Giorgia Tolfo racconta su ilLibraio.it il suo rapporto con la lettura e parla del suo esordio, “Wild Swimming”, tra romanzo e memoir, un “libro personale che contiene tanti altri libri, un libro che è il tentativo di trovare un ordine nel disordine, una direzione a cui tendere, imparando a lasciarsi andare quando non si è sicuri”. Che “cerca di indagare quel residuo intraducibile che caratterizza la vita quando è divisa tra più lingue…”

Tra i cinque e dieci anni, a fine degli anni Ottanta e poco dopo il divorzio dei miei, per una serie di ragioni che non ho mai chiarito del tutto, pur avendoci provato a lungo, ho vissuto con le mie nonne materne (nonna e bisnonna).

Pur muovendomi a passo di danza tra l’una e l’altra sulle tracce di un vecchio disco dello zecchino d’oro e intrattenendole prendendo da loro ordini immaginari di articoli di cartoleria, che riponevo poi con cura in una ventiquattr’ore ereditata dal nonno morto molto prima della mia nascita, di quegli anni ho solo pochi ricordi: indiani di plastica che prendevano vita negli armadi, viaggi all’isola dei gabbiani, un importante mistero da risolvere a Victoria Station.

In quel precoce disorientamento esistenziale, favorito dallo sformarsi e ricombinarsi delle vite affettive dei miei genitori e acuito da una indole solitaria, il mio vero rifugio, prima ancora che le nonne, erano le storie. Storie che mi permettevano di evadere dalle complessità dei rapporti familiari, di sognare, di impegnarmi in qualcosa che ritenevo importante, come la soluzione di un mistero. Disinteressata alla tv, il tempo lo passavo tra i libri, o in giardino a rivivere le avventure contenute nei libri.

Avrebbe potuto essere una fase passeggera, ma durante l’adolescenza, mentre le mie coetanee trovavano nei primi amori e nelle boy band nuove ragioni di vita, di nuovo io le ho trovate nei libri. Così eccomi a quindici anni a organizzare una serata di letture omaggio a Jane Eyre accompagnate da una selezione di dipinti dell’epoca in una chiesa di Bassano del Grappa, a sedici seduta sotto una palma durante un viaggio studio in California a leggere Dracula mentre le mie compagne di viaggio discutono il gusto dei preservativi portati di nascosto dall’Italia, a diciassette a immaginare una carriera da drammaturga e a soffrire con Emma Bovary e Anna Karenina per il loro sentimento incompreso.

Disinteressata a interagire direttamente col sesso opposto, nonostante formalmente mi ci sforzassi pure, il tempo lo passavo di nuovo principalmente con i libri, a “sentire” e analizzare le emozioni descritte nei libri e questo cominciava a complicare il confine tra realtà e finzione. Non certo per l’incapacità di comprendere la differenza tra realtà fisica e immaginata, ma perché la risposta emotiva a quest’ultima sembrava indicarmi, su di me e il mondo che mi circondava, qualcosa che consciamente stavo ancora cercando di elaborare.

Potevo lasciare irrisolto quel mistero? Certamente no, così eccomi a diciott’anni a Bologna, a scoprire Tondelli, Baldwin, Winterson, Audre Lorde, a studiare letteratura inglese e russa prima, e postcoloniale poi, a passare le notti in cineteca e nelle piazze a chiacchierare, a frequentare i primi locali queer, a trovare il mio branco, a trovare il primo amore, a scrivere sulle prime riviste.

In questi anni trovo le tecniche e gli strumenti per entrare nei libri, comincio a scomporre le storie, a scoprirne i meccanismi, ad astrarre le regole, a creare connessioni. Ora mi interessano la vita reale, il contatto con l’Altro, il mondo fuori dalla mia bolla. Continuo ad amare le storie, ma adesso guardo anche alle parole con cui sono costruite, il loro ordine, la loro scelta. Inizio a leggere regolarmente in più lingue, a scoprire il residuo intraducibile, lo scarto esperienziale incolmabile della traduzione. Finisco gli studi, finisco un dottorato, finiscono le opportunità, mi trasferisco a Londra.

Giorgia Tolfo nella foto di Robin Christian

Giorgia Tolfo nella foto di Robin Christian

Ed eccomi quasi nove anni dopo il mio arrivo a Londra, di nuovo senza coordinate, disorientata, incapace di decidere in che direzione muovermi. Non solo fisicamente, ma anche emotivamente. Mi fermo, prendo tempo, come una preda sto immobile nel mio nascondiglio, incontro persone sconosciute. La mia unica reale compagnia, di nuovo i libri.

Ritorno ai miei amori, a Ernaux, a Baldwin, a Sebald, leggo testi sperimentali, testi frammentati. Intuisco qualcosa. Intuisco che non posso cercare di controllare tutto, che non c’è scelta giusta o sbagliata, né in amore, né riguardo a dove e come vivere, che il passato continuerà a presentarsi nel presente, che possiamo intestardirci a sciogliere i nodi, ma bisogna imparare a lasciar anche andare. Ci muoviamo nella vita nuotando, con o contro la corrente. Decido di fare un nuovo passo, uno importante: smettere momentaneamente di scrivere di altri libri e provare a scrivere il mio.

È così che nasce Wild Swimming, un libro personale che contiene tanti altri libri, un libro che è il tentativo di trovare un ordine nel disordine, una direzione a cui tendere, imparando a lasciarsi andare quando non si è sicuri. È un libro sull’amore, su come ho scoperto l’amore, come mi ha ferita, come mi ha guarita, come la sua concezione è evoluta e come questa trasformazione sia stata resa possibile anche vivendo divisa tra due lingue, dove amore/amare e love/to love possono assumere contorni diversi. È un libro che cerca di indagare quel residuo intraducibile che caratterizza la vita quando è divisa tra più lingue, quando ogni giorno ci si confronta con la moltitudine di sé che ci compone.

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Ho iniziato a scrivere per frammenti: ricordi, desideri, proiezioni, riflessioni. Li ho spostati, riordinati, espansi, ridotti e redatti. Ho cercato di raccontare una verità emotiva, senza che fosse per forza la verità fattuale. Ho espanso alcuni episodi, tagliato alcune riflessioni, aggiunto qualche rimando a libri che mi avevano colpita.

Man mano che procedevo vedevo nuove connessioni, a seconda di dove spostavo gli estratti vedevo emergere nuove figure, nuove costellazioni. Procedendo nella scrittura, accompagnata dai libri, dalle conversazioni con le amiche e grazie a un evento che racconto nel libro, ho ritrovato le coordinate, mi sono sentita meno persa ed è stato allora che ho visto la costellazione finale e mi sono fermata. Wild Swimming avrebbe potuto evolvere ancora, ma quello era il momento di chiuderlo e condividerlo in quella specifica configurazione. Una configurazione che spero abbia senso, come ha senso per me.

Wild Swimming Giorgia Tolfo

L’AUTRICE E IL SUO PRIMO LIBRO – “Più che un’educazione sentimentale, un’immaginazione sentimentale”. Così Claudia Durastanti definisce Wild swimming (Bompiani), che segna il debutto narrativo di Giorgia Tolfo.

Nata a Marostica nel 1984, l’autrice, ricercatrice e traduttrice, vive a Londra. Tolfo, che ha un dottorato in Letterature comparate e postcoloniali e che lavora tra editoria, biblioteche e archivi nazionali, ha co-fondato e co-diretto FILL (Festival of Italian Literature  in London), scritto e prodotto podcast, e ha collaborato a diversi progetti culturali internazionali.

Autrice per diverse testate, tra cui ilLibraio.it, Giorgia Tolfo esordisce con un libro a metà tra romanzo e memoir, presentato come “una esplorazione delle acque non protette del desiderio e del dolore in cui i ricordi, i legami, le letture con cui siamo cresciuti non sono più un fardello da portare sulle spalle ma una corrente invisibile capace di accompagnarci verso una nuova identità ma anche di riportarci a casa, nei ‘posti amati’ che continuano ad abitarci anche quando scegliamo di andare lontano”.

Due giorni dopo essere entrate in contatto tramite una dating app, J. e la protagonista di Wild swimming si incontrano in una stazione londinese. Sanno poco l’una dell’altra, ma hanno scambiato foto delle loro librerie lasciando che siano i loro gusti letterari a parlare. L’attrazione è subito fortissima, un tuffo dei corpi e dello spirito nella “terza sostanza misteriosa di cui è composta la vita oltre alla realtà e al desiderio”. Sì, perché incontrarsi tramite una app e poche ore dopo trovarsi insieme a letto come se si fosse aspettato quel momento da tutta la vita, vivere in una grande capitale europea dopo essere cresciuti nella provincia veneta, cercare le parole per definirci in una lingua che non è la nostra, trovare quelle per riconoscerci in libri scritti da altri, in altri tempi, in altri luoghi – anche questi sono modi per fare wild swimming, per nuotare in acque libere.

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Insieme alle due giovani donne protagoniste di queste pagine “ci immergiamo nelle profondità sottomarine dell’esistenza, dove i rumori del mondo si fanno attutiti e le domande vanno al cuore delle cose”: che cosa ci definisce? I luoghi a cui apparteniamo? Le parole con cui ci raccontiamo? O forse è invece possibile scegliere nuove appartenenze geografiche, parole nuove per sentimenti inediti?

Oltre alle relazioni, nel libro di Tolfo altri temi si stratificano, creando una mappa: l’amore inteso come verbo, love, espresso in due lingue differenti, e quindi il tema della lingua che va a dare forma a esperienze diverse. La protagonista vive infatti tra due lingue e quindi anche l’amore viene espresso, pronunciato e narrato in maniera diversa.

Altri temi sono l’incontro con l’altro, lo scambio, la mescolanza delle culture, entrare in un’altra cultura e dover riformulare e studiarne le coordinate. Il rapporto con la letteratura, che sembra essere l’unica lente possibile per potersi orientare: la letteratura come vita, che per questo sostiene e nutre la capacità di dare significato alle cose.

Nei ringraziamenti finali, che precedono le “coordinate letterarie, filmografiche e musicali”, l’autrice spiega che il “libro è nato in un momento di massimo disorientamento personale e mi ha accompagnata mentre mi affannavo a trovare coordinate più stabili. È un libro che è cresciuto e si è contratto, che è esploso e poi si è ricombinato. Se tutto tiene è grazie alla magia della scrittura che, per quanto possa sembrare un cliché, rimane lo strumento più potente e raffinato per dare senso alla vita, e soprattutto alla mia web of love, quell’insieme di persone che, vicine e lontane, da sempre mi stanno accanto, amano e ispirano”.

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Fotografia header: Giorgia Tolfo nella foto di Robin Cristian

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