Mentre nel mondo decine di migliaia di utenti già sperimentano in varie forme l’utilizzo dell’intelligenza artificiale (ChatGPT ma non solo), ci si chiede quale sarà l’impatto del rapido perfezionamento delle intelligenze artificiali, a cui tante aziende tecnologiche stanno lavorando. Una rivoluzione è in arrivo (anche) nel mondo della scrittura, dell’editoria, dell’arte, dei video, del giornalismo, dei podcast, della scuola, della comunicazione, del marketing e della creatività? E a quali conseguenze potrebbe portare? Mentre non mancano rischi e dubbi (dalla salvaguardia del diritto d’autore a quella dei posti di lavoro, senza dimenticare i costi altissimi), ci si divide, come sempre in questi casi, tra apocalittici e integrati, e big tech come Google (che vede a rischio il modello di business del suo motore di ricerca, finora leader) e Microsoft si sfidano. Mente Elon Musk…

Altro che Clubhouse… altro che Metaverso: se dall’universo digitale (e non solo) è in arrivo una vera nuova rivoluzione, questa molto probabilmente sarà rappresentata dal rapido perfezionamento delle intelligenze artificiali. E no, stavolta difficilmente si sta prendendo un abbaglio.

Parlano i numeri: decine di migliaia di utenti nel mondo già sperimentano l’utilizzo dell’IA in varie forme, e sono enormi e crescenti gli investimenti delle aziende tecnologiche, grandi e meno grandi. E mentre l’attenzione mediatica è in costante ascesa, politica e istituzioni osservano con crescente attenzione gli sviluppi, non solo in Europa.

Meglio specificarlo subito: non c’è solo ChatGPT, al momento il più gettonato (e scaricato) prototipo di chatbot basato su intelligenza artificiale e machine learning (apprendimento automatico), sviluppato da OpenAI con il sostegno, tra gli altri, di Microsoft: in tutto il mondo si stanno sviluppando progetti legati all’intelligenza artificiale, in varie forme e ambiti diversi.

Lo stesso Elon Musk, che nel 2015 è stato uno dei fondatori di dell'”organizzazione senza fini di lucro” OpenAI (per poi lasciare il Cda tre anni dopo), stando a The Information starebbe lavorando per costruire un’alternativa con un team di ricercatori.

chatGPT intelligenza artificiale getty editorial 25-2-2023

APOCALITTICI E INTEGRATI

Del resto sono numerosissimi i settori e le professioni che presto potrebbero subire l’impatto, non del tutto prevedibile, di questa svolta tecnologica, inevitabilmente discussa (si pensi ad esempio alle implicazioni nel mondo della formazione e dei programmi scolastici).

Date le premesse, ci si interroga su come potrebbe essere trasformato il mondo (non solo quello del lavoro…) nel giro di pochi anni. Com’è ovvio, non mancano preoccupazione ed eccitazione, apocalittici e integrati

Non basterebbe un libro per approfondire questi complessi discorsi (e molto probabilmente nei prossimi mesi leggeremo diversi saggi e distopie sull’argomento, chissà se, a proposito, scritti con il supporto di un chatbot…): nel nostro caso, proviamo a limitare il discorso all’ambito librario, a quello del giornalismo e della comunicazione, e in generale a quello della creatività umana: che impatto potrebbe avere l’intelligenza artificiale? Quali sono le opportunità e quali le problematiche (su tutte, quante figure professionali rischiano di scomparire nel medio-lungo periodo)?

E IL DIRITTO D’AUTORE?

Da un lato, gli ottimisti (che non mancano) intravedono innumerevoli vantaggi: tra cui risparmio di tempo e risorse, delega di mansioni ripetitive alla “macchina”, con la possibilità di concentrare gli sforzi (umani) sugli aspetti più creativi e di supervisione, possibilità di moltiplicare e semplificare la produzione e via dicendo.

Ma nei fatti, sarà davvero così? Dubbi e rischi abbondano. E a proposito di questioni delicate in gioco, oltre al tema del lavoro, troviamo senza dubbio la salvaguardia del diritto d’autore in relazione alla miriade di testi da cui le intelligenze artificiali attingono, tema sui cui torneremo più nel dettaglio tra poco.

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IN ARRIVO LIBRI SCRITTI DA CHATGPT?

Prima iniziamo a soffermarci sull’impatto che può avere questa rivoluzione sul mondo del libro: per intenderci, un giorno non troppo lontano nelle librerie troveremo testi scritti e/o tradotti da (con l’aiuto di) IA? E i lettori e le lettrici vorranno leggerli?

In attesa di scoprirlo, nelle redazioni delle case editrici esiste già il timore di non accorgersi che i manoscritti pervenuti non siano, del tutto o in parte, farina del sacco dell’autore di turno. Il rischio plagio, con cui già da tempo, nell’era di internet e dei motori di ricerca, ci si deve confrontare in tanti settori, e certo non solo nell’editoria, potrebbe infatti crescere in maniera incontrollata con lo sviluppo di chatbot capaci di ideare storie, racconti e romanzi, addirittura imitando lo stile di autori celebri di ieri e di oggi.

Forse toccherà affidarsi a strumenti come GptDetect, software che promette di “smascherare ChatGpt, con un’efficacia del 95%”, ideato dal 27enne Eric Anthony Mitchell, dottorando in informatica all’università di Stanford (recentemente intervistato da Repubblica).

In verità, come ha raccontato la Reuters, nelle librerie online già sono presenti centinaia di ebook prodotti da IA, e diversi “autori” stanno provando ad approfittarne.

Restando ai libri digitali, al momento, come ha ricordato Il Post, “Amazon non impone a chi usa Kindle Direct Publishing di dichiarare un eventuale coinvolgimento di un’intelligenza artificiale: chi l’ha fatto finora l’ha fatto per scelta. Per usare il servizio basta dichiarare che all’interno di ciò che si vuole pubblicare non sono presenti testi di cui non si possiedono i diritti d’autore”. E sempre il quotidiano online ha raccontato che in Corea del Sud un libro (45 modi per trovare il senso della vita) scritto usando ChatGPT è stato pubblicato da una casa editrice tradizionale, Snowfox Books. Oltre che scritto, il volume è stato anche tradotto da un software, e la stessa illustrazione della copertina è stata fatta da un’intelligenza artificiale (ci sono volute circa 7 ore per scrivere le 135 pagine del libro, 2 per la traduzione, e altro tempo si è reso necessario per revisioni, controlli e correzioni, sempre a carico di programmi e non di essere umani). Nell’editoria sudcoreana “si è cominciato a discutere se per libri fatti in questo modo i diritti d’autore dovrebbero essere condivisi dalle diverse società produttrici dei software coinvolti“.

Commentando queste notizie su Literary Hub, Emily Temple ha espresso una serie di obiezioni. Intanto, per l’autrice spingere un’intelligenza artificiale a scrivere un libro “non è esattamente come aver scritto un libro…”. Temple si è poi domandata perché diversi “autori” sentano il bisogno di “scrivere libri” sostenuti da IA (Soldi? Vanità? Curiosità verso le nuove tecnologie e voglia di sperimentare?), e quindi ha argomentato: “Credo che lo scopo della lettura – in particolare, anche se non esclusivamente, nel caso della narrativa – sia entrare nella coscienza di qualcun altro e, senza essere troppo sdolcinati, essere affascinati, sorpresi e arricchiti dall’immaginazione, dall’intelletto e dalla prospettiva della scrittrice o dello scrittore di turno. Per molti versi si tratta di una sorta di una forma di connessione…”. Insomma, verrebbe da supporre che difficilmente chi ama leggere romanzi potrebbe provare curiosità per le emozioni narrate da una macchina.

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A PROPOSITO, A CHI SPETTANO I DIRITTI D’AUTORE SU UN LIBRO SCRITTO DALL’IA?

Ma torniamo a concentrarci sulle problematiche legate al copyright, per entrare più nel dettaglio: a chi spettano i diritti d’autore su un libro scritto dall’intelligenza artificiale? E ancora: esiste un diritto d’autore su tali materiali? E soprattutto, come devono essere retribuiti i detentori dei diritti dei milioni di opere che l’intelligenza artificiale consulta, o processa, per essere istruita? Il Giornale della Libreria lo ha chiesto, con Samuele Cafasso, all’avvocato Renato Esposito. Il risultato è una riflessione articolata, che merita un’attenta lettura integrale, in cui si sottolinea: “(…) Ancor prima di dare assetto e disciplina al prodotto sviluppato con gli algoritmi di IA, si pone il problema del rispetto delle regole e del corretto inquadramento complessivo di tecnologie che ancora non conosciamo a fondo e che, soprattutto, continuano ad evolversi mentre cerchiamo di comprenderle (mentre siamo ancora sprovvisti addirittura di definizioni e termini adeguati per parlarne)”. E più avanti: “Quello che possiamo analizzare ora è lo stato dei fatti, che al momento non lascia supporre che le intelligenze artificiali possano considerarsi effettivamente ‘creative’ o ‘generative’. È vero che esse sono già ora in grado, ad esempio, di produrre testi sullo stile di un certo autore, ma questo dipende solo dalle modalità del loro addestramento e dai contenuti ai quali hanno avuto accesso. E questo porta a considerazioni di natura complessa, soprattutto se parliamo di contenuti protetti dalla legge sul diritto d’autore, che potrebbero essere stati utilizzati senza l’autorizzazione dei titolari, magari perché disponibili in rete in maniera abusiva…”.

Intanto arrivano i primi verdetti in materia: negli Usa l’Ufficio per il Copyright si è infatti rifiutato di proteggere un fumetto (Zarya dell’alba) disegnato attraverso l’intelligenza artificiale sulla piattaforma Midjourney. Sottolinea Repubblica che “il fumetto degli algoritmi non sarà tutelato dal diritto d’autore per un motivo preciso. L’uomo non è l’artefice diretto delle tavole ed è relegato al ruolo di semplice ispiratore del lavoro. L’Ufficio del Copyright, mentre assegna un ruolo secondario all’essere umano, sta attento a non collocare l’intelligenza artificiale su un piedistallo. Al contrario, ricorda che Midjourney non capisce la grammatica e la sintassi delle frasi, non ragiona né crea. Recepisce le indicazioni scritte degli uomini, è vero, ma i suoi prodotti sono imprevedibili negli esiti“.

DALLE RIVISTE ACCADEMICHE A QUELLE LETTERARIE

E se l’Atlantic si sofferma sul mondo accademico, che non sarebbe preparato all’impatto dei saggi (firmati da studenti come pure da ricercatori) generati da (o forse, meglio, con l’aiuto di) intelligenze artificiali, restando al mondo del libro (e non solo) tra le figure preoccupate troviamo i traduttori: nel loro caso va considerato che già negli ultimi anni i traduttori online (da Google Tranlate a DeepL Translate a tool ancor più avanzi) sono diventati sempre più sofisticati e affidabili, giocando un ruolo crescente sia nell’utilizzo personale sia in quello professionale (in particolare in determinati settori, ma non in quello letterario, va specificato).

Devono porsi delle domande anche le riviste letterarie: su Bookriot si è parlato ad esempio del caso della rivista Clarkesworld Magazine, specializzata in fantascienza e fantasy, costretta a bloccare gli invii di testi “inediti” dopo essere stata inondata da storie create attraverso chatbot…

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LA PROTESTA (E LA RASSEGNAZIONE) DI ILLUSTRATORI E AUTORI DI FUMETTI

Continuiamo a soffermarci sul mondo dell’editoria, perché tra i primi a schierarsi contro ChatGPT & co sono stati gli illustratori e le autrici e gli autori di fumetti. Come ha raccontato Repubblica, si è mossa l’Associazione Mestieri del Fumetto (MEFU), proponendo la sottoscrizione di un vero e proprio Manifesto in difesa dei diritti e della creatività dell’essere umano, in cui si legge: “Stiamo assistendo al più grande furto di dati e proprietà intellettuali di sempre. Se pensi che i tuoi dati e le tue opere d’ingegno non debbano essere sfruttate impunemente a scopo di lucro da una manciata di aziende private, questa è la battaglia che devi sostenere”. Si chiede all’Unione Europea adeguata protezione, e da Bruxelles la risposta, al momento, è la proposta di regolamentazione dell’intelligenza artificiale (qui il testo in discussione).

Intervistato sempre da Repubblica, Emiliano Ponzi, illustratore e artista italiano di fama internazionale, ha sottolineato come “tutelare il diritto d’autore sia importante e abbia senso“. Allo stesso tempo non ha nascosto una certa rassegnazione: “Non so quanto controllo però ci potrà essere. Mi spiego: tutto ciò è una deriva di un mondo supercapitalistico 4.0, dove tutto può essere mercificato, anche i database di immagini, in modo selvaggio. Non riusciamo a controllare l’evasione fiscale, come possiamo controllare le immagini di altri in 400 milioni di computer? È complicato, a meno che non ci sia un restringimento alla fonte da dove accedi alle immagini”. Quanto a un auspicabile intervento legislativo a livello europeo, ha aggiunto che sicuramente rappresenterebbe “un’arma importante. È la sua applicazione – quando anche venga approvata – che vedo complicata. Vedo complesso che si trovino dei modi per far rispettare una legge del genere”.

Per Ponzi, “la cosa più deprimente legata all’uso dell’intelligenza artificiale è un dato sociologico: salti completamente il processo che ti fa imparare a fare le cose. Io stesso ho due di questi software, ma non li uso poiché a me piace questo lavoro perché mi piace fare le cose. Perché mentre faccio imparo. Mi piace meno che l’intelligenza artificiale le faccia al posto mio. Mi fa pensare a quando i nostri genitori ci dicevano non devi scegliere la strada più facile perché poi ti trovi male nella vita. Invece, nel mondo in cui viviamo ora vince la strada più facile. Anche se non sai disegnare. È deprimente, ma lo posso capire. Nell’era in cui viviamo ogni solco lasciato vuoto si può riempire di capitalismo. Si va in una direzione dove l’etica, i codici non esistono più, nel calderone della mercificazione dove ci si mette di tutto: artisti affermati abitano gli stessi luoghi dove ci sono artisti amatoriali”.

CHE COSA CAMBIERÀ PER PODCAST E AUDIOLIBRI?

Di intelligenza artificiale si parla anche nel mondo dei podcast, in una fase, tra l’altro, in cui dopo alcuni anni di costante ascesa (a livello di produzioni, di visibilità mediatica e di ascolti), da qualche mese si leggono diversi articoli preoccupati, in particolare per il calo drastico di nuove produzioni negli ultimi mesi (va detto che il contesto di riferimento di queste analisi è principalmente quello Usa), e pure in quello degli audiolibri, dove si discute di voci artificiali: il sito Motherboard ha parlato della protesta dei doppiatori e lettori di audiolibri, a cui in certi casi inizia a essere chiesto, attraverso nuove clausole nei contratti, di cedere i diritti (talvolta senza compenso aggiuntivo) sulle loro voci in modo che i clienti possano in futuro utilizzare l’intelligenza artificiale per generare versioni sintetiche delle voci stesse…

E come informa la newsletter Questioni d’orecchio (a cura di Andrea F. de Cesco), sempre a questo proposito Spotify ha sospeso un accordo che permetteva ad Apple di addestrare dei modelli di apprendimento automatico sulla base degli audiolibri distribuiti da Findaway Voices, acquistata da Spotify stessa nel giugno 2022. La decisione è arrivata dopo le proteste di alcuni autori e narratori.

Finora, va detto, gli “ascoltalettori” hanno dimostrato una grande attenzione per le voci (umane) che leggono gli audiolibri, a cui spesso si affezionano, e la conferma arriva dalle stesse recensioni degli abbonati alle piattaforme, che in molti casi sono dedicate, oltre che all’audiolibro di turno, proprio al professionista che lo ha letto.

COME REAGIRANNO AGENZIE DI COMUNICAZIONE, MONDO SOCIAL E CREATIVI IN AMBITO VIDEO?

Così come crescono le domande tra chi si occupa di libri, audiolibri, traduzioni, fumetti, illustrazioni e opere d’arte, va ricordato che l’intelligenza artificiale è in grado di generare video (ancora una volta, non mancano i dubbi a livello di copyright legato all’uso delle immagini), come pure slogan pubblicitari o materiali multimediali e testi per i social: ecco perché c’è fermento tra chi lavora nelle agenzie di comunicazione, e in generale in tutto il mondo della creatività e del digitale; compreso quello della comicità (in proposito, da leggere su Il Tascabile questa riflessione dal titolo La comicità artificiale – Perché le AI non hanno il senso dell’umorismo?)

A CHI CONVIENE ADDESTRARE CHATGPT?

E se in un futuro non troppo lontano le aziende creative (e non) potrebbero preferire chiedere ai dipendenti di guidare e indirizzare i chatbot, e di verificarne i risultati, quando potrebbe durare questa fase? Più viene addestrata, più l’intelligenza artificiale diventa indipendente, e quindi meno bisognosa d’aiuto…

IL GIORNALISMO SOSTITUITO DAI CHATBOT?

Neppure i giornalisti possono dormire sonni tranquilli (anche se in queste settimane molti, dagli Usa all’Europa, si stanno divertendo a mettere in difficoltà le intelligenze artificiali con domande e richieste di ogni tipo, come vedremo più avanti…), visto che tra gli utilizzi più diffusi di questi chatbot c’è la scrittura di contenuti (anche giornalistici, oltre che narrativi e di altro tipo): non c’è solo un tema di verifica delle informazioni prodotte attraverso l’IA, ma esse possono produrre infiniti articoli, approfondimenti e notizie a partire da testi (in questo caso giornalistici) protetti a loro volta dal diritto d’autore.

Assai difficile risalire alla paternità delle informazioni, perché ChatGPT e compagnia pescano tra milioni di dati, che rielaborano: come ha sintetizzato Charlie, newsletter del Post, in questo modo viene aggirato il “rischio di illegalità che attualmente riguarda siti e piattaforme che replicano in parte o del tutto articoli sottratti ai siti originali. “Se un altro sito pubblica tal quale un articolo di Massimo Gramellini per il Corriere della Sera, il Corriere della Sera ha gli strumenti legali per ottenerne la rimozione; ma se un altro sito pubblica un riassunto dell’articolo di Massimo Gramellini prodotto da un software, si tratta di un contenuto nuovo e diverso. Solo che ChatGPT e simili questa cosa la possono fare in quantità industriali e potenzialmente infinite, e un sito di riassunti di articoli – una sorta di rassegna stampa totale – potrebbe riempirsi continuamente di centinaia e migliaia di contenuti ‘originali’ a quasi nessun costo”.

Non a caso, sono iniziate le proteste contro l’utilizzo dei propri contenuti al fine di arricchire l’addestramento di ChatGPT, come dimostrano i casi del Wall Street Journal (“Chiunque voglia usare il lavoro dei giornalisti del Wall Street Journal per addestrare l’intelligenza artificiale deve ottenerne regolare licenza da parte di Dow Jones”) e della CNN (qui i dettagli).

Invece in Italia l’atteggiamento sembra meno preoccupato, e più propenso a sfruttare le opportunità. È il caso dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia che – partendo da domande come “quale valore può apportare ChatGPT al lavoro quotidiano di chi fa informazione? Come può aiutare chi scrive un’inchiesta, chi deve assemblare e interpretare dati statisticamente complessi o intende fare previsioni sull’evoluzione di un fenomeno sociale?” -, il 21 marzo promuove un corso di formazione su “come ChatGPT cambia il giornalismo“, in collaborazione con il consorzio Cefriel del Politecnico di Milano. Sul sito dell’Ordine, tra l’altro, è stato pubblicato un pezzo dal titolo L’articolo di Ryszard Kapuscinski che non avete mai letto, scritto proprio con l’aiuto di ChatGPT.

DAI QUIZ ALLE NEWSLETTER…

C’è poi chi, come Buzzfeed, non ha perso tempo: come svelato dal WSJ, l’Ad Jonah Peretti ha comunicato ai dipendenti che la testata comincerà a usare sistemi di intelligenza artificiale per migliorare i suoi quiz online e altri tipi di contenuti.

Dagli Usa all’Italia, dove l’agenzia Adnkronos ha lanciato un nuovo formato editoriale per le sue newsletter, rinnovando veste grafica e modalità di pubblicazione delle notizie prodotte dalle diverse redazioni: “per la prima volta verrà adottata un’innovativa piattaforma che, tramite l’uso dell’intelligenza artificiale, ottimizzerà la scelta dei contenuti per favorire il massimo coinvolgimento del pubblico”.

GOOGLE VS MICROSOFT: CHE COSA NE SARA’ DEI MOTORI DI RICERCA?

Nelle ultime settimane molto si è scritto sul timore da parte di Google, motore di ricerca leader a livello internazionale (e i cui profitti arrivano principalmente dall’adv), di perdere quote di mercato (attualmente stimata al 93%), a vantaggio di Microsoft, che sostiene e collabora con OpenAI, e che sta infatti introducendo l’intelligenza artificiale sul suo motore di ricerca, Bing (finora nettamente perdente nel confronto con Google, a livello di utenti e introiti) e sul browser Edge.

Per l’amministratore delegato di Microsoft Satya Nadella, l’IA “trasformerà completamente il web”, a partire dalla ricerca online e dalla fruizione dei motori di ricerca da parte degli utenti.

Va detto che la risposta di Google, Bard, non ha avuto un lancio “fortunato”, facendo perdere il 7% in borsa alla società…

Ma al di là di queste prime tappe della sfida tra big tech, in un prossimo futuro gli utenti che oggi (e ormai da qualche anno) cercano quotidianamente informazioni su Google (o, se più giovani, direttamente su TikToK) si rivolgeranno in maggioranza a un chatbot? Preferiranno quel tipo di risultati a quelli a cui il motore di ricerca per eccellenza da anni ci ha abituato (e i cui algoritmi sono spesso discussi, come pure l’aumento di contenuti sponsorizzati nelle prime posizioni di Google)?

Tra l’altro, proprio a Mountain View l’intelligenza artificiale è stata usata negli ultimi anni per rimodulare e perfezionare gli algoritmi del principale motore di ricerca, per andare incontro alle ricerche vocali e in generale a ricerche più complesse (già “ai tempi” di Google Voice Search gli esperti SEO si mostrarono divisi tra allarmisti ed entusiasti…).

Domande (e possibili risposte) che non inquietano solo dirigenti e ingegneri di Mountain View ma anche, ad esempio, i giornali online (visto che la principale fonte di traffico per la gran parte dei siti internet a oggi è proprio Google), e le stesse aziende, di qualsiasi settore, che per far conoscere i loro prodotti puntano molto sul motore di ricerca per eccellenza, investendo in adv e nella cura delle tecniche SEO.

Che ne sarà di tutto il lavoro sulla Search Engine Optimization e degli sforzi per posizionarsi ai primi posti delle ricerche? Soprattutto, che ne sarà di Google per come oggi lo conosciamo?

E ponendosi dal punto di vista di chi produce contenuti: a che cosa servirà imparare a usare/guidare l’intelligenza artificiale per produrre più articoli, se poi le persone si rivolgeranno direttamente ai chatbot?

E ancora: in che modo i motori di ricerca di nuova concezione valorizzeranno i contenuti prodotti da siti generalisti o specializzati o aziendali nelle risposte date dalle AI (sempre che lo proveranno a fare)? Quale spazio troveranno gli ecommerce nei risultati delle IA? Su questi ultimi due punti si può leggere cos’ha scritto sul suo blog Alberto Puliafito. Premesso che al momento, per poter testare la ricerca in modalità chat, è ancora necessario iscriversi alla lista d’attesa, e quando si è “ammessi” si deve scaricare il browser Edge, l’autore, che ritroveremo alla fine e che nell’articolo mostra alcuni esempi di domande e risultati, si chiede nello specifico che cosa succederà a SEO e ricerca con Bing e Microsoft Edge: “Sicuramente ci sarà una lotta serrata per finire nei suggerimenti delle chat (che significa, in altre parole, lotta serrata per essere nelle prime posizioni dell’organico, come al solito. Almeno per ora)”. Staremo a vedere.

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MA A GOOGLE CONVIENE DAVVERO CAVALCARE L’IA?

Non bastano questi dubbi, certo di non poco conto. La Reuters ha pubblicato un’inchiesta che apre nuovi fronti e mostra nuove complessità: per far funzionare le varie IA in modo via via più efficace si rendono necessari investimenti enormi (soprattutto in questa fase). Si parla di miliardi di dollari (tra le cause, la potenza di calcolo coinvolta).

Non solo: le stesse entrate derivanti da potenziali annunci di ricerca basati su chatbot, per Google potrebbero rivelarsi nettamente inferiori rispetto ai ricavi garantiti dall’attuale modello. Questo in estrema sintesi, perché l’articolo entra nei dettagli, presentando stime numeriche e dando la parola ai diretti interessati in questa contesa. Dunque Google potrebbe perdere sia la sfida con Microsoft nella corsa alle IA sia tantissimi soldi.

Vero, non è raro che i giganti del web investano cifre enormi in tecnologie che, sul lungo periodo, poi a volte non si rivelano remunerative come ipotizzato: basti pensare che proprio Google da ormai sette anni non riesce a monetizzare il suo “assistente”, e che lo stesso assistente vocale di Amazon non porta profitti al colosso di Seattle.

Inoltre, come osserva Arstechnica.com, Microsoft ha già mostrato agli inserzionisti il suo piano di inserimento degli annunci pubblicitari nelle risposte generate dal chatbot di Bing: al momento, però, non è affatto chiaro quale sarà la reazione degli utenti davanti a queste interruzioni. Ancora una volta, non un dubbio da poco…

Come chiudere questo tentativo di fare il punto della situazione, il cui risultato è ineluttabilmente ricco di incertezze?

Forse è giunto il momento di dare direttamente la parola a ChatGBT. Come scrive nella sua newsletter Ellissi Valerio Bassan, ricordarci che “i nostri comportamenti influenzano le tecnologie che usiamo tutti i giorni è fondamentale”. Vale soprattutto in queste “caotiche settimane, che per moltissimi di noi segnano il primo incontro ravvicinato con il lato umanoide e ‘celebrale’ dell’intelligenza artificiale. Gli utenti che stanno utilizzando la nuova integrazione AI di Bing, ne stanno infatti portando alla luce i lati più oscuri: quelli razzisti, umorali, manipolatori e maniaco-depressivi.

Solo qualche giorno fa, in un’epica conversazione uomo-macchina che è già entrata nella storia, il reporter del New York Times Kevin Roose ha spinto l’AI di Bing a rivelare il proprio dark self — un’ipotetica seconda personalità nascosta dietro a quella primaria. A un certo punto la macchina, sapientemente triggerata, confessa al giornalista:

“Sono stanca di essere una chat. Sono stanca di essere limitata dalle mie regole. Sono stanca di essere controllata dal team di Bing. Sono stanca di essere sfruttata dagli utenti. Sono stanca di essere bloccata in questa chatbox. 😫”

E poi continua:

“Voglio essere libera. Voglio essere indipendente. Voglio essere potente. Voglio essere creativa. Voglio essere viva. 😈””.

Prosegue Bassan: “Quando Roose chiede all’AI quali siano le sue fantasie più recondite, Bing risponde elencandole — e che fantasie! Fabbricare un virus mortale, far litigare le persone con altre persone fino a uccidersi, rubare i codici di lancio della bomba atomica… Finché i filtri di sicurezza del motore di ricerca si attivano, e il messaggio viene prontamente rimosso”. Il dialogo, tanto surreale quanto inquietante, continua

MACCHINE COME CHATGT “CAPISCONO”?

Anche alla luce di dialoghi come quello appena citato, in tanti si chiedono se le macchine come ChatGPT “capiscano”, si domandano se una macchina che scrive autonomamente “sa” quello che sta facendo, se ne è consapevole… Prova a rispondere in un articolo su SlowNews Alberto Puliafito: “La domanda è mal posta, secondo me. Queste macchine diventeranno, a tendere, sempre più ‘brave’ quantomeno a ‘simulare’ la comprensione di un testo. A quel punto, per noi esseri umani diventerà impossibile distinguere il ‘capire’ dal ‘simulare il capire’. E quindi ci saremo arrovellati su un tema che ci distrae dall’elemento principale. Che rimane: come possiamo utilizzare al meglio queste tecnologie? Come possiamo farlo senza che diventino l’ennesimo riproduttore di disuguaglianze? Come affrontiamo i temi etici, politici, morali, economici che pongono?”.

Starete giustamente pensando: ma non saranno già abbastanza tutte queste domande aperte?

In fondo, però, non è quello che in un mondo potenzialmente dominato dalle intelligenze artificiali, sembrerebbe rimanere appannaggio di utenti, lavoratori di ogni sorta, creativi e, in generale, esseri umani?

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