La domanda più frequente sulla Buchmesse (al via l’8 ottobre) è se in un mondo tecnologicamente connesso abbia ancora senso andarci. Ecco perché, secondo l’editore Luigi Spagnol, la risposta è sì…

La domanda più frequente sulla Fiera di Francoforte, anche tra gli addetti ai lavori, è se in un mondo tecnologicamente connesso come quello odierno abbia ancora senso andarci. I libri e le rights lists si possono spedire, e difatti si spediscono in continuazione, per posta elettronica. La mia opinione è che serva forse ancora più di prima, anche se non sono sicuro di saper spiegare il perché.
Innanzitutto, la facilità di trasmettere informazioni ne ha enormemente ingigantito il flusso. Se si dovessero studiare a fondo tutte le rights lists che si ricevono nelle settimane precedenti a una fiera, non basterebbero tutte le ore del giorno e della notte, e non si avrebbe più il tempo, per esempio, di occuparsi dei libri che si sono già acquisiti e che si devono pubblicare. Un bravo agente, che ti conosce bene, sa indicarti i due, tre, quattro libri nella sua lista che ti possono interessare. Se ancora non ti conosce, approfitta di quella mezz’ora di incontro per farlo, e la conoscenza acquisita gli servirà per inviarti informazioni anche nel resto dell’anno. Il livello di questa conoscenza non cessa di sorprendermi: è stupefacente come a forza di incontri di mezz’ora, due volte all’anno (a Francoforte e a Londra, in primavera), durante i quali si parla per lo più di libri che almeno uno dei due interlocutori non ha letto, possano nascere rapporti di amicizia anche profondi e talvolta, si narra, persino amori. Forse anche questa è una delle magie che operano i libri.
Ma soprattutto, ora che le informazioni di base sono assicurate dal flusso elettronico, vedersi, frequentarsi e conoscersi è diventato tanto essenziale perché solo così si possono scambiare informazioni più sfuggenti, meno digitalizzabili, ma non meno importanti. Nel mondo editoriale, la personalità degli attori ha un ruolo determinante, a cominciare dal primo motore, cioè dagli scrittori. Uno scrittore di scarsa personalità sarebbe poco interessante da leggere, ammesso che esista, cioè che una persona di scarsa personalità si dedichi alla scrittura; ne consegue che spesso gli scrittori scelgano le case editrici che li pubblicano o gli agenti che li rappresentano in base a simpatie e idiosincrasie. Viceversa, gli editor delle case editrici, per quanto si possano sforzare di indovinare i gusti del pubblico, scelgono i libri da pubblicare fondamentalmente in base ai propri gusti personali.
E poi, come si diceva, i libri sono creature complesse e l’editore che riesce ad assicurarsi i diritti di pubblicarli nel proprio Paese deve occuparsi di numerosi aspetti piuttosto delicati: la copertina, il titolo, il traduttore, il prezzo di vendita, la data di lancio, il marketing necessario a farlo conoscere sono solo i primi che mi vengono in mente. Non esiste clausola contrattuale, per quanto sofisticata, in grado di garantire che tutti questi aspetti siano curati come ogni autore  desidera che lo siano. Per la maggior parte degli autori, la frase più convincente che si possono sentir dire da chi rappresenta i loro diritti, quando devono decidere se accettare un’offerta dall’estero, è: “Fidati, conosco l’editore, farà un buon lavoro”.
C’è infine un’altra ragione per andare alle fiere, e sono le chiacchiere. Intese come gossip, certo, anche: perché privarsi del piacere di qualche pettegolezzo internazionale? Ma se si trattasse solo di quello sarebbe un piacere un po’ costoso. Molto più profittevoli (anche se non necessariamente più divertenti) sono le chiacchiere sullo stato dell’editoria in altri Paesi, su come altri editori si sono attrezzati rispetto al libro digitale, per esempio, o alla crisi delle librerie indipendenti; se hanno sperimentato nuove idee di marketing o se vedono profilarsi nuovi trend nei loro mercati. Più di ogni altra, la notizia che tutti sperano di intercettare in anteprima è l’epifania di un nuovo “libro caldo”: un libro, magari ancora non pubblicato o pubblicato in un Paese poco frequentato dagli scout internazionali (com’era per esempio la Svezia prima del fenomeno Stig Larsson) di cui, improvvisamente e per meccanismi difficilmente identificabili, si sta cominciando a parlare con crescente frenesia.
Dobbiamo sempre pensare a una fiera di diritti come a un grande mercato e, come in tutti i mercati, i consigli più preziosi sono quelli di chi non sta cercando di venderti niente.
In poche parole, la Fiera di Francoforte è insieme a quella di Londra una delle due riunioni annuali della comunità mondiale del libro. Se si vuole operare con successo in questo mondo, è sempre meglio farne parte…

Fotografia header: Fiera del Libro di Francoforte

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