Il blocco dell’attività delle librerie causa emergenza covid-19, stando all’ufficio studi dell’Associazione Librai Italiani – Confcommercio, produrrà per il periodo 23 febbraio – 25 marzo un calo atteso di fatturato di circa 47 milioni di euro. “Per quest’anno possiamo già ritenere compromessa la redditività delle nostre aziende”, spiega il presidente Ambrosini, che si appella al Governo e chiede la revisione dei criteri per il tax credit e altri aiuti. Intanto è polemica per le diverse interpretazioni del decreto in relazione alle vendite nei supermercati di beni considerati non di prima necessità (tra cui libri e articoli di cancelleria) – Il punto della situazione

Il blocco dell’attività delle librerie causa emergenza covid-19, stando alle prime elaborazioni dell’ufficio studi dell’Associazione Librai Italiani – Confcommercio, produrrà per il periodo 23 febbraio – 25 marzo un calo atteso di fatturato di circa 47 milioni di euro, con minori guadagni per investimenti e mantenimento strutture pari a circa 16,5 milioni di euro; “Si tratta di circa il 6% del giro d’affari annuo delle nostre aziende”.

“La stima – si legge nella nota dell’Ali – potrebbe crescere aggiungendo i mancati incassi conseguenti al blocco delle attività con le scuole e di quelle di promozione culturale, come i festival e le fiere di settore”.

Il presidente dell’Ali Paolo Ambrosini commenta così questi primi dati: “Possiamo già ritenere compromessa la redditività per quest’anno delle nostre aziende, e pertanto si rende a nostro avviso quanto mai urgente l’adozione di un piano nazionale straordinario per l’apertura e il rinnovo delle librerie, la revisione dei criteri per il tax credit alle librerie, perché sia un reale beneficio per tutte le aziende, per il sostegno alla domanda, quali le detrazioni fiscali per gli acquisti e il potenziamento e la stabilizzazione degli strumenti in essere, come App18 e sostegno all’acquisto dei testi scolastici per le famiglie in situazione di disagio economico”.

“I librai – conclude Ambrosini – hanno risposto con grande senso di responsabilità e compostezza al decreto del Consiglio dei Ministri, sacrificando incassi e utili determinanti per la sopravvivenza delle imprese; ora ci aspettiamo che si intervenga con la stessa rapidità e decisione per consentirci di guardare con più fiducia ai prossimi giorni”.

LA POLEMICA PER LE VENDITE DI BENI CONSIDERATI NON DI PRIMA NECESSITA’ NEI SUPERMERCATI

Come abbiamo raccontato, quelli dell’emergenza covid-19 sono giorni difficili per l’intera filiera del libro. Le librerie – come ricordato anche dalla nota dell’Ali – sono chiuse per decreto, e si organizzano per le (costose) consegne a domicilio tramite corriere. In un momento assai difficile, in cui la lettura rappresenta un’occasione di conforto, riflessione, informazione e, perché no, evasione, i libri cartacei si possono comprare anche attraverso i negozi online oppure nei supermercati. Non sempre, però: sì perché non sono considerati beni di prima necessità, e in alcuni casi, come ha raccontato Repubblica.it, ci sono negozi in cui le forze dell’ordine impedirebbero la vendita di romanzi e saggi, come pure quella degli articoli di cancelleria.

Come riporta Giornalettismo.com, il problema al momento riguarda solo alcuni punti vendita. Federdistribuzione, consultata dal sito online, “ha chiarito il grosso equivoco che si sta venendo a creare in questi giorni. Si fa riferimento, infatti, a una circolare del Viminale relativa proprio alla vendita di questi prodotti non di stretta necessità all’interno delle catene distributive. Nella serata di sabato scorso, il Ministero dell’Interno ha emanato una nuova circolare con cui ha rivisto le proprie precedenti direttive, prescrivendo la chiusura prefestiva e festiva per i negozi non food e limitando la vendita dei negozi food ai soli generi alimentari (oltre a prodotti farmaceutici e parafarmaceutici). Tale limitazione vale solo per il sabato e la domenica. Negli altri giorni della settimana vale quanto previsto nel DPCM 11 marzo 2020, in cui sono riportate le diverse attività che possono restare aperte”. Dunque, la vendita non sarebbe consentita solo nel finesettimana, anche per ridurre i tempi di attesa all’esterno dei supermercati.

Resta comunque la confusione, come dimostrano le dichiarazioni di Francesco Pugliese, amministratore delegato di Conad: “Capisco tutto, siamo in un momento particolare, ma proprio per questo aggiungere complicazioni e limitazioni crea confusione per i nostri dipendenti che sono già sotto pressione. E anche per i consumatori. La norma rischia di creare problemi di ordine pubblico, ho visto clienti arrabbiati perché non potevano acquistare un paio di mutande. Credo che la merce esposta debba poter essere venduta tutta. Senza contare che ogni regione e ognuno interpreta la norma a modo suo”.

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