Martin Angioni, che da manager ha portato in Italia il gigante dell’ecommerce, per poi essere allontanato nel 2015, nel libro “Amazon dietro le quinte” descrive, dal suo punto di vista, luci e ombre della multinazionale fondata da Jeff Bezos – L’approfondimento

Come lui stesso ricorda all’inizio del libro autobiografico Amazon dietro le quinte, pubblicato da Raffaello Cortina Editore, la carriera in Amazon di Martin Angioni si è chiusa, nella primavera 2015, (anche) a causa del gesto dell’ombrello ripreso dalle telecamera di Presa diretta (Rai3), in una puntata dedicata al rapporto, di cui si dibatte ormai da anni, tra fisco e multinazionali dell’era digitale. L’ex country manager di Amazon Italia non si era accorto che telecamera e microfono erano rimasti accesi ed era convinto di aver parlato e agito off the record.

Amazon dietro le quinte

Amazon dietro le quinte è sicuramente un titolo accattivante. Il discusso gigante dell’ecommerce, del resto, certo non è noto per la propensione alla trasparenza (pochissimi dati vengono resi pubblici, in un’azienda in cui, paradossalmente, i dati sono al centro di tutto).

Quel che è certo è che in meno di venticinque anni il colosso di Jeff Bezos è diventato una delle tre aziende con la più alta capitalizzazione di Borsa. Fondata a Seattle, la multinazionale supera i duecentottanta miliardi di dollari di fatturato, gli ottocentomila dipendenti, i tre milioni di venditori attivi sulla piattaforma di vendita. E la pandemia – come sottolinea Angioni nella postfazione – non sembra aver messo in discussione il suo dominio, anzi. Certo, non sono mancate, e non mancano, le difficoltà, anche per la “macchina” Amazon, messa a dura prova da Covid-19, come ha fatto notare di recente il New York Times.

Una delle domande a cui cerca di rispondere Angioni è: qual è la ricetta di tale successo? E la risposta va a toccare diversi aspetti, analizzati dal manager (che prima di portare Amazon in Italia si occupava di libri, in particolare di libri d’arte, guidando Electa, parte del gruppo Mondadori, e che prima ancora ha lavorato per la banca d’affari JP Morgan nelle sedi di Berlino, Londra e New York): la cultura aziendale fondata sull’innovazione e l’efficienza, l’organizzazione del lavoro, l’ideologia imposta ai dipendenti.

Allo stesso tempo – e qui si arriva a uno degli aspetti che più provocano polemiche (oltre alle condizioni dei lavoratori che smistano i pacchi nei numerosi centri di distribuzione) -, per lo stesso Angioni fondamentale, per la crescita di Amazon, è risultata la carenza di regolamentazione da parte degli Stati nazionali.

In una delle ultime puntate di DataRoom, sul Corriere della Sera Milena Gabanelli e Fabio Savelli si sono occupati proprio dell’ascesa di Amazon, evidenziando, dati alla mano, alcuni aspetti critici. Scrivono i due giornalisti che il colosso di Seattle è diventato “grande sfruttando la fiscalità agevolata di Paesi come il Lussemburgo dell’ex presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker. Al pari di altri colossi tech che vivono di servizi digitali e quindi transfrontalieri. Grazie a regole che consentono al mercato online di fare i saldi sempre, mentre ai negozi è consentito solo in alcuni periodi. E grazie a finanziamenti pubblici agevolati – tra sgravi e minori oneri di urbanizzazione – per costruire centri di logistica”. Nello speciale del Corriere si parla, tra le altre cose, di Amazon Prime. Come scrivono Gabanelli e Savelli, “abbonarsi a questo servizio, che all’inizio aveva un costo irrisorio, significa avere a casa, in meno di 24 ore, qualunque prodotto e accesso a video on demand e serie televisive, che ora Amazon produce anche in proprio. Un’attività sovvenzionata con i soldi del cloud e del mercato nordamericano, che pesa il 61% dei suoi ricavi e dove ha una quota di mercato del’80%. Il business (dell’ecommerce, nda), infatti, è in perdita: nel quarto trimestre 2019 ci ha rimesso 560 milioni”.

martin angioni

Angioni ai tempi di Amazon

Tornando al libro, l’autore, che con Utet ha pubblicato anche Le 98 ragioni per cui vado in bicicletta, si pone l’intento di analizzare luci e ombre della multinazionale dell’ecommerce, e si sofferma su questioni aperte come, ad esempio, i problemi per la concorrenza di mercato.

Spesso si legge dell’ossessione di Amazon per la soddisfazione del cliente, tema che torna nel libro di Angioni, che descrive la sua ex azienda come “una macchina quasi perfetta e continuamente affinata“.

Ma l’interesse del libro dell’ex country manager di Amazon Italia sta anche nella descrizione della sua attività di manager, tra continue riunioni, controlli dei risultati, feedback da parte dei superiori e pochissimo spazio per le relazioni esterne da coltivare. Ricorda a questo proposito Angioni: “Fra le molte cose che mi colpirono inizialmente, ci furono i tanti ‘no’ che ricevetti alle varie proposte che facevo al mio capo: posso andare a questa conferenza, mi hanno invitato a parlare a questo convegno, ci sarebbe questa fiera di settore, sono stato invitato a cena a Arcore con Berlusconi dal suo stretto collaboratore Valentino Valentini, dovremmo aderire a Confindustria, c’è l’assemblea annuale di Assolombarda… sempre no. Perdite di tempo, inutili distrazioni. Ma come, perdite di tempo? Sono tutte occasioni di marketing serie e utili. E invece no, irremovibile, il mio capo scuoteva la testa: perdite di tempo. Mi sembrava assurdo, ci misi parecchio tempo a capire che da Amazon si sta a testa bassa a lavorare, soprattutto all’inizio. E perché? È la differenza tra time tellers e clock builders che descrive Jim Collins nel libro di management Good to Great (O meglio o niente): esistono due tipi di manager, quelli che perdono tempo andando in giro a parlare, che coltivano le relazioni e cercano visibilità esterna, e quelli che invece stanno concentrati a costruire e mettere a punto la macchina…”.

martin angioni

Angioni ha pubblicato “Le 98 ragioni per cui vado in bicicletta”

Quindi un clima certo non rilassato non solo tra gli operai della logistica (al tema sono state dedicate negli anni numerose inchieste giornalistiche, com’è noto), ma pure tra i manager: “(…) Le parole d’ordine sono decidere, agire, andare avanti, non perdere tempo. Va bene che uno dei principi di leadership è ‘innovare e semplificare’, ma spesso mi pareva applicato in modo semplicistico. È lo stile di gestione del tipico country manager di Amazon, ‘fare challenge’: cioè non dare tregua ai propri riporti, trovare sempre qualcosa che non va, anche minimi dettagli (il classico pelo nell’uovo), sempre push back e alzare continuamente l’asticella, rimandare indietro i documenti per farli migliorare…”, osserva l’autore.

Nel libro Angioni inquadra storicamente (con tanto di cronologia) il percorso di Amazon e il contesto commerciale e legislativo in cui si è insediata negli Usa (inevitabilmente in queste pagine si cita spesso l’Antitrust), e ricorda, tra le altre cose, le polemiche con il mondo dell’editoria libraria negli anni dell’arrivo in Italia, per poi raccontare, dal suo punto di vista, il lancio di Kindle, giunto prima nel nostro Paese, e solo in seguito in Francia e Spagna.

Non si sofferma solo sui punti di forza del portale di ecommerce e sul suo lessico, e infatti non manca di criticare il modello portato avanti dal colosso di Seattle: “(…) Non mi piaceva l’autoreferenzialità di Amazon, che mi appariva un mondo a parte, totalizzante, una casa di specchi. Insomma va bene internet, va bene il cliente al centro di tutto, va bene innovare continuamente, va bene cercare di essere sempre davanti a tutti i concorrenti, va bene intelligenza artificiale e machine learning, va bene gli algoritmi… ma non si può andare a dormire e svegliarsi tutte le mattine pensando a Amazon! Ciò che istintivamente mi infastidiva erano l’aspetto sottilmente manipolativo di questa immensa ‘baracca’ (tutte le merci del mondo a portata di un click a casa tua in poche ore, al miglior prezzo possibile) e quello paternalistico (‘In un mondo in cui tutti hanno sempre meno tempo, pensiamo noi ai tuoi acquisti, in modo che tu possa dedicare il tuo tempo alle persone che ami di più, la tua famiglia’, recitava una pubblicità di Amazon Prime)”.

Tornando alla scena iniziale, e all’uscita di Angioni dalla multinazionale, non stupisce allora questa sua ammissione a metà libro: “(…) Il licenziamento mi apparve perciò come una liberazione. Non mi sentivo disoccupato, ma finalmente libero. Non jobless, ma job-free. Liberato da Amazon“.

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