tensione che si ha quando si sente di avere una parola sulla punta della lingua. La parola non viene, ma finché non arriva, ogni distrazione è fiacca. Il sonnellino poco profondo che, stremato dalla sua stessa inconcludenza, il povero accidioso si concede. Il sussulto del risveglio che lo costringe a tornare a occuparsi delle proprie preoccupazioni. In parole scritte mille e settecento anni fa da un monaco, tutto questo realismo fa rabbrividire.

Accidia Durer

L’incisione di Durer dal titolo Melencholia

L’accidia è la tentazione all’insoddisfazione, a lasciar andare tutto senza concludere niente; secondo Evagrio assalta la sua vittima proprio sul più bello, quando il lavoro è già avviato, quando è il mezzogiorno. Si potrebbe pensare che somigli alla pigrizia, e invece è proprio il suo opposto. La pigrizia è un’inerzia dolce e carezzevole, è il piacere di non fare niente – l’accidia, tutto al contrario, è un tormento, una frenesia grottesca perché inconcludente. La pigrizia può essere piacevole, l’accidia fa di tutto per non esserlo mai – è forse per questo il più bizzarro fra tutti i vizi capitali. A differenza di tutti gli altri, non conosce soddisfazione; o meglio, la sua sola soddisfazione possibile è l’insoddisfazione. È un supplizio di Tantalo in forma di vizio.

Proprio perché la sua unica soddisfazione è nel vedersi fallire continuamente, l’accidia porta a sdoppiarsi e a contemplarsi. Richiede molto tempo e introspezione, la pratica dell’accidia; potrebbe permettere all’accidioso di auscultarsi e rappresentarsi con meravigliosa precisione, se solo la precisione non richiedesse cura e pazienza – quel che l’accidia aborre. È una sorta di onanismo masochistico, o di masochismo onanista; è un vizio da artisti.

Drugo del Grande Lebowski

Drugo ne “Il Grande Lebowski”

Petrarca, con esemplare civetteria vittimistica, si dipinse come un grande accidioso nel Secretum. Anche lui enumerò una serie di sintomi di questo male; e insieme, con una riluttanza dolorosa e impaziente, ammise di subirne l’incanto. Forse in questo autoritratto compiaciuto dell’artista in posa da accidioso possiamo rintracciare i segni del destino del demone del mezzogiorno: un tratto nichilistico di sprezzatura, perfetto per figure di dandy o flâneur – difatti la letteratura decadente pullula di accidiosi.

L’accidia è un vizio bello da guardare e da esplorare. È tremenda da coltivare: coltivare un vizio richiede una certa dedizione, e l’accidia rifugge per l’appunto da costanza e impegno – un altro dei piccoli paradossi che la rendono così tormentosa. È un vizio piuttosto statico, e introspettivo: il tipico movimento accidioso oscilla fra inutili spasmi centrifughi e trascinata immobilità. Nell’immobilità da accidia chiaramente c’è uno struggimento di moto, nel movimento uno struggimento di inerzia. Ogni stato contiene l’opposto; o almeno lo desidera, lo cerca. Per questo l’accidia viene bene in fotografia o in quadro, ma benissimo al cinema. Il Drugo del Grande Lebowski è un grande accidioso irresistibile, in ciabattone e capelli sporchi; involontario (forse) maestro di accidia in un film che a me è sempre piaciuto ma non sono mai riuscita a vedere fino alla fine, per quanto ci abbia provato – il fatto è che l’accidia, come gli sbadigli, è contagiosa.

Eppure, non mi stancherei mai di trascinarmi a vedere l’accidia al cinema: soprattutto in quei film, come Only lovers left alive di Jim Jarmush – ingiustamente sottovalutato e criticato per la pretesa noia – che riescono a riprodurne il meccanismo ma con sottile, delicata, apatica ironia. Per esempio, nella storia di due vampiri che scontano la più tremenda ma anche la più dolce maledizione per un accidioso: l’eternità. Un mezzogiorno perpetuo in cui, nonostante gli stratagemmi di procrastinazione che l’accidioso moderno ha a disposizione a bizzeffe, non arriverà mai quel momento cui il masochismo di questo raffinato vizio capitale aspira e che allo stesso tempo cerca di sfuggire, in una sfida inutile e già perduta: il momento in cui è troppo tardi.

etica dell'acquario

L’AUTRICE – Ilaria Gaspari, classe ’86, si è diplomata in Filosofia alla Scuola Normale di Pisa ed è al debutto nel romanzo per Voland con Etica dell’Acquario.
Qui i suoi articoli per ilLibraio.it.

ilaria gaspari

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